Molte persone che arrivano in terapia portano con sé una diagnosi, alcune volte fatta da soli, via internet (sigh!), spesso fatta da qualche altro specialista consultato precedentemente o fatta dal medico di base (solitamente una generica “forma ansiosa e/o depressiva”). Se non hanno questa diagnosi, spesso è la prima cosa che chiedono. Cos’ho? Qual è il mio disturbo?
Per molte persone avere una diagnosi, rientrare in una categoria, è importante; li rassicura rispetto all’avere questa o quest’altra “malattia” e in qualche modo offre loro un certo grado di prevedibilità perché se sanno “quello che hanno”, sanno anche o dovrebbero sapere quale sia la cura appropriata.
Di fatto non è proprio così. Non è propriamente così che funziona la psicoterapia. La diagnosi può essere importante come riferimento, se fatta in modo opportuno. Resta comunque un riferimento. Nel campo psichico, molto più che in campo medico biologico, le diagnosi rappresentano grandi contenitori che vanno riempiti con la specificità della persona. Forse chi soffre di gastrite ha molti tratti in comune con tante altre persone che “hanno” la gastrite. In campo psicologico, due depressi possono essere molto differenti tra loro, così come due ansiosi, due ossessivi, due borderline, due dipendenti e così via. La specificità della persona, della sua storia, della personalità fa la differenza. Un’enorme differenza.
La psicoterapia si basa, più che sulla conoscenza delle caratteristiche della categoria diagnostica (spesso solo un’etichetta fuorviante), molto di più sul funzionamento specifico di quella persona nel suo ambiente di vita (famiglia, lavoro, amicizie, ecc.): i suoi modi di pensare, i suoi modi di interagire e reagire agli altri, i suoi modi di vivere ed esprimere le emozioni, i suoi modi di comportarsi, le sue abitudini tipiche, la sua visione del mondo e della vita, i suoi scopi e valori fondamentali. Su questi aspetti si concentra in maniera fondamentale il lavoro psicoterapeutico. Sull’aiutare la persona a “prendere dimestichezza col suo mondo interiore” (pensieri, emozioni, ferite, traumi, bisogni, desideri, progetti, sogni, ecc.), a conoscere le sue “abitudini” sane e insane, i suoi “punti di forza e le sue fragilità”, le sue risorse e i suoi limiti, in che modo l’ambiente materiale e affettivo in cui vive può essere di “sostegno” o di “ostacolo” alla piena realizzazione del suo progetto di vita.
Questa enorme differenza tra “etichetta giudicante e stigmatizzante” (solo parzialmente rassicurante) e “funzionamento specifico della persona nella sua unicità irripetibile” è fondamentale prima di tutto per il paziente che impara a conoscersi meglio, per imparare a guidare con maggiore “consapevolezza” la sua vita, ad agire con maggiore “responsabilità”, non in base ad una diagnosi o al nome di una malattia, come nemmeno in base al nome di tre o cinque caratteristiche della personalità (pigro, estroverso, brillante, irrequieto, cupo, entusiasta, ecc.), piuttosto in relazione ad una “conoscenza di sé più appropriata, fine, sottile e profonda”.
Categoria: psicodiagnosi
Valutazioni psicodiagnostiche (test psicologici)
La valutazione psicodiagnostica è quell’attività svolta dallo psicologo che si serve di specifici strumenti di indagine con l’obiettivo di conoscere il funzionamento psicologico e la personalità dell’individuo.
Le valutazioni psicodiagnostiche possono essere fatte:
- in ambito clinico, come orientamento per la consulenza e la psicoterapia per l’individuazione del piano di trattamento più accurato e adatto alla persona
- in ambito giuridico, come asse portante delle perizie e delle consulenze per accertare il funzionamento psichico dell’individuo all’interno di procedimenti giuridici, civili e penali
Un corretto processo diagnostico si basa su tre fasi e strumenti:
- Anamnesi. Raccolta di dati e informazioni “obiettive” in 6 aree fondamentali: familiare (origine e attuale), fisiologica (sviluppo), psicopatologica, scolastica, lavorativa, istituzionale
- Colloquio clinico. Raccolta dei vissuti soggettivi (pensieri, emozioni, sensazioni, ricordi, ecc.)
- Test psicologici. Strumenti per la raccolta di informazioni in diversi ambiti del soggetto: sintomi, disturbi psichici, struttura di personalità, funzionamento cognitivo, affettivo, lavorativo e relazionale, risorse e deficit.
La batteria di test fondamentali, maggiormente accreditati dalla ricerca scientifica nazionale ed internazionale, prevede la somministrazione di:
- Bender Visual Motor Gestalt Test
- Prove grafiche: disegno della figura umana e della famiglia
- Reattivo di Rorschach
- MMPI-2
- Scale Wechsler
Possono comunque essere somministrati numerosi altri test in base alla situazione specifica. Modalità, tecniche e strumenti utilizzati variano da caso a caso, in base allo scopo della valutazione, al contesto in cui si svolge, all’età dei soggetti valutati, ecc..
L’anamnesi permette d’inquadrare i vissuti e conoscere la storia di vita della persona.
Il colloquio clinico permette di valutare il funzionamento psicologico e psicopatologico dell’individuo, le caratteristiche di personalità e lo stile interpersonale, gli aspetti funzionali e disfunzionali del comportamento.
I test psicologici forniscono un’integrazione fondamentale dei due precedenti momenti conoscitivi.
L’indagine psicodiagnostica, in genere, si colloca nella fase iniziale di qualsiasi percorso di consulenza o terapia, anche se a volte può rendersi utile in fasi avanzate del lavoro, per comprendere meglio la situazione, anche in base ai dati emergenti, che all’inizio non erano presenti o evidenti, nello stato o nel funzionamento della persona.
Una valutazione psicologica non è mai solamente l’individuazione di un disagio o disturbo, è piuttosto una valutazione della personalità nella sua unicità e complessità, negli aspetti più manifesti e in quelli più profondi e intimi di sé e della propria storia di vita.