La cura di sé e la cura degli altri… E la psicoterapia!

Questo Post nasce dalla visione di un TEDx su YouTube che mi ha fornito lo spunto per esporre il mio pensiero terapeutico che cerco di far conoscere attraverso il mio blog da più di 5 anni ormai e che è contenuto anche nel mio libro ‘Alice nel paese delle miserie’.
Ecco il link al video (dura 16 minuti). https://youtu.be/mUwK2Kpkd5Q
Ti consiglio, poi fai come vuoi, di vedere prima il video poi leggere il mio post.
Hai visto il video? Discorso che non fa una piega dal punto di vista ideale quello della Bush. Nella realtà ci sta tutta la difficoltà che ognuno di noi trova nel renderlo effettivo.
La psicoterapia lavora sul cercare di comprendere questo scarto ideale-reale e aiutare il più possibile la persona alla vita che veramente vuole.
La psicoterapia aiuta a comprendere il senso delle nostre scelte quotidiane, come di quelle storiche che hanno svoltato in senso positivo o negativamente la nostra vita, come di quelle più antiche, quasi sempre implicite, prese senza consapevolezza cosciente, ma con intuizione e intenzione inconscia che quella fosse la scelta migliore per stare al mondo. Le scelte antiche sono quelle prese da bambini, con la mente infantile rudimentale (e consolidate poi negli anni) nel contesto della vita in cui cresciamo, la vita che a un bambino capita e non sceglie: i genitori, ciò che sono, come si comportano, i valori che propongono esplicitamente o indirettamente; le esperienze che ci capitano, situazioni traumatiche che possiamo aver dovuto, senza volere ovviamente, affrontare perché ci sono capitate. In questo contesto dei primi anni di vita, solitamente i primi 5 o 10 o 15 sono fondamentali, facciamo queste ‘scelte precoci strategiche’ ovvero volte sostanzialmente ad ottenere Amore e Stima che da piccoli sono importanti come l’ossigeno. Facciamo queste scelte perché la nostra mente e quindi le nostre scelte sono molto più dipendenti dalla mente e dalle scelte altrui. Intorno ai 14 o 15 anni la nostra mente comincia ad essere più ‘autonoma’.
Allora ecco l’ideale. È una sintesi rivisitata del discorso di Alice Bush, integrato con mie considerazioni.
Questo il punto di partenza: per essere veramente felice e per aiutare gli altri ad essere veramente felici  NON COMPIACERE LE ASPETTATIVE ALTRUI. Se compiaci gli altri ti allontani dalla vita che veramente vuoi. Annulli di fatto te stesso e finisci per deludere tutti, te per primo perché compiacere è una scelta che ti fa rinunciare a tanto altro, perché comunque ogni scelta non è perfetta e quindi c’è sempre un costo emotivo da pagare. Qual è il costo emotivo che sei disposto a pagare facendo le tue scelte? Ecco 3 esempi.
1. Non scegliere la LAUREA o il LAVORO cercando di compiacere le aspettative altrui, cercando di conseguire gli obiettivi altrui che credi erroneamente siano i tuoi, magari per dimostrare di essere una persona che vale e che ‘merita’ di essere amata per questo (si chiama amore condizionato… ed è sempre tossico).
2. Non scegliere come stare in una RELAZIONE compiacendo le aspettative altrui nell’idea evidentemente malsana che così sarete felici, se ciò che fai non è veramente ciò che vuoi, prima o poi rabbia, risentimento e delusione reciproca mineranno in maniera importante la relazione che finirà (e sarebbe meglio) o continuerà in maniera malsana e piena di sofferenza reciproca; sarebbe un’altra versione di tossico ‘amore condizionato’. Sto con te se sono come tu mi vuoi o stai con me ma devi essere come io ti voglio o versioni simili.
3. Non ti sacrificare per i bisogni altrui, ANCHE QUANDO GLI ALTRI SONO I FIGLI, con l’idea evidentemente fallimentare che l’altruismo equivalga all’auto-sacrificio, scambiato erroneamente per amore. Qual è la tua idea di buon genitore? Quello che per amore dei figli si annulla per loro? Quella di ‘trascurare se stessi sempre e comunque’ (i propri bisogni e i propri valori) per ‘curare’ il benessere dei figli, a prescindere da ogni altra cosa? Prima o poi saliranno delusione, fatica insopportabile, risentimento, perdita di pazienza che mineranno, oltre che il proprio benessere personale, la relazione coi figli, che non è proprio l’obiettivo di amore e cura che abbiamo verso di loro. Alla fine finisci per sentirti lontano dal genitore che vorresti essere. E certo non l’esempio che vorresti essere per i tuoi figli.
Queste tre storie diverse tra loro (lavoro, relazione affettiva, genitorialità) hanno in comune che sono, più o meno consapevolmente, guidate dal senso del dovere e dal senso di colpa e che finiscono per creare sofferenza per tutti, per sé e per le persone più vicine, care e che amiamo.
Finiamo dunque per vivere una vita in base alle aspettative e ai bisogni altrui.
In realtà, questo la Bush lo lascia intendere implicitamente, soddisfare i bisogni altrui risponde inconsciamente al nostro bisogno profondo di Amore e Stima che ci porta erroneamente all’AMORE CONDIZIONATO: “mi sento amato e stimato se e solo se… soddisfo i bisogni degli altri”. E finiamo dunque per vivere una vita lontana dalla Vita che Veramente Vogliamo.
La nostra società, ma non è così in tutte le culture e le parti del mondo, da sempre ci racconta, per i motivi più svariati che sarebbe qui troppo lungo indagare, che per essere felici dobbiamo soddisfare i bisogni e le aspettative altrui. Senso del dovere e suo fratello il senso di colpa a ricordarcelo in tutti i modi e in tutti i luoghi. Ma, tanto per fare un esempio concreto, sull’aereo in caso di pericolo, ci dicono prima indossa la maschera per avere il tuo ossigeno per poter essere veramente d’aiuto agli altri. E il grande Fritz Perls ci ha donato questa perla a ricordarci qualcosa del genere e di fondamentale: “io sono io e tu sei tu, io non sto al mondo per soddisfare le tue aspettative e tu non stai al mondo per soddisfare le mie, se ci incontriamo può essere molto bello, altrimenti ognuno per la sua strada”.
In sintesi: ogni scelta implica una rinuncia. Conosci la tua rinuncia? Facendo la tua scelta scegli di prenderti cura di alcuni tuoi bisogni e ne trascuri altri. Conosci ciò che stai trascurando?
Inizia veramente a prenderti cura di te iniziando prima di tutto a comprendere quella che noi possiamo chiamare con un acronimo o sigla VVV, la Vita che Veramente Vuoi. La Bush la chiama “una vita dalla quale non vogliamo scappare ogni due minuti. Una vita un cui vogliamo essere presenti e protagonisti per noi stessi e per gli altri”. Per essere veramente presenti e di aiuto agli altri dobbiamo prima necessariamente essere noi soddisfatti piuttosto che tristi ed esausti, senza energie e risentiti. “Avere il coraggio di piacere a se stessi prima che agli altri, avere il coraggio di mostrarsi per come si è”. Avere una vita che veramente scegliamo noi per creare spazio, forza ed energia per esserci per gli altri veramente ed efficacemente quando gli altri hanno bisogno di noi.
La VVV è fatta di tre ingredienti fondamentali secondo la Bush e idealmente anche secondo me. La vita in cui vogliamo stare:
1. TROVA I TUOI VALORI (distinguendoli dai tuoi obiettivi). I valori sono mete ideali verso cui tendere, gli obiettivi sono traguardi da raggiungere. Cosa è veramente importante per me? I valori forniscono la base solida in cui sentirti radicato e quando vivi momenti difficili e sembri perdere il controllo ti aiutano a prendere le decisioni giuste per te, sentendoti allineato con la persona che vuoi essere, orientata da quei valori. I valori sono potenzialmente infiniti, quelli fondamentali probabilmente sono circa 5 per ciascuno di noi.
2. ASCOLTA I TUOI BISOGNI (salute, affetti, soddisfazione lavorativa, come tre aree primarie). È fondamentale trovare il coraggio e creare tempo e spazio per riuscire a soddisfare i nostri bisogni.
3. IMPARA A DIRE NO. Parolina semplice da dire in teoria. In pratica difficilissima perché ci mette di fronte alle nostre paure più profonde, le solite di origine antichissima, di sentirci giudicati, di deludere, di essere rifiutati, abbandonati, di non ricevere insomma Amore e Stima. Paura di sentirci persone Non amabili e Prive di valore.
Allora prendersi cura di sé vuol dire sostanzialmente prendersi la RESPONSABILITÀ di prendersi cura della propria felicità per potersi prendere cura della felicità degli altri. Prendersi la responsabilità delle proprie scelte. A partire dalla scelta che sembra banale quanto è fondamentale di diventare veramente padroni del proprio tempo, oltre le pretese della società del “corri e scappa”, che finisce per generare sempre più ansiosi (di non farcela) e di depressi (per non avercela fatta).
Prendersi la responsabilità delle proprie scelte allora equivale sostanzialmente a dire NO sapendo che stai dicendo SÌ a qualcosa di altro veramente importante per te, stai dicendo SÌ A TE STESSO (e qui rifanno capolino senso del dovere e senso di colpa con cui devi fare i conti).
Prendersi la responsabilità di prendere per sé prima di poter dare agli altri. Prendere il tuo ossigeno affinché tu possa veramente aiutare l’altro a prendere il suo. Il sano egoismo come base di partenza per il più grande, puro ed efficace degli altruismi.  Per prenderci cura degli altri dobbiamo prima prenderci cura di noi.
Allora laddove la società esterna (ciò che abbiamo succhiato da una vita) e il Tiranno interiore (derivato dei diktat sociali e culturali) ci impongono Doveri e Proibizioni (per sentirci persone Amabili e di Valore) che noi sentiamo non più adatti a noi e a chi vogliamo essere e alla Vita che Veramente Vogliamo (sempre nel rispetto dei confini della convivenza con l’altro), dobbiamo prenderci la RESPONSABILITÀ ovvero il CORAGGIO che SUPERA LA PAURA di darci dei PERMESSI.
Il permesso di deludere …
Il permesso di ascoltare i nostri bisogni …
Il permesso di dire NO …
E tanti altri permessi laddove incontriamo doveri, imposizioni, divieti e proibizioni che vanno bene per gli altri, ma non per noi stessi.
Ineccepibile questo discorso. Idealmente. Tradurlo in realtà effettiva è ciò che di più difficile incontriamo nella vita.
Qui del resto nasce la domanda: quanto è potente la spinta dal basso, dal profondo, dell’antico dentro di noi di cercare Amore e Stima? Quanto è potente rispetto ad una Vita che Veramente Vogliamo basata su quei concetti fondamentali: Valori, Bisogni, NO ovvero Responsabilità che dovrebbero orientare le nostre scelte di cura di noi?
Quando la Bush parla di “avere il coraggio di piacere a se stessi prima che agli altri” tira in ballo implicitamente quanto sia importante, per vivere la Vita che Veramente Vuoi, affrontare la paura, la paura di deludere, la paura ‘profondamente profondissima, scolpita nel corpo fin da bambini’, di non ricevere quell’Amore e quella Stima.
La sofferenza emotiva che porta le persone in terapia nasce in quello scarto. Ovviamente questa è una grande generalizzazione perché comunque i fattori che intervengono a determinare il proprio disagio a partire da quello gravissimo sono diversi da caso a caso. Esistono purtroppo limiti iniziali anche genetici o costituzionali che hanno un grande peso. Esistono esperienze traumatiche che segnano in modo profondo. Per questo una prima valutazione fondamentale richiede di cercare fattori problematici (limiti con cui nasciamo o che sviluppiamo precocemente anche per l’ambiente in cui cresciamo) e fattori protettivi (risorse che abbiamo a nostra disposizione per fronteggiare i fattori negativi).
Fatta questa valutazione quindi distinguendo da caso a caso, da storia a storia, ogni richiesta di aiuto da ogni altra, la psicoterapia, la cura, l’aiuto intervengono su alcuni punti fondamentali:
– Conoscere i propri modi disfunzionali di stare al mondo fondati sulla compiacenza e sul sacrificio di sé;
– Conoscere o disegnare la Vita che Veramente Vogliamo (Valori, Bisogni, NO);
– Prendersi la Responsabilità della cura di sé ovvero affrontare la Grande Paura Profonda di non sentirsi Amati e Stimati;
– Darsi dei Permessi.
In queste coordinate concettuali della terapia, questa aiuta la persona a ridurre lo scarto tra Vita Ideale e Vita Reale, a governare frustrazione e delusione che la vita reale presenta regolarmente, a cambiare ciò che possiamo cambiare e accettare ciò che dobbiamo accettare. Ricordi la preghiera della serenità?
In sintesi estrema:
SE NON È TUA LA COLPA È TUA LA RESPONSABILITÀ…
CAMBIA CIÒ CHE PUOI, ACCETTA CIÒ CHE DEVI…

L’arte di vivere

Buongiorno. Io come psicoterapeuta mi trovo spesso per aiutare le persone a favorire un qualche tipo di assertività. È un concetto un po’ di moda da qualche decennio che spesso viene usato in corsi e corsetti come fonte di aiuto e anche di business. Perché? Perché l’assertività nel suo nucleo fondamentale significa ESPRIMERE I PROPRI BISOGNI PENSIERI ED EMOZIONI FACENDO RICHIESTE MIRATE IN MODO DA RISPETTARE SÉ E GLI ALTRI NON OFFENDERE NESSUNO CERCARE DI AUMENTARE LA PROBABILITÀ DI OTTENERE CIÒ DI CUI SI HA BISOGNO. E fin qui tutto chiaro e anche allettante, per esempio, da applicare in azienda, nei propri gruppi di lavoro, ma anche nelle relazioni private, in famiglia, con gli amici e anche dal fruttivendolo e dal salumiere come forma di educazione e rispetto senza pretendere, ma imparando a chiedere e accettando che a volte non si ottiene ciò che si vorrebbe, anche se ciascuno di noi, chi più chi meno, vorrebbe che gli altri, la realtà, la vita fossero come piace a noi.
Qui si aprono due questioni. La prima sottolinea quanto detto sopra. La preghiera della serenità: “oh signore o universo dammi la forza per cambiare ciò che posso, la serenità per accettare ciò che non posso cambiare e soprattutto la saggezza di distinguere tra le due”. Un’altra preghiera sottolinea un altro aspetto di quanto detto, a mio parere ‘dovrebbe’ essere un’ispirazione, anzi ‘potrebbe’ essere un’ispirazione per tutti, ma appunto ognuno sceglie come sente, come vuole, come riesce, come può; eccola: “io sono io e tu sei tu, io non sto al mondo per soddisfare le tue aspettative e tu non stai al mondo per soddisfare le mie, se ci incontriamo può essere molto bello, altrimenti ognuno per la sua strada” (Preghiera della gestalt).
Ora la seconda questione aperta dal tema dell’assertivitá è molto fica, molto yeahhhh, piena di tecniche per ‘diventare più assertivi, capaci di affermare sé e migliorare la propria autostima e le proprie relazioni’. Oh yeahhh. Però certe volte arrivano i però. E sono quelli che si incontrano in terapia quando la persona ha capito tutto quello che c’è da sapere sull’assertività, a livello concettuale e tecnico (ha imparato tante strategie per….), ma nell’atto di applicarle trova difficoltà, in particolare incontra LA PAURA DI DIRE CIÒ CHE VORREBBE DIRE… MA NON RIESCE A DIRE. E qui, alla fine del lavoro sull’assertività che ha portato comunque ottimi risultati in tanti ambiti e relazioni, inizia il lavoro terapeutico sulla paura. Per chi si sente pronto per farlo. La terapia è più faticosa di un corso di apprendimento di strategie e tecniche. Diciamo che sono due step diversi del proprio percorso di crescita personale. Qui mi fermo, non voglio fare pubblicità al mio lavoro….

Passo però a parlare di una questione personale. Cercherò di essere breve. Da qualche tempo sto affrontando qualche problema di salute. Questo ha portato me, la mia famiglia, tutti i miei più cari amici e tanti conoscenti vicini e lontani a combattere insieme, ciascuno offrendo il proprio contributo di vicinanza, solidarietà, amore, ciascuno a suo modo, ciascuno da me apprezzato, facendomi sentire tanto tanto tanto amato. L’amore è la migliore delle cure. Si è aperto però anche un problema; da qui prende senso il cappello sull’assertività. In particolare, il fatto che nell’espressione della mia assertività dicendo ‘tante grazie per la tua vicinanza che sento nel mio cuore nascere dal tuo cuore e che mi aiuta e sostiene…. Grazie ma anche meno ‘. Sto mettendo in questo modo un limite (è uno dei principi dell’assertivitá) e il mio pensiero, condito di paura, è: potrebbe offendersi, potrebbe non capire ciò che volevo dire, potrebbe sentirsi non compreso, addirittura rifiutato o altro del genere che potrebbe portare ad emozioni di dolore, rabbia, tristezza e altro ancora. Mi dispiace ma questo è. Vi invito a rileggere le due preghiere. Il tuo desiderio di essermi vicino è totalmente legittimo e ti rende onore, solo che a volte le modalità, ad esempio cento messaggi, cento domande, cento per mille persone diventa un lavoro da gestire che nonostante il desiderio di partenza, invece che leggerezza e sostegno aggiunge pesantezza. E questo lo sperimento io personalmente e le persone più care a me vicine. Chattare non può diventare un lavoro soprattutto in un momento in cui forze e risorse sono dedicate ad altro. Quindi la mia richiesta assertiva è: diamoci una regolata, accetto con gratitudine ogni messaggio, vi dico che non risponderò immediatamente, ma se e quando possibile. Spero non ci restiate male, offendiate o simili. Altrimenti sarebbe comunque un ottimo punto di partenza per lavorare su voi stessi e la vostra crescita personale.
Vi ringrazio per l’attenzione e la pazienza e vi mando un caro saluto dal profondo del mio cuore. Con amore ❤️

La danza del sonno

0039… Sono due ore…
Due orette direi semmai chissà o forse…
… e un impegno…
È l’ora di invocare le forze a sostegno…
Oh! Forze della natura… Chiedo soltanto un po’ di cura…
Ohhh! Forze dello spirito o della ragione… Forze dell’universo… Mi giro e mi rigiro… Sto fermo… Non trovo il verso… Qual è la direzione? Da seguire… Vorrei dormire…
Oh ohhh! Forze divine… Almeno voi che tutto potete… Nemmeno voi… Allora, veramente, che forze siete?!
Ohm! Forze dell’Ombra… Forze oscure… Regno delle mie paure… Vi vengo incontro va bene, se è necessario, se serve a me e al mio sudario…
Ooooohhhhhh… Forze del vortice e della matassa… Del navigare il mare del pensare, regno del perché e del come, di infiniti orologi, di tanto ieri e di poco oggi, nel labirinto dei pensieri di cosa sarà tra un po’, tra un’ora, speriamo, domani e un altro giorno ancora…
Oh, forze del lasciarsi andare … Dell’oblio… E dell’abbandono… Per voi magari è poca cosa… Per me sarebbe un grande dono…
Oh, forze del sogno …Il mio incubo è solo il desiderio di un sogno… Di un pugno… Almeno servisse a qualcosa, dammelo amore mio… Ne ho veramente bisogno…
Oh, forze del Cuore … Forze dell’Amore… Dopo aver portato voi… È solo l’ora di danzare…
… … …
0208… Ho fatto il botto…
0214… 0215… Un altro minuto ancora… Un’altra ora… 02 e 19… Quasi mi commuove…
Non lo auguro a nessuno…
… … …
0221… Anzi 0222… … …
0331… L’ora più bella… Le forze a sostegno… Una pecorella… Due pecorelle… Tre pecorelle… 347 pecorelle… Un’invasione…
Mi sa, non so… sto dormendo… Che liberazione …

Simpatica? Semplice? Oggi mi concedo di mandare in avanscoperta il “poeta”, “sommo”, che è in me… Per una descrizione di tante notti di molte persone insonni che si ritrovano incastrate tra frustrazione, rimuginare e ruminazioni… Perché l’ironia e l’autoironia, a volte, possono essere risorse per affrontare i problemi …

Forte coi deboli e debole coi forti

Troppo semplice, anzi semplicistica l’idea, così diffusa socialmente, anche e soprattutto negli ultimi anni ad opera dei social media, sull’incastro patologicamente perfetto tra un narcisista (quasi sempre, ma non sempre uomo) e una dipendente affettiva (solitamente, ma non necessariamente donna). Il narcisista arrogante e manipolativo e la dipendente sottomessa e compiacente. Lui sfruttatore egoista e lei vittima impotente. Ecco: non è proprio così. Al massimo, queste sono le maschere sociali, ciò che più facilmente si vede sul piano comportamentale: un forte che schiaccia un debole.
Oltre questa semplicistica visione, esiste la complessità del mondo interno dei due protagonisti della relazione patologica, impegnati in un circolo interpersonale disfunzionale in cui entrambi finiscono per soffrire e a cui entrambi danno il loro contributo che rinforza ed alimenta una relazione frustrante per entrambi, anche se in forme diverse. Entrambi finiscono schiacciati dai propri schemi interni: il narcisista che deve proteggere un (non riconosciuto) senso di sé fragile, svalutato, privo di valore, non amabile; la dipendente che, altrettanto invasa da sentimenti di scarso valore, continua a cercare negli altri qualcosa che deve cominciare a costruire dentro di sé in modo autonomo.
Da aggiungere, tra l’altro, che esiste anche una forma più nascosta di narcisismo, spesso mascherata da un atteggiamento schivo, riservato, a tratti evitante le relazioni, in cui la dinamica psicologica è simile, per molti versi, a quella della forma arrogante di narcisismo: la necessità di proteggere un sentimento profondo di scarso valore di sé e la percezione di non essere degno d’amore. Quando questa persona riesce ad avere relazioni, gli esiti sono spesso gli stessi succitati: manipolazione, svalutazione di sé e dell’altro, incapacità di vera intimità del rapporto.
In ciascuna di queste relazioni fonte di sofferenza, il rapporto apparentemente è tra adulti, ma i motivi profondi, i bisogni frustrati e le modalità comportamentali originano nella ferita infantile di entrambi i partner della relazione.
In psicoterapia, solitamente arriva la dipendente affettiva, magari estenuata dalla solita relazione ‘subita’. Più raramente arriva il narcisista perché non crede di avere un problema né di aver bisogno di aiuto. Quando arriva a chiedere aiuto è perché messo alle strette dalle persone che si sono stufate dei suoi comportamenti e che lo invitano (minacciano) a farsi aiutare, pena la fine della relazione.
La psicoterapia, individuale o in coppia, dovrà prima di tutto creare un’adeguata alleanza di lavoro, fuori da mistificazioni e colpevolizzazioni, di sé e dell’altro. Sia la dipendente sia il narcisista, per diverse vie certamente, possono essere aiutati ad uscire fuori da meccanismi colpevolizzanti, per cominciare a guardare le cose da adulti consapevoli e responsabili. Ciascuno facendo la sua parte. Un lavoro tanto impegnativo quanto profondamente trasformativo. Per imparare ad integrare nel mondo interno e sul piano dei comportamenti le proprie aree di forza e di debolezza. Per affrontare la paura di essere fragili e la paura di cavarsela da soli. Un lavoro potenzialmente rivoluzionario…
Alla fine di questo post, diversamente dal solito in cui ti consiglio di leggere ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line, mi sento di consigliarti vivamente la lettura di ‘Il diavolo prenda l’ultimo. La fuga del narcisista’, ultima fatica narrativa di Giancarlo Dimaggio, uno dei più grandi esperti internazionali nella psicoterapia del narcisismo. E scrittore vivace ed ironico, capace di farti comprendere, col sorriso, la profondità delle umane miserie.

“Il diavolo prenda l’ultimo. La fuga del narcisista”.

Il narcisista è un tiranno e non solo. Tratta male gli altri, fino al disprezzo. Ma, controintuitivamente, è soprattutto un bambino ferito. Una ferita da trascuratezza, da mancato accudimento. È arrabbiato per qualcosa che avrebbe dovuto ricevere in origine e non ha ricevuto.
Ha paura. Prova dolore. Un dolore nucleare, profondo, di vergogna: si sente non amato e privo di valore. Ha costruito nel tempo una corazza di arroganza a protezione della sua vulnerabilità, un guscio grandioso per schermarsi dal giudizio che colpisce chi si è sentito non amato, non apprezzato e ha imparato a credere di sé di non essere amabile né degno di stima. Un misto di arroganza e vergogna, bisogno di essere ammirati e invidia, pretesa e paura. Il tutto indossato con la più falsa delle maschere: si crede di essere, consapevolmente, chi sente di non essere, inconsapevolmente. Per questo il narcisista è ostile e aggressivo, soprattutto verso chi lo critica; ostile oltre ogni ragionevole misura: a nessuno piace essere criticati, sì poi magari impariamo ad usare la critica in modo costruttivo, ma per il narcisista sentirsi criticato equivale ad aprire la botola che lo farà precipitare nel buio più oscuro della perdita d’amore e di valore.
Il disprezzo verso l’altro è la reazione che maschera il proprio senso di profonda insicurezza. Che invita alla competizione sfrenata e ad inseguire il perfezionismo, per tentare inutilmente di lenire il dolore, dove la competizione si svolge su un campo minato, dove “non esiste qualcosa come il secondo posto, esiste il primo e l’ultimo”. Col diavolo ad aspettarti… Anzi a rincorrerti… Per cui scappi e scappi e scappi e corri e corri e corri e cerchi il primato perfetto per sfuggire al tiranno del “non sei come dovresti essere”. Di origine infantile.
Tiranneggiato in origine. Tiranno degli altri oggi. E tiranno di se stesso. Una maschera che copre una fragilità vestita di disprezzo per gli altri, quasi sempre, ma anche una facciata schiva, altre volte. Che schiva il contatto con l’altro e con se stesso, come un fiume carsico che aspetta solo il momento giusto per rivelarsi in tutto il suo disprezzo.
Questo è il narcisista che si incontra in terapia, quando ci viene, quando ce l’hanno mandato; questa la fragilità vestita di grandiosità che chiede di essere svelata, quando il narcisista rimane in terapia e i lavori sono effettivamente in corso; questo il volto della paura, del dolore e della vergogna che chiedono di essere riconosciuti, quando la cura funziona.
Questo è il narcisista che fugge, narrato da Giancarlo Dimaggio, terapeuta esperto di narcisisti, nella sua ultima opera narrativa: ‘Il diavolo prenda l’ultimo. La fuga del narcisista’ (Baldini e Castoldi). In cui l’autore, con umile competenza e vivace ironia, narra storie di vita incontrate della stanza di terapia.
Il narcisista è portatore insano di una moltitudine di sfaccettature, un misto che è un mistero, succulento da svelare per chi ha voglia di capirci di più, di comprendere la ferita dietro la barricata della pretesa: “la pretesa di essere venerati intrecciata al timore di essere presi a sputi e pietre”. Paura! Di cosa? Del caldo che diventa freddo. Anzi scoprire che forse è sempre stato solo tiepido. Meglio allora fuggire. Fuggire sì, ma dove? Da cosa, soprattutto? 
Fuggire dal dolore, dalla vergogna, dalla vulnerabilità. Prelibatezza per il diavolo. Quelli esterni di diavoli, ma soprattutto quello interiore.
Fuggire dalla paura di non essere riconosciuti se non come oggetti al servizio dell’altro, dell’altro che controlla, che manipola o che è indifferente o poco più che tollerante.
Fuggire dal senso di colpa che il narcisista vive quando prova ad immaginare una vita piena di iniziativa che però fa soffrire l’altro.
Fuggire… Prima del precipizio dell’angoscia di non conoscere l’amore. Non averlo forse mai sentito. Prima dell’abisso: sentire quel dolore di chi si sente privo di valore.
Insomma… Libro consigliatissimo… Per tutti… Per chi narciso non sa di esserlo… Per chi non riesce  ad allontanarsi dal narcisista o difficilmente potrebbe farlo… Per un regalo, della serie ” che avrà voluto dirmi!?”. Per ogni terapeuta che voglia veramente capirci qualcosa di questo dolore e del suo potere distruttivo. E anche delle possibilità reali di trattamento efficace.

Il Re e il giudice

Conosci la storia del Re e del suo giardino? Un giorno il Re mentre passeggiava nel suo giardino trovò tutte le sue piante appassite e morenti: il leccio abbattuto perché “non posso essere alto come l’abete”; l’abete sconfortato perché “non riesco a fare frutti”; la vite sconsolata “perché i miei fiori non sono belli come quelli della rosa”.
Quasi tutti nel giardino del Re si stavano lasciando travolgere dall’angoscia del destino beffardo che aveva assegnato a ciascuno di loro un ‘percorso fallimentare’, finché trovò un piccolo arbusto che, invece, rigoglioso si mostrava orgoglioso della sua bellezza e della sua unicità. Il Re cercò di capire il segreto della sua fiera felicità. “Quando mi hai piantato volevi un glicine, ma io non sono la pianta che tu vuoi, io sono la pianta che sono e, non potendo essere altro che ciò che sono, cerco di farlo al meglio“.
Spesso uso questa storiella con le persone che sono sopraffatte dal loro ‘giudice interiore’.
Il giudice interiore è quella serie di pensieri, parole e voci nella testa che ci riempiono di giudizi feroci per quello che non siamo, critiche spietate per i nostri compiti fatti male, rimproveri estremi per ciò che non abbiamo fatto, colpevolizzazioni distruttive per ciò che abbiamo fatto.
Queste voci nella testa gravano pesantemente sul nostro umore, determinano i nostri stati d’animo e le sensazioni dolorose e piene di tensione che percepiamo in diverse parti del corpo.
Il giudice interiore è il figlio di tutte le figure di autorità, a partire dai genitori, che ci hanno insegnato, direttamente e indirettamente, le regole per stare al mondo. E, come ogni autorità, ci fornisce regole utili e regole che ci stanno strette, che forse andavano bene un tempo, ma ora non più.
Il percorso di crescita personale e di individuazione (diventare individui autonomi, separati e differenziati dal nostro nucleo originario) prevede sempre un confronto col giudice interiore e con tutte le forme di giudizio che incontriamo nella nostra quotidianità, nella realtà o nella nostra immaginazione.
Smussare gli eccessi del giudice ed integrare una forma equilibrata di regole è ciò che caratterizza la ricerca e la costruzione di una propria identità sana e funzionale al nostro benessere e alla formazione di buone relazioni.
In ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line, un intero capitolo è dedicato alla conoscenza del ‘giudice’ e alla costruzione di un rapporto più equilibrato con le nostre paure del giudizio, esterno e interno.

Barbapapà e Squid game

Esiste un momento per un mondo rotondo, morbido, pieno di colori, lieto fine e insegnamenti educativi al servizio di una crescita sana, armoniosa, piena d’amore.
Ed esiste anche un momento per un altro tipo di mondo, comunque il nostro mondo. Esterno ed interiore.
Il cinema, la televisione, i videogiochi, YouTube e altri social sono pieni zeppi di violenza che un adulto deve filtrare ad un bambino. Se il filtro manca, manca l’adulto. Anche la piazza, il quartiere, il cortile hanno bisogno di modulare la violenza che pure è possibile espressione della natura umana. Avevano bisogno forse sarebbe più preciso dire, visto che ora sono stati quasi completamente soppiantati da ‘luoghi di incontro’ e gioco virtuali. Modulare la violenza, anche nei giochi di bambini. Se il filtro manca, manca l’adulto. Ecco allora un punto di partenza utile per ragionare sul senso e sul valore (o dis-valore) di Squid game. Il gioco del calamaro. La serie TV Netflix.
Fatta questa premessa e fatte salve ulteriori ed utili considerazioni sociologiche e pedagogiche (ad uso di genitori, insegnanti ed educatori tutti) sul comportamento degli adulti consapevoli e responsabili di fronte ai bambini e ai ragazzi curiosi e incuriositi, ho trovato la serie del gioco del calamaro molto interessante dal punto di vista psicologico, individuale e interpersonale. Anche tenendo conto che è stato concepito e realizzato da una persona appartenente ad una cultura molto lontana da noi per certi versi, ma forse nemmeno troppo, per altri aspetti più ‘global’, più interiori e universali.
Ho apprezzato molto diversi elementi, in una serie piena di spunti di riflessione che ciascuno di noi, nella visione di un film o nella lettura di un libro o nell’ascolto di una canzone, può cogliere in base al proprio filtro personale e alla sensibilità che nasce dalla propria storia di vita.
Ho apprezzato molto le storie di vita che si intrecciano e le dinamiche psicologiche che emergono nel dispiegarsi della vicenda.
La raffigurazione di un meccanismo che chiede a tutti di essere all’altezza, un’altezza che quasi tutti sentono difficile da raggiungere, fino a chiedere a se stessi di dare di più, fare di più, essere più, senza mai raggiungere la meta e sperimentare vero appagamento. Un sistema che divora chi non è in grado di essere all’altezza del successo richiesto fino al punto di prendere una persona disperata e portarla ad accedere ad ogni comportamento utile allo scopo della sopravvivenza, anche se fuori dai codici della propria moralità. Un sistema di scale (alla Escher), ma colorate, in cui sia i giocatori sia i lavoranti sono parte di un ingranaggio che funziona alla perfezione, ma che tende a rendere tutti schiavi del suo funzionamento.
L’umana imperfezione: l’essere tutti sulla stessa barca, anche se qualcuno, indossando una maschera, ‘sembra’ stare su uno yacht a sorseggiare champagne di fronte alla disperazione altrui.
Le maschere che tutti, chi più chi meno, indossiamo nella vita quotidiana, spesso nel tentativo fallimentare di nascondere a noi stessi, prima che agli altri, qualcosa di ‘brutto, sporco e cattivo’ che pure ci appartiene e ci portiamo dentro.
Amore e paura: l’amore di un genitore che cerca di mettercela tutta e ha paura di non farcela; l’amore verso una persona appena conosciuta, così potente da sconfiggere la paura della morte; l’amore di genitori anziani, illusi e disillusi, mai sconfitti dalla paura e sostenuti dall’amore puro. L’amore solidale tra compagni di un viaggio disperato e spaventante.
Ciò che sembra e ciò che è… L’apparenza e l’inganno. Il tradimento. Chi frega chi?
Il bisogno di controllo e padronanza, di sé e del mondo, dove l’esperienza quotidiana, solitamente, è quella del contrario.
Regole funzionali e regole disfunzionali: il valore delle regole che servono a proteggere e quelle che ingabbiano e ingannano.
Tutti vittime di regole: il piccolo e il grande, capi e subordinati, ricchi disperati nella loro noia e poveri ricchi solo della speranza e della disperazione che li porta a giocarsi tutto, dentro un meccanismo in cui ognuno cerca di trovare la salvezza. Come nel più lineare dei sistemi gerarchici, ognuno ha dei sottoposti, ognuno ha dei capi e soprattutto anche il vertice alla fine deve ricevere ordini da qualcun altro.
Vite ferite impegnate nella ricerca di senso e di riscatto. Verso la “possibilità di camminare libero…”.
Più o meno funziona così il gioco: “vorrei offrirle una grande opportunità, un gioco (da bambini?!) per un’opportunità seria di rimettere a posto la sua vita, se vince riceve dei soldi, se perde paga con schiaffi. Può usare il suo corpo per pagare: un tot a schiaffo”. Un gioco, una scommessa, la scommessa con la vita. Un gioco con la morte per avere la possibilità di prendersi in mano la propria vita. Ovviamente… “è una scelta volontaria di aderire al gioco con le sue regole democratiche”. Tra disperazione e fiducia: scegliere una diversa possibilità o scegliere di continuare una vita schifosa. Scegliere quale inferno? È comunque un inferno!
Ognuno ha le proprie miserie. All’inizio tutti sono presi dall’idea di giocarsi il proprio destino, ben presto capiscono le modalità del gioco a partire dal gioco più innocente dei bambini, un due tre stella, che ha un’evoluzione inaspettata in cui ogni giocatore comincia a giocare per vincere, ma anche per non essere sconfitto dal gioco stesso e dagli altri tra cui comincia a evidenziarsi il ‘mors tua vita mea’. La sana, vitale competizione che diventa spregiudicatezza e spietatezza guidate dalla paura della morte.
È semplice alla fine, il gioco del calamaro è un’espressione del gioco della vita: retorico quanto basta, banale quanto fondamentale se ci aiuta ad incontrare ogni parte di noi, dell’essere umano, dell’essere umani, piuttosto che fuggire da qualcosa che tanto esiste e cacciato dalla finestra rischia di sfondare la porta e presentarsi attraverso sintomi fisici e psicologici, come disperazione.
La fine è nota?! Forse… La fine è semplicemente un nuovo inizio?!

37. Estate meravigliosa. Il tuo nemico

“Ti sei svegliato prima dell’alba ma il tuo nemico non l’hai trovato. Quando il sole era basso hai attraversato tutta la pianura ma il tuo nemico non l’hai trovato. Mentre il sole era alto nel cielo hai cercato tra le piante di tutta la foresta ma il tuo nemico non l’hai trovato. Il sole era rosso nel cielo mentre tu cercavi sulla sommità di tutte le colline ma il tuo nemico non l’hai trovato. Ora sei stanco e ti riposi sulla riva di un ruscello, guardi nell’acqua ed ecco il tuo nemico, l’hai trovato”.
Breve storiella zen e anche storiella sulle miserie.
Per quanto la tua vita possa averti presentato difficoltà, fatiche, imprevisti, sfortune e ingiustizie, la più grande miseria è dentro di te, nel momento in cui non ti poni nel giusto modo per affrontare ciò che dall’esterno non hai potuto scegliere né controllare.
Il tuo nemico può diventare il tuo alleato quando diventi consapevole dei tuoi pensieri e comportamenti che generano la tua miseria, le tue emozioni dolorose, le tue relazioni deludenti, le tue giornate stressanti, i tuoi bisogni frustrati e ti predisponi a modificare ciò che è in tuo potere per raggiungere la meraviglia. A cominciare dall’aspettativa che sarebbe dovuta andare diversamente… E dall’aspettativa che avrebbe dovuto essere facile o dovrebbe essere facile ora.

Tante altre storie per la tua consapevolezza e crescita puoi trovarle in ‘Alice nel paese delle miserie’. Lo puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line.

36. Estate meravigliosa. Il segreto

Oggi, per la tua vita meravigliosa, ti presento una storia presa dal libro ‘Una vita degna di essere vissuta’, di Marsha Linehan.
Un uomo aveva comprato una nuova casa e progettato di creare un bellissimo giardino; aveva lavorato sodo e fatto tutto quello che i libri di consigliano di fare, ma i denti di leone continuavano a spuntare sul suo prato.
La prima volta che li aveva visti aveva pensato che per eliminarli sarebbe stato sufficiente strapparli, ma non era andata così. Allora aveva usato il diserbante e per un po’ aveva funzionato. Ma poi i denti di leone erano tornati. Aveva ricominciato da capo e questa volta li aveva strappati e aveva anche sparso il diserbante per ucciderli. Finalmente erano spariti o così pensava…
L’estate successiva i denti di leone erano spuntati di nuovo. Allora l’uomo decise che il problema fosse il tipo di semente che aveva usato per il prato, così spese un sacco di soldi e fece impiantare un nuovo tappeto erboso: funzionò, i denti di leone erano spariti, l’uomo fu molto felice. Aveva cominciato a rilassarsi nel suo bel giardino quando le pianticelle spuntarono da capo; un amico gli disse che la fonte delle erbe infestanti sono gli altri giardini, così l’uomo andò da tutti i suoi vicini e li convinse ad estirpare tutti i loro denti di leone; lo fecero ma senza successo:  i denti di leone tornarono come prima.
Il terzo anno l’uomo era esasperato; dopo aver cercato soluzioni, consultando esperti locali e altri libri di giardinaggio, decise di scrivere al dipartimento dell’Agricoltura per un consiglio; sicuramente lo avrebbero aiutato. Diversi mesi dopo arrivò una busta dall’aspetto ufficiale, l’uomo era molto eccitato, finalmente un aiuto. Strappò la busta e lesse la lettera: “caro signore abbiamo considerato il suo problema e consultato tutti i nostri esperti; dopo un’attenta riflessione, pensiamo di poterle dare un ottimo consiglio: impari ad amare quei denti di leone!”
La morale è sempre quella: rifletti e agisci, agisci e rifletti finché puoi e come devi per CAMBIARE il cambiabile in direzione dei tuoi obiettivi e impara anche ad ACCETTARE (quando ci riesci, addirittura ad amare!?) ciò che non è in tuo potere modificare. Si chiama segreto della serenità…
Trovi diverse versioni quotidiane di questa ‘storia’ anche in ‘Alice nel paese delle miserie’, libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line.

35. Estate meravigliosa. La pace interiore

Un uomo perse il suo anello più prezioso, cercò ovunque per ritrovarlo, ma nonostante la sua fatica non ci riusciva. Si sedette su una pietra, disperato, cercando inutilmente di sopprimere la sua disperazione. Come al solito, il suo cane gli si avvicinò cercando le carezze del padrone. Il vicino di casa lo salutò come ogni sera. Gli amici gli fecero vedere i pesci che avevano pescato e gliene regalarono alcuni. La moglie e i figli lo accolsero con affetto al suo arrivo a casa, esattamente come accadeva sempre. La giornata si concluse nella pace familiare. Purtroppo il tormento per la perdita dell’anello perseguitava ancora l’uomo il quale però penso: “nessuno si è accorto che ho perso l’anello, tutti si sono comportati con me come sempre, perché proprio io devo comportarmi in modo diverso con me stesso?” Fu così che si addormentò sereno.
Ecco allora oggi ti suggerisco:
SMETTI DI RIMUGINARE E RUMINARE ALL’INFINITO, SMETTI DI TORMENTARTI PER CIÒ CHE NON C’È PIÙ, PER CIÒ CHE NON È, PER CIÒ CHE NON È MAI STATO. PER CIÒ CHE NON SEI…
Impara a riconoscere ed apprezzare le ricchezze che appartengono alla tua vita…
Impara ad essere grato perché è così che diventi veramente ricco delle cose importanti che profondamente danno valore alla tua vita…
Impara ad assaporare le meraviglie che già sono per te disponibili o che puoi conquistare nonostante le miserie che pure si rendono presenti…
Va’ in libreria, anche on line e ordina ‘Alice nel paese delle miserie’ … Per la tua pace e serenità…