La crescita personale e la psicoterapia

Possiamo concepire la crescita personale come il percorso in cui ciascuno di noi è impegnato per trovare un equilibrio ed un’integrazione soddisfacente tra il passato (valore della storia personale e familiare, apprendimento dalle esperienze e dagli errori, ecc.), il futuro (sogni, desideri, progetti, ecc.) e il presente (capacità di vivere il momento, di apprezzare quanto l’esperienza quotidiana, momento per momento, può offrire, ecc.).
La psicoterapia è uno strumento, tra gli altri, per curare le distorsioni del processo di sana integrazione tra passato, futuro e presente.
Rispetto al passato le difficoltà possono riguardare: rimorsi, rimpianti, depressione da ciò che non è stato, ruminazioni, ecc.
Rispetto al futuro le difficoltà più frequenti possono essere: ansia anticipatoria, rimuginio, previsioni catastrofiche, ecc.
Rispetto al presente le difficoltà consistono nel vivere fuori o lontano dal presente, incapacità ad apprezzare ciò che la realtà attuale può fornire, con tendenza a spostarsi continuamente nel passato (rabbioso o triste) o nel futuro (pieno di paure).
La cura è la cura delle emozioni, la cura delle convinzioni, la cura delle azioni.
In terapia, impari a riconoscere le tue emozioni, a dare loro valore e dignità, a connetterle ai bisogni che sono frustrati e che si esprimono nelle emozioni dolorose, ma anche a vivere la pienezza emotiva di emozioni belle quando sei appagato e grato. Impari, inoltre, ad esprimere le emozioni in modo adeguato ai contesti e alle situazioni, in modo rispettoso per te e per gli altri e in modo utile a risolvere problemi e soddisfare bisogni.
In terapia, impari a conoscere come funziona la tua mente, le tue convinzioni e credenze, come i tuoi pensieri sono connessi alle tue emozioni e ai tuoi comportamenti. Riconosci le distorsioni del pensiero e impari a correggerle in modo che i tuoi pensieri diventino per te utili e funzionali alle tue scelte e alle tue relazioni.
In terapia, impari a conoscere le tue azioni, come ti comporti e perché ovvero conosci la relazione tra i tuoi comportamenti, i tuoi bisogni che cerchi di soddisfare e i valori che cerchi di esprimere ed incarnare attraverso le tue azioni.
La terapia ti fornisce la possibilità di una crescita personale che non è garanzia di felicità e perfezione; ti fornisce piuttosto uno strumento in direzione di una vita consapevole e responsabile ovvero caratterizzata dalla capacità di impegnarti a costruire, con passione e desiderio, la Vita che Veramente Vuoi, imparando, al contempo, ad accettare quella quota inevitabile, per tutti noi, di limiti, frustrazioni, delusioni e impotenza.

A modo tuo

Traumi, dolori, ferite, angosce tendono a tornare e forse lo faranno per sempre. Noi possiamo imparare a governarli al meglio ovvero riconoscerli e disinnescare la sofferenza che generano. La sofferenza che noi generiamo col ‘mantenerli in vita’ oltre la loro tendenza a ripresentarsi.
Quello che si può fare, ad esempio, in terapia è:
1. Riconoscere la sofferenza attuale: ansia, depressione, sintomi vari, problemi di relazione, ecc.
2. Comprendere cosa genera e mantiene questa sofferenza: le situazioni che viviamo, le emozioni che proviamo, i pensieri che facciamo, come ci comportiamo
3. Rivedere la nostra storia dolorosa connessa alla sofferenza attuale
4. Mettere in discussione se stessi e gli altri. Errori e colpe sono punti di partenza per modificare il modificabile
5. Attribuire nuovi significati a ciò che abbiamo vissuto
6. Trarre ora sollievo emotivo e riduzione del dolore da questa rivisitazione
7. Individuare ora nuove azioni e nuovi modi di reagire ed agire di fronte al passato doloroso che ritorna al presente

La cura di sé e la cura degli altri… E la psicoterapia!

Questo Post nasce dalla visione di un TEDx su YouTube che mi ha fornito lo spunto per esporre il mio pensiero terapeutico che cerco di far conoscere attraverso il mio blog da più di 5 anni ormai e che è contenuto anche nel mio libro ‘Alice nel paese delle miserie’.
Ecco il link al video (dura 16 minuti). https://youtu.be/mUwK2Kpkd5Q
Ti consiglio, poi fai come vuoi, di vedere prima il video poi leggere il mio post.
Hai visto il video? Discorso che non fa una piega dal punto di vista ideale quello della Bush. Nella realtà ci sta tutta la difficoltà che ognuno di noi trova nel renderlo effettivo.
La psicoterapia lavora sul cercare di comprendere questo scarto ideale-reale e aiutare il più possibile la persona alla vita che veramente vuole.
La psicoterapia aiuta a comprendere il senso delle nostre scelte quotidiane, come di quelle storiche che hanno svoltato in senso positivo o negativamente la nostra vita, come di quelle più antiche, quasi sempre implicite, prese senza consapevolezza cosciente, ma con intuizione e intenzione inconscia che quella fosse la scelta migliore per stare al mondo. Le scelte antiche sono quelle prese da bambini, con la mente infantile rudimentale (e consolidate poi negli anni) nel contesto della vita in cui cresciamo, la vita che a un bambino capita e non sceglie: i genitori, ciò che sono, come si comportano, i valori che propongono esplicitamente o indirettamente; le esperienze che ci capitano, situazioni traumatiche che possiamo aver dovuto, senza volere ovviamente, affrontare perché ci sono capitate. In questo contesto dei primi anni di vita, solitamente i primi 5 o 10 o 15 sono fondamentali, facciamo queste ‘scelte precoci strategiche’ ovvero volte sostanzialmente ad ottenere Amore e Stima che da piccoli sono importanti come l’ossigeno. Facciamo queste scelte perché la nostra mente e quindi le nostre scelte sono molto più dipendenti dalla mente e dalle scelte altrui. Intorno ai 14 o 15 anni la nostra mente comincia ad essere più ‘autonoma’.
Allora ecco l’ideale. È una sintesi rivisitata del discorso di Alice Bush, integrato con mie considerazioni.
Questo il punto di partenza: per essere veramente felice e per aiutare gli altri ad essere veramente felici  NON COMPIACERE LE ASPETTATIVE ALTRUI. Se compiaci gli altri ti allontani dalla vita che veramente vuoi. Annulli di fatto te stesso e finisci per deludere tutti, te per primo perché compiacere è una scelta che ti fa rinunciare a tanto altro, perché comunque ogni scelta non è perfetta e quindi c’è sempre un costo emotivo da pagare. Qual è il costo emotivo che sei disposto a pagare facendo le tue scelte? Ecco 3 esempi.
1. Non scegliere la LAUREA o il LAVORO cercando di compiacere le aspettative altrui, cercando di conseguire gli obiettivi altrui che credi erroneamente siano i tuoi, magari per dimostrare di essere una persona che vale e che ‘merita’ di essere amata per questo (si chiama amore condizionato… ed è sempre tossico).
2. Non scegliere come stare in una RELAZIONE compiacendo le aspettative altrui nell’idea evidentemente malsana che così sarete felici, se ciò che fai non è veramente ciò che vuoi, prima o poi rabbia, risentimento e delusione reciproca mineranno in maniera importante la relazione che finirà (e sarebbe meglio) o continuerà in maniera malsana e piena di sofferenza reciproca; sarebbe un’altra versione di tossico ‘amore condizionato’. Sto con te se sono come tu mi vuoi o stai con me ma devi essere come io ti voglio o versioni simili.
3. Non ti sacrificare per i bisogni altrui, ANCHE QUANDO GLI ALTRI SONO I FIGLI, con l’idea evidentemente fallimentare che l’altruismo equivalga all’auto-sacrificio, scambiato erroneamente per amore. Qual è la tua idea di buon genitore? Quello che per amore dei figli si annulla per loro? Quella di ‘trascurare se stessi sempre e comunque’ (i propri bisogni e i propri valori) per ‘curare’ il benessere dei figli, a prescindere da ogni altra cosa? Prima o poi saliranno delusione, fatica insopportabile, risentimento, perdita di pazienza che mineranno, oltre che il proprio benessere personale, la relazione coi figli, che non è proprio l’obiettivo di amore e cura che abbiamo verso di loro. Alla fine finisci per sentirti lontano dal genitore che vorresti essere. E certo non l’esempio che vorresti essere per i tuoi figli.
Queste tre storie diverse tra loro (lavoro, relazione affettiva, genitorialità) hanno in comune che sono, più o meno consapevolmente, guidate dal senso del dovere e dal senso di colpa e che finiscono per creare sofferenza per tutti, per sé e per le persone più vicine, care e che amiamo.
Finiamo dunque per vivere una vita in base alle aspettative e ai bisogni altrui.
In realtà, questo la Bush lo lascia intendere implicitamente, soddisfare i bisogni altrui risponde inconsciamente al nostro bisogno profondo di Amore e Stima che ci porta erroneamente all’AMORE CONDIZIONATO: “mi sento amato e stimato se e solo se… soddisfo i bisogni degli altri”. E finiamo dunque per vivere una vita lontana dalla Vita che Veramente Vogliamo.
La nostra società, ma non è così in tutte le culture e le parti del mondo, da sempre ci racconta, per i motivi più svariati che sarebbe qui troppo lungo indagare, che per essere felici dobbiamo soddisfare i bisogni e le aspettative altrui. Senso del dovere e suo fratello il senso di colpa a ricordarcelo in tutti i modi e in tutti i luoghi. Ma, tanto per fare un esempio concreto, sull’aereo in caso di pericolo, ci dicono prima indossa la maschera per avere il tuo ossigeno per poter essere veramente d’aiuto agli altri. E il grande Fritz Perls ci ha donato questa perla a ricordarci qualcosa del genere e di fondamentale: “io sono io e tu sei tu, io non sto al mondo per soddisfare le tue aspettative e tu non stai al mondo per soddisfare le mie, se ci incontriamo può essere molto bello, altrimenti ognuno per la sua strada”.
In sintesi: ogni scelta implica una rinuncia. Conosci la tua rinuncia? Facendo la tua scelta scegli di prenderti cura di alcuni tuoi bisogni e ne trascuri altri. Conosci ciò che stai trascurando?
Inizia veramente a prenderti cura di te iniziando prima di tutto a comprendere quella che noi possiamo chiamare con un acronimo o sigla VVV, la Vita che Veramente Vuoi. La Bush la chiama “una vita dalla quale non vogliamo scappare ogni due minuti. Una vita un cui vogliamo essere presenti e protagonisti per noi stessi e per gli altri”. Per essere veramente presenti e di aiuto agli altri dobbiamo prima necessariamente essere noi soddisfatti piuttosto che tristi ed esausti, senza energie e risentiti. “Avere il coraggio di piacere a se stessi prima che agli altri, avere il coraggio di mostrarsi per come si è”. Avere una vita che veramente scegliamo noi per creare spazio, forza ed energia per esserci per gli altri veramente ed efficacemente quando gli altri hanno bisogno di noi.
La VVV è fatta di tre ingredienti fondamentali secondo la Bush e idealmente anche secondo me. La vita in cui vogliamo stare:
1. TROVA I TUOI VALORI (distinguendoli dai tuoi obiettivi). I valori sono mete ideali verso cui tendere, gli obiettivi sono traguardi da raggiungere. Cosa è veramente importante per me? I valori forniscono la base solida in cui sentirti radicato e quando vivi momenti difficili e sembri perdere il controllo ti aiutano a prendere le decisioni giuste per te, sentendoti allineato con la persona che vuoi essere, orientata da quei valori. I valori sono potenzialmente infiniti, quelli fondamentali probabilmente sono circa 5 per ciascuno di noi.
2. ASCOLTA I TUOI BISOGNI (salute, affetti, soddisfazione lavorativa, come tre aree primarie). È fondamentale trovare il coraggio e creare tempo e spazio per riuscire a soddisfare i nostri bisogni.
3. IMPARA A DIRE NO. Parolina semplice da dire in teoria. In pratica difficilissima perché ci mette di fronte alle nostre paure più profonde, le solite di origine antichissima, di sentirci giudicati, di deludere, di essere rifiutati, abbandonati, di non ricevere insomma Amore e Stima. Paura di sentirci persone Non amabili e Prive di valore.
Allora prendersi cura di sé vuol dire sostanzialmente prendersi la RESPONSABILITÀ di prendersi cura della propria felicità per potersi prendere cura della felicità degli altri. Prendersi la responsabilità delle proprie scelte. A partire dalla scelta che sembra banale quanto è fondamentale di diventare veramente padroni del proprio tempo, oltre le pretese della società del “corri e scappa”, che finisce per generare sempre più ansiosi (di non farcela) e di depressi (per non avercela fatta).
Prendersi la responsabilità delle proprie scelte allora equivale sostanzialmente a dire NO sapendo che stai dicendo SÌ a qualcosa di altro veramente importante per te, stai dicendo SÌ A TE STESSO (e qui rifanno capolino senso del dovere e senso di colpa con cui devi fare i conti).
Prendersi la responsabilità di prendere per sé prima di poter dare agli altri. Prendere il tuo ossigeno affinché tu possa veramente aiutare l’altro a prendere il suo. Il sano egoismo come base di partenza per il più grande, puro ed efficace degli altruismi.  Per prenderci cura degli altri dobbiamo prima prenderci cura di noi.
Allora laddove la società esterna (ciò che abbiamo succhiato da una vita) e il Tiranno interiore (derivato dei diktat sociali e culturali) ci impongono Doveri e Proibizioni (per sentirci persone Amabili e di Valore) che noi sentiamo non più adatti a noi e a chi vogliamo essere e alla Vita che Veramente Vogliamo (sempre nel rispetto dei confini della convivenza con l’altro), dobbiamo prenderci la RESPONSABILITÀ ovvero il CORAGGIO che SUPERA LA PAURA di darci dei PERMESSI.
Il permesso di deludere …
Il permesso di ascoltare i nostri bisogni …
Il permesso di dire NO …
E tanti altri permessi laddove incontriamo doveri, imposizioni, divieti e proibizioni che vanno bene per gli altri, ma non per noi stessi.
Ineccepibile questo discorso. Idealmente. Tradurlo in realtà effettiva è ciò che di più difficile incontriamo nella vita.
Qui del resto nasce la domanda: quanto è potente la spinta dal basso, dal profondo, dell’antico dentro di noi di cercare Amore e Stima? Quanto è potente rispetto ad una Vita che Veramente Vogliamo basata su quei concetti fondamentali: Valori, Bisogni, NO ovvero Responsabilità che dovrebbero orientare le nostre scelte di cura di noi?
Quando la Bush parla di “avere il coraggio di piacere a se stessi prima che agli altri” tira in ballo implicitamente quanto sia importante, per vivere la Vita che Veramente Vuoi, affrontare la paura, la paura di deludere, la paura ‘profondamente profondissima, scolpita nel corpo fin da bambini’, di non ricevere quell’Amore e quella Stima.
La sofferenza emotiva che porta le persone in terapia nasce in quello scarto. Ovviamente questa è una grande generalizzazione perché comunque i fattori che intervengono a determinare il proprio disagio a partire da quello gravissimo sono diversi da caso a caso. Esistono purtroppo limiti iniziali anche genetici o costituzionali che hanno un grande peso. Esistono esperienze traumatiche che segnano in modo profondo. Per questo una prima valutazione fondamentale richiede di cercare fattori problematici (limiti con cui nasciamo o che sviluppiamo precocemente anche per l’ambiente in cui cresciamo) e fattori protettivi (risorse che abbiamo a nostra disposizione per fronteggiare i fattori negativi).
Fatta questa valutazione quindi distinguendo da caso a caso, da storia a storia, ogni richiesta di aiuto da ogni altra, la psicoterapia, la cura, l’aiuto intervengono su alcuni punti fondamentali:
– Conoscere i propri modi disfunzionali di stare al mondo fondati sulla compiacenza e sul sacrificio di sé;
– Conoscere o disegnare la Vita che Veramente Vogliamo (Valori, Bisogni, NO);
– Prendersi la Responsabilità della cura di sé ovvero affrontare la Grande Paura Profonda di non sentirsi Amati e Stimati;
– Darsi dei Permessi.
In queste coordinate concettuali della terapia, questa aiuta la persona a ridurre lo scarto tra Vita Ideale e Vita Reale, a governare frustrazione e delusione che la vita reale presenta regolarmente, a cambiare ciò che possiamo cambiare e accettare ciò che dobbiamo accettare. Ricordi la preghiera della serenità?
In sintesi estrema:
SE NON È TUA LA COLPA È TUA LA RESPONSABILITÀ…
CAMBIA CIÒ CHE PUOI, ACCETTA CIÒ CHE DEVI…

L’arte di vivere

Buongiorno. Io come psicoterapeuta mi trovo spesso per aiutare le persone a favorire un qualche tipo di assertività. È un concetto un po’ di moda da qualche decennio che spesso viene usato in corsi e corsetti come fonte di aiuto e anche di business. Perché? Perché l’assertività nel suo nucleo fondamentale significa ESPRIMERE I PROPRI BISOGNI PENSIERI ED EMOZIONI FACENDO RICHIESTE MIRATE IN MODO DA RISPETTARE SÉ E GLI ALTRI NON OFFENDERE NESSUNO CERCARE DI AUMENTARE LA PROBABILITÀ DI OTTENERE CIÒ DI CUI SI HA BISOGNO. E fin qui tutto chiaro e anche allettante, per esempio, da applicare in azienda, nei propri gruppi di lavoro, ma anche nelle relazioni private, in famiglia, con gli amici e anche dal fruttivendolo e dal salumiere come forma di educazione e rispetto senza pretendere, ma imparando a chiedere e accettando che a volte non si ottiene ciò che si vorrebbe, anche se ciascuno di noi, chi più chi meno, vorrebbe che gli altri, la realtà, la vita fossero come piace a noi.
Qui si aprono due questioni. La prima sottolinea quanto detto sopra. La preghiera della serenità: “oh signore o universo dammi la forza per cambiare ciò che posso, la serenità per accettare ciò che non posso cambiare e soprattutto la saggezza di distinguere tra le due”. Un’altra preghiera sottolinea un altro aspetto di quanto detto, a mio parere ‘dovrebbe’ essere un’ispirazione, anzi ‘potrebbe’ essere un’ispirazione per tutti, ma appunto ognuno sceglie come sente, come vuole, come riesce, come può; eccola: “io sono io e tu sei tu, io non sto al mondo per soddisfare le tue aspettative e tu non stai al mondo per soddisfare le mie, se ci incontriamo può essere molto bello, altrimenti ognuno per la sua strada” (Preghiera della gestalt).
Ora la seconda questione aperta dal tema dell’assertivitá è molto fica, molto yeahhhh, piena di tecniche per ‘diventare più assertivi, capaci di affermare sé e migliorare la propria autostima e le proprie relazioni’. Oh yeahhh. Però certe volte arrivano i però. E sono quelli che si incontrano in terapia quando la persona ha capito tutto quello che c’è da sapere sull’assertività, a livello concettuale e tecnico (ha imparato tante strategie per….), ma nell’atto di applicarle trova difficoltà, in particolare incontra LA PAURA DI DIRE CIÒ CHE VORREBBE DIRE… MA NON RIESCE A DIRE. E qui, alla fine del lavoro sull’assertività che ha portato comunque ottimi risultati in tanti ambiti e relazioni, inizia il lavoro terapeutico sulla paura. Per chi si sente pronto per farlo. La terapia è più faticosa di un corso di apprendimento di strategie e tecniche. Diciamo che sono due step diversi del proprio percorso di crescita personale. Qui mi fermo, non voglio fare pubblicità al mio lavoro….

Passo però a parlare di una questione personale. Cercherò di essere breve. Da qualche tempo sto affrontando qualche problema di salute. Questo ha portato me, la mia famiglia, tutti i miei più cari amici e tanti conoscenti vicini e lontani a combattere insieme, ciascuno offrendo il proprio contributo di vicinanza, solidarietà, amore, ciascuno a suo modo, ciascuno da me apprezzato, facendomi sentire tanto tanto tanto amato. L’amore è la migliore delle cure. Si è aperto però anche un problema; da qui prende senso il cappello sull’assertività. In particolare, il fatto che nell’espressione della mia assertività dicendo ‘tante grazie per la tua vicinanza che sento nel mio cuore nascere dal tuo cuore e che mi aiuta e sostiene…. Grazie ma anche meno ‘. Sto mettendo in questo modo un limite (è uno dei principi dell’assertivitá) e il mio pensiero, condito di paura, è: potrebbe offendersi, potrebbe non capire ciò che volevo dire, potrebbe sentirsi non compreso, addirittura rifiutato o altro del genere che potrebbe portare ad emozioni di dolore, rabbia, tristezza e altro ancora. Mi dispiace ma questo è. Vi invito a rileggere le due preghiere. Il tuo desiderio di essermi vicino è totalmente legittimo e ti rende onore, solo che a volte le modalità, ad esempio cento messaggi, cento domande, cento per mille persone diventa un lavoro da gestire che nonostante il desiderio di partenza, invece che leggerezza e sostegno aggiunge pesantezza. E questo lo sperimento io personalmente e le persone più care a me vicine. Chattare non può diventare un lavoro soprattutto in un momento in cui forze e risorse sono dedicate ad altro. Quindi la mia richiesta assertiva è: diamoci una regolata, accetto con gratitudine ogni messaggio, vi dico che non risponderò immediatamente, ma se e quando possibile. Spero non ci restiate male, offendiate o simili. Altrimenti sarebbe comunque un ottimo punto di partenza per lavorare su voi stessi e la vostra crescita personale.
Vi ringrazio per l’attenzione e la pazienza e vi mando un caro saluto dal profondo del mio cuore. Con amore ❤️

Le insidie della scelta

Le nostre SCELTE sono sempre l’esito di un CONFLITTO tra parti, ad esempio, una parte di me che vuole parlare, esprimersi, dire qualcosa di sé e una parte di me che, invece, non vuole parlare, vuole tenersi tutto dentro o qualcosa del genere.
È importante avere la capacità di LEGITTIMARE ognuna di queste parti ovvero riconoscerle, ascoltarle, dare loro valore semplicemente in quanto parti di noi che rivelano i nostri bisogni, pensieri ed emozioni e in base a questa legittimazione prendere una DECISIONE. La scelta tra parti da cui farsi guidare nel comportamento, in questo momento. Magari in un altro momento, in altre condizioni, avremmo fatto o faremo un’altra scelta ovvero sceglieremo di far prevalere altre parti. Ad esempio, l’altra volta sono andato al mare, oggi resto a casa, forse la prossima volta farò un’altra scelta ancora. Stavolta ho scelto di stare in silenzio rispetto all’altra volta in cui ho detto per filo e per segno cosa pensavo e chissà in un’altra occasione farò un’altra scelta ancora. Trova i tuoi esempi in cui prevale una certa parte ad orientare la tua azione…
La decisione che prendiamo, più o meno consapevolmente e con un maggior o minor grado di riflessione o impulsività, ci richiede, comunque, di FARCI CARICO della RESPONSABILITÀ delle CONSEGUENZE che la nostra SCELTA comporta. Conseguenze emotive (COSA PROVIAMO), comportamentali (COME REAGISCONO GLI ALTRI) e interpersonali (quale circolo di AZIONI e REAZIONI si attiva nello scambio con l’altro, quando un’altra persona è coinvolta nella nostra scelta).
Almeno questo fa l’adulto, a questo è chiamato l’adulto. Ma a volte l’essere adulti è solo una questione anagrafica, mentre da un punto di vista psicologico e affettivo siamo ‘bambini’, BAMBINI FERITI, bambini addolorati, angosciati, impauriti, arrabbiati, tristi, soli che sentono profondamente FRUSTRATI ALCUNI BISOGNI PRIMARI di base: amore, protezione, sicurezza, connessione emotiva, validazione e legittimazione dei bisogni e delle emozioni, regolazione emotiva, appartenenza, esplorazione, stima, incoraggiamento, sostegno, regolazione dei limiti, autonomia, riconoscimento, inclusione sociale, ecc.; non solo oggi, ma da tempo immemore, appunto da quell’età infantile in cui la ferita ha cominciato a formarsi per essere successivamente consolidata da altre esperienze di frustrazione che hanno ripetuto ciò che avvenne in origine.
La FERITA è una GRANDE CALAMITA e oggi l’adulto è attratto da essa, quando oggi vive esperienze che ‘emotivamente’ lo riportano da qui e ora a lì e allora. Da quello che sta succedendo oggi che rievoca, in modo non sempre chiaro e consapevole, ciò che successe allora.
Per questo, nonostante sappiamo razionalmente di ripetere gli stessi errori, non riusciamo a non ricascarci.
Per questo, abbiamo compreso i motivi del nostro comportamento, sappiamo che dovremmo fare qualcosa di diverso, ma non riusciamo a cambiare.
Per questo, non basta leggere libri e post per curarsi.
Per questo, l’esperienza terapeutica, oltre che sulla comprensione razionale di motivi, del senso e del valore delle scelte antiche e di quelle attuali, è fondata in maniera fondamentale sulla ricerca di una NUOVA ESPERIENZA EMOTIVA che sia REALMENTE TRASFORMATIVA DELLA FERITA e DELLA TENDENZA a RIPETERE i COMPORTAMENTI CHE LA CONFERMANO e la fanno RIVIVERE alla persona con tutto il carico di dolore e frustrazione.

Il corpo malato esprime la psiche addolorata

Molta parte della nostra sofferenza emotiva ha a che fare col giudizio, con la paura di essere giudicati, col sentirsi costantemente giudicati, col non sentirsi “mai a posto”. Hai la sensazione di rincorrere sempre qualcuno o qualcosa, cercando di… Ma non riuscendo mai a… Cercando di dimostrare di essere adeguato, capace, all’altezza… Ma sentendoti sempre “non abbastanza”.
Tutto questo, se una volta è stato uno scenario esterno, ripetuto in più episodi e scambi con persone importanti della propria crescita, ben presto è diventato un teatro interiore, sempre in scena, in ogni momento, in ogni movimento, in ogni gesto, in ogni pensiero. Per poi ridiventare esterno, proiezione del proprio autogiudizio severo sullo sguardo degli altri, percepiti continuamente minacciosi, pericolosi perché percepiti potenti in quanto in grado di affossare il proprio senso di autostima e veicolare la sensazione e l’idea di essere una persona “sbagliata”.
Nel tempo il giudice si è incarnato. È diventato corpo, sensazioni somatiche di tensione, dolore, pesantezza, malessere somatico generalizzato. E ha anche preso la forma di fantasie e pensieri persecutori, ad esempio sentirsi costantemente sotto tiro degli altri che “pensano di me” che sono “sbagliato”, “cattivo”, “strano”, “diverso”, ecc..
Il corpo malato esprime la psiche addolorata ed insieme urlano rabbia e dolore, paura e desiderio di riscatto.
Ognuno porta appresso questo fardello come meglio riesce, ognuno di noi cerca di conviverci se non riesce a liberarsene completamente. E fare un lavoro su se stessi di emancipazione e liberazione dalla paura del giudizio è un’impresa che dura tutta la vita…
La psicoterapia è uno strumento, tra gli altri, che consente di conoscere ed esplorare questa paura per imparare a venirci a patti…
E ogni persona che lavora su di sé per ridurre il dolore, può farlo: imparando a sentire il corpo come canale di accesso primario e privilegiato alla consapevolezza di sé e alla cura di sé; imparando a riconoscere e governare i pensieri, trasformando il dialogo interiore auto-persecutorio in una serie di pensieri più ‘comprensivi’, utili e realistici; imparando a riconoscere e regolare le emozioni più dolorose; imparando ad adottare comportamenti più sani e utili rispetto ai propri bisogni più vitali; imparando a governare le relazioni interpersonali (a casa, al lavoro, ecc.) in modo da vivere relazioni più soddisfacenti; imparando a fare scelte sempre più orientate dai propri valori consapevoli (cosa è importante per me, che vita vorrei e come devo impegnarmi per cercare di avvicinare la mia vita reale alla mia vita desiderata);  imparando ad accettare quella quota di inevitabile frustrazione che è parte integrante del vivere.

Confidenza emotiva

Molte persone considerano le EMOZIONI come le PEGGIORI NEMICHE, le emozioni dolorose e anche quelle gioiose. Le prime vissute spesso come solamente disturbanti, le seconde perché “sono sempre più rare”, “quando arrivano durano poco”. In realtà, moltissime persone hanno difficoltà a maneggiare le emozioni. Anche quelle positive che si lasciano sfuggire: incapacità di gratitudine, incapacità a godersi i risultati raggiunti, difficoltà a trovare gioia nelle piccole grandi cose; solo per fare qualche esempio.
Per motivi che appartengono ad aspetti sociali, culturali, familiari e personali di varia natura abbiamo scarsa confidenza con il mondo delle emozioni. Per dirla semplicemente su una questione complessa: manchiamo un po’ tutti di una sana educazione emotiva. Questo, tra l’altro, porta molte persone a viversi una ‘impotenza passiva’ di fronte al proprio mondo emotivo, più o meno oscuro a se stessi, piuttosto che favorire un più sano e utile atteggiamento di ‘attiva responsabilità’ di fronte alle proprie emozioni che, anche fuori dalla consapevolezza personale, svolgono comunque un ruolo fondamentale nella nostra esperienza quotidiana e nella regolazione del nostro comportamento.
Vediamo più da vicino. Soprattutto il funzionamento delle cosiddette emozioni negative che tanto colorano le nostre giornate.
Le EMOZIONI DOLOROSE ci segnalano i nostri bisogni insoddisfatti e ci spingono all’azione. Dovrebbero, idealmente. Realmente, purtroppo, non sempre è così. Troppo spesso va in un altro modo.
La PAURA ci tiene fermi al palo, preferiamo il noto stagnante all’ignoto spaventante.
La PREOCCUPAZIONE ci porta a rimuginare invece che ad agire.
La VERGOGNA ci blocca rispetto all’esprimere parti vitali e desideranti di noi stessi, sarebbe un’onta insostenibile sentirsi giudicati per chi siamo e per cosa facciamo.
La TRISTEZZA ci porta ad allagarci delle nostre stesse lacrime, e non ci fa cercare il conforto utile e amorevole per superare il momento doloroso.
Il SENSO DI COLPA ANTICIPATO ci fa tentennare dal fare ciò che vorremmo fare; il timore è di far male ad altri, se dessimo seguito ai nostri desideri.
Il SENSO DI COLPA PER QUALCOSA DI GIÀ FATTO ci fa ruminare in modo dannoso, invece che tentare di comprendere e ‘riparare’.
La nostra legittima RABBIA si veste di paura di distruggere le nostre relazioni e di restare soli e finiamo per distruggere solo noi stessi tenendola tutta dentro. Oppure la esprimiamo in modo eccessivo, violento.
L’INVIDIA ci lascia nel rancore invece di farci accendere il motore per migliorare noi stessi.
Il RIMORSO è come uno sputo che ci diamo addosso e poi un altro e un altro ancora e dimentichiamo che probabilmente ciò che abbiamo fatto ci sembrava giusto allora.
Il RIMPIANTO ci lascia a ruminare sul tempo passato e ci trattiene dal fare ciò che ora sarebbe per noi utile fare.
La NOSTALGIA ci ancora con dolore al passato e ci impedisce di vivere con pienezza il presente.
Il DOLORE, purtroppo inevitabile di fronte a certe delusioni e perdite, se lo neghiamo, finisce per ingigantirsi e gonfiarsi di altri pensieri velenosi ed emozioni tossiche che potremmo, invece, assolutamente evitare.
Quando arrivano certi FATTI SPIACEVOLI, dobbiamo imparare a riconoscere i PENSIERI che ci facciamo sopra e accogliere le EMOZIONI che emergono di conseguenza.
Quando succedono certi eventi, le emozioni che proviamo sono assolutamente naturali e sane e dobbiamo imparare a legittimarle ovvero a considerarle messaggeri importanti rispetto a ciò che ci sta accadendo e ai BISOGNI che abbiamo.
Se riconosciamo l’emozione e il bisogno, possiamo adottare L’AZIONE più sana e utile per soddisfarlo e ristabilire un nostro equilibrio interno e con la realtà esterna.
Solo così possiamo vivere veramente bene un nuovo momento… E ogni nuovo momento… E ogni nuovo giorno del resto della nostra vita…
Molta parte della sofferenza, troppo spesso, è dovuta all’incapacità che abbiamo di maneggiare le emozioni… Che… Non riconosciute, non legittimate, non comprese, non espresse in modo adeguato, trovano ‘vie malate per farsi riconoscere’, sono diventate sintomi psicologici e somatici, creando problemi spesso anche nelle relazioni.
In psicoterapia, nella diversità di ogni percorso legato all’unicità della richiesta d’aiuto della persona, si lavora sempre e comunque, in modo esplicito o implicito, sull’apprendere, coltivare e potenziare la ‘confidenza col proprio mondo emotivo’ e la capacità di ‘padroneggiare’ le proprie emozioni al servizio di scelte consapevoli, responsabili, utili al nostro benessere psicologico, fisico e interpersonale.

La corazza e la cassetta degli attrezzi

La CORAZZA è il vestito della nostra vita. È il vestito della nostra ferita emotiva. È l’insieme delle nostre caratteristiche, fisiche e psicologiche, che definiscono il nostro MODO DI ESSERE. Qualcuno lo chiama carattere. In piccola parte innato, in grandissima parte appreso.
Lo abbiamo appreso attraverso le nostre esperienze di vita, soprattutto inconsapevoli. È il modo in cui ci siamo adattati al mondo materiale, affettivo e interpersonale che abbiamo incontrato. Abbiamo avuto a che fare con i comportamenti delle persone che ci sono capitate, i genitori ad esempio, e che abbiamo incontrato, tutti gli adulti che hanno avuto un ruolo importante per la crescita della nostra personalità. Tanto più eravamo piccoli tanto più eravamo dipendenti da cosa i grandi ci facevano vivere e credere come verità. Crescendo abbiamo acquisito maggiore autonomia di pensiero e azione, abbiamo cominciato ad influenzarci reciprocamente con i coetanei dai gruppi sociali in generale, compresa la società nel suo insieme, coi suoi valori culturali e i suoi messaggi conseguenti.
Comunque, i semi sono stati piantati agli albori della nostra vita. Quei semi sono le fondamenta su cui nella vita costruiremo il resto. Le fondamenta che sono i fili di ferro intrecciati con cui è costruita la corazza.
La corazza è l’insieme degli automatismi inconsapevoli del nostro modo di stare al mondo.
La corazza è FISICA: il nostro atteggiamento corporeo, la nostra postura, la nostra gestualità, la forma del corpo, l’espressione del corpo, il modo in cui si muove, il modo in cui resta bloccato, ecc.
La corazza è EMOTIVA: il nostro modo tipico di percepire, riconoscere, esprimere e vivere le emozioni, il modo in cui diamo loro significato in relazione alle esperienze che facciamo. O il modo di ignorarle e bloccarle nel corpo.
La corazza è RELAZIONALE: i nostri schemi interpersonali, il modo tipico di approcciarci alle persone, di avvicinarle e di farci avvicinare, di comunicare, ecc.
La corazza è anche il nostro modo tipico di PENSARE: credenze, convinzioni, distorsioni del pensiero, ecc.
La corazza è l’insieme delle nostre ABITUDINI: le nostre azioni solite, i nostri automatismi, a volte funzionali, altre volte disfunzionali.
La corazza è servita a ‘DIFENDERCI’ da quelle che abbiamo sentito come ‘MINACCE’ alla nostra vita. Abbiamo sviluppato questa corazza come risposta adattativa alle esperienze vissute in generale, ai traumi piccoli o grandi che possiamo aver vissuto, in particolare, a come ci hanno trattato le persone, ecc.
La corazza ci ha permesso di ‘SOPRAVVIVERE PSICOLOGICAMENTE’, a volte nei casi traumatici anche fisicamente; ci ha permesso di fare il meglio che abbiamo trovato per CAVARCELA negli eventi della vita. Ovvero per sentirci persone sostanzialmente degne di AMORE e con intrinseco VALORE personale, amabili e stimabili.
Usando un’altra metafora, la corazza è una vera e propria ‘CASSETTA DEGLI ATTREZZI’.
Ciò che ci è servito è diventato un attrezzo (strumento, strategia, modalità) che abbiamo scoperto, costruito, appreso e fatto nostro, quasi sempre in modo inconsapevole.
Cosa ci è servito nella vita per adattarci, sopravvivere, vivere, crescere, sentirci degni d’amore e di stima?
Ci è servito NON PIANGERE, lo abbiamo imparato e fatto nostro come abitudine emotiva e fisica. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ci è servito CHIUDERCI, il nostro corpo e la nostra mente hanno imparato a chiudersi o a nascondersi o a non mostrarsi o a risultare invisibili. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ci è servito MOSTRARCI, il nostro corpo si mostra, si espande, è propenso ad avvicinare gli altri; siamo espressivi, istrionici, a volte invadenti, ecc. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ci è servito CONGELARCI EMOTIVAMENTE, il nostro corpo e la nostra mente raccontano la storia di una vita in cui abbiamo imparato a bloccarci, a non esporci, a non disturbare, a non esprimersi. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Gli esempi sono sostanzialmente infiniti. Trova i tuoi attrezzi…
Ogni individuo attraverso la sua corazza psicocorporea esprime tutti gli attrezzi che nella vita ha dovuto fare suoi (ha scelto) per affrontare le esperienze e risolvere i problemi che ha incontrato: eventi, persone, situazioni, dolori, traumi, ecc. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ecco perché la corazza è anche sempre il guscio della ferita.
Conosci la tua corazza?
Conosci la tua cassetta degli attrezzi?
Conosci la tua ferita?
Quando i sintomi fisici e psicologici si fanno importanti, la nostra sofferenza ci invita a conoscerle, la corazza e la cassetta. A cercare di comprendere cosa sta succedendo nella nostra vita.
Chi riesce a riconoscere di stare male e si legittima il suo bisogno di aiuto, può arrivare a chiedere aiuto. La psicoterapia è una possibilità d’essere aiutati ad affrontare i problemi che ci procurano frustrazioni e dolore.
In psicoterapia, si lavora per comprendere in che modo la sofferenza è connessa non solo a difficoltà attuali, ma anche alla propria storia di vita quindi alla corazza, alla propria cassetta degli attrezzi.
In psicoterapia, la persona cerca di rendere più FLESSIBILI i MECCANISMI della CORAZZA, mantenendo quelli che servono ancora a proteggersi e cercando di lasciar andare quelli che oggi creano solo sofferenza.
In psicoterapia, la persona cerca di AMPLIARE la sua CASSETTA degli ATTREZZI, non per sostituire i vecchi, quelli potranno essere sempre utili al bisogno, ma per integrare nuove possibilità per trovare soluzioni alternative ai problemi, alle frustrazioni, alle relazioni interpersonali dolorose, ecc.

Piuttosto che lamentarti…

Fa caldo? Rinfrescati! Fa freddo? Copriti!
Piuttosto che lamentarti, scegli di occuparti del problema di cui ti lamenti e del bisogno che senti frustrato.
Per stare bene, non devi aspettare né sperare (sì, magari a volte sì, poche volte), devi prima di tutto agire, prenderti cura, curare il modo in cui impieghi il tuo tempo, le attività a cui ti dedichi, le persone che frequenti, le cose che scegli di dire e non dire, di fare e non fare.
Per questo, è importante la consapevolezza.  Essere consapevole di ciò che ti accade e di ciò che fai accadere. Di cosa provi e di come scegli di esprimerlo, di cosa pensi e di come scegli di tradurlo in azione.
Ti lamenti che hai sempre poco tempo? Guarda con attenzione come stai impiegando il tuo tempo!
Ti lamenti del capo o dei collaboratori? Guarda con attenzione come stai affrontando queste situazioni frustranti!
Alcune tue relazioni sono insoddisfacenti? Guarda con attenzione come te ne stai prendendo cura e cosa stai trascurando!
La tua forma fisica lascia a desiderare? Guarda con attenzione cosa stai facendo e cosa non stai facendo per sentirti insoddisfatto!
Imparare a ‘guardare con attenzione’ vuol dire aumentare gradualmente la propria ‘consapevolezza’ e ciò porta ad avere più chiari i confini del proprio potere di trasformare la propria vita e anche dei propri limiti e di un certo grado di impotenza che dobbiamo imparare ad accettare.
Piuttosto che lamentarti, impara a guardare con attenzione il valore che cerchi (e quello che trovi) nelle scelte che fai.
Lamentarti è una scelta…
Criticare è una scelta…
Stare in silenzio è una scelta…
Accumulare e poi ‘sbroccare’ è una scelta…
Compiacere è una scelta…
Non chiedere è una scelta…
Non dire no è una scelta…
Guarda con attenzione le scelte che spesso ti ritrovi a fare e che ti alimentano i problemi piuttosto che risolverli…
Ognuna di queste scelte può essere utile e adeguata in certi momenti e situazioni, ma non può diventare lo stile tipico ed unico di affrontare problemi e insoddisfazioni.
Quanto valore aggiungono alla tua vita queste scelte? Quali altre scelte potresti fare per creare valore nella tua vita?
Tornando alla lamentela, ad esempio, questa è utile per sfogarti un po’. Utile se dura poco. Poi sarebbe utile che la lamentela ti portasse ad individuare qual è il tuo bisogno frustrato, per cui ti lamenti, in modo che tu possa farci qualcosa di concreto per cercare di soddisfarlo o per accettare serenamente ciò che non puoi modificare. Se la lamentela perdura oltre misura, probabilmente ti sta segnalando che la ‘ferita antica’ sta dominando i tuoi pensieri e stati d’animo ovvero che hai bisogno di andare a curare bisogni profondi irrisolti da tempo e che stanno condizionando la tua esperienza attuale, le tue relazioni e le tue scelte, oggi.
La psicoterapia è una strada privilegiata per curare la ferita…

La frustrazione e i suoi esiti

La FRUSTRAZIONE è l’esperienza emotiva che viviamo quando percepiamo una DIFFERENZA tra la realtà che vorremmo e quella che è. Ad esempio, andiamo al mare e piove, ci aspettiamo una promozione e non la riceviamo, chiediamo una carezza e veniamo ignorati, cerchiamo aiuto e non veniamo ascoltati, non riusciamo in un progetto, perdiamo un amico, il partner ci lascia, arriva una malattia. Le EMOZIONI possono essere rabbia, tristezza, sconforto, delusione, senso di ingiustizia, dolore emotivo, senso di colpa, senso di fallimento e ogni altra sfumatura emotiva in base alla situazione specifica e alle nostre tendenze tipiche di reagire.
Ciascuno di noi si confronta con frustrazioni quotidiane, sono IN UN CERTO GRADO INEVITABILI e possiamo considerarle nell’ordine naturale delle cose.
Le REAZIONI ALLA FRUSTRAZIONE possono essere molto diverse e avere esiti diversi in termini di soddisfazione o sofferenza.
Un primo modo di reagire è CERCARE DI RIDURRE LO SCARTO tra situazione desiderata e situazione effettiva. Se ci riusciamo, e in una certa misura, allora possiamo essere soddisfatti, appagati, sereni. Se non ci riusciamo, possiamo reagire ulteriormente in alcuni modi fondamentali: PROVARE e RIPROVARE fino a quando ci avviciniamo ai nostri scopi e ne siamo soddisfatti. Provare e riprovare fino a quando decidiamo di ACCETTARE CIÒ CHE NON RIUSCIAMO A CAMBIARE ed ottenere; in questo caso restiamo insoddisfatti, ma riusciamo a considerare la situazione ‘sopportabile’ e possiamo starci comunque ‘sufficientemente sereni’. Infine, continuiamo a provare e riprovare SENZA RIUSCIRE A FERMARCI NEI NOSTRI TENTATIVI che risultano SEMPRE VANI, non riuscendo a tradursi in soddisfazione dei nostri bisogni. In questo caso, viviamo lo scarto frustrante come ‘catastrofico’ o ‘insopportabile’ o comunque ‘inaccettabile’. In questo modo, prima o poi, compare la SOFFERENZA emotiva sotto forma di intense emozioni dolorose che accompagnano sintomi fisici e psicologici o difficoltà enormi nelle relazioni interpersonali.
La richiesta di un AIUTO terapeutico appare inevitabile…