Traumi, dolori, ferite, angosce tendono a tornare e forse lo faranno per sempre. Noi possiamo imparare a governarli al meglio ovvero riconoscerli e disinnescare la sofferenza che generano. La sofferenza che noi generiamo col ‘mantenerli in vita’ oltre la loro tendenza a ripresentarsi.
Quello che si può fare, ad esempio, in terapia è:
1. Riconoscere la sofferenza attuale: ansia, depressione, sintomi vari, problemi di relazione, ecc.
2. Comprendere cosa genera e mantiene questa sofferenza: le situazioni che viviamo, le emozioni che proviamo, i pensieri che facciamo, come ci comportiamo
3. Rivedere la nostra storia dolorosa connessa alla sofferenza attuale
4. Mettere in discussione se stessi e gli altri. Errori e colpe sono punti di partenza per modificare il modificabile
5. Attribuire nuovi significati a ciò che abbiamo vissuto
6. Trarre ora sollievo emotivo e riduzione del dolore da questa rivisitazione
7. Individuare ora nuove azioni e nuovi modi di reagire ed agire di fronte al passato doloroso che ritorna al presente
Categoria: personalità
La corazza e la cassetta degli attrezzi
La CORAZZA è il vestito della nostra vita. È il vestito della nostra ferita emotiva. È l’insieme delle nostre caratteristiche, fisiche e psicologiche, che definiscono il nostro MODO DI ESSERE. Qualcuno lo chiama carattere. In piccola parte innato, in grandissima parte appreso.
Lo abbiamo appreso attraverso le nostre esperienze di vita, soprattutto inconsapevoli. È il modo in cui ci siamo adattati al mondo materiale, affettivo e interpersonale che abbiamo incontrato. Abbiamo avuto a che fare con i comportamenti delle persone che ci sono capitate, i genitori ad esempio, e che abbiamo incontrato, tutti gli adulti che hanno avuto un ruolo importante per la crescita della nostra personalità. Tanto più eravamo piccoli tanto più eravamo dipendenti da cosa i grandi ci facevano vivere e credere come verità. Crescendo abbiamo acquisito maggiore autonomia di pensiero e azione, abbiamo cominciato ad influenzarci reciprocamente con i coetanei dai gruppi sociali in generale, compresa la società nel suo insieme, coi suoi valori culturali e i suoi messaggi conseguenti.
Comunque, i semi sono stati piantati agli albori della nostra vita. Quei semi sono le fondamenta su cui nella vita costruiremo il resto. Le fondamenta che sono i fili di ferro intrecciati con cui è costruita la corazza.
La corazza è l’insieme degli automatismi inconsapevoli del nostro modo di stare al mondo.
La corazza è FISICA: il nostro atteggiamento corporeo, la nostra postura, la nostra gestualità, la forma del corpo, l’espressione del corpo, il modo in cui si muove, il modo in cui resta bloccato, ecc.
La corazza è EMOTIVA: il nostro modo tipico di percepire, riconoscere, esprimere e vivere le emozioni, il modo in cui diamo loro significato in relazione alle esperienze che facciamo. O il modo di ignorarle e bloccarle nel corpo.
La corazza è RELAZIONALE: i nostri schemi interpersonali, il modo tipico di approcciarci alle persone, di avvicinarle e di farci avvicinare, di comunicare, ecc.
La corazza è anche il nostro modo tipico di PENSARE: credenze, convinzioni, distorsioni del pensiero, ecc.
La corazza è l’insieme delle nostre ABITUDINI: le nostre azioni solite, i nostri automatismi, a volte funzionali, altre volte disfunzionali.
La corazza è servita a ‘DIFENDERCI’ da quelle che abbiamo sentito come ‘MINACCE’ alla nostra vita. Abbiamo sviluppato questa corazza come risposta adattativa alle esperienze vissute in generale, ai traumi piccoli o grandi che possiamo aver vissuto, in particolare, a come ci hanno trattato le persone, ecc.
La corazza ci ha permesso di ‘SOPRAVVIVERE PSICOLOGICAMENTE’, a volte nei casi traumatici anche fisicamente; ci ha permesso di fare il meglio che abbiamo trovato per CAVARCELA negli eventi della vita. Ovvero per sentirci persone sostanzialmente degne di AMORE e con intrinseco VALORE personale, amabili e stimabili.
Usando un’altra metafora, la corazza è una vera e propria ‘CASSETTA DEGLI ATTREZZI’.
Ciò che ci è servito è diventato un attrezzo (strumento, strategia, modalità) che abbiamo scoperto, costruito, appreso e fatto nostro, quasi sempre in modo inconsapevole.
Cosa ci è servito nella vita per adattarci, sopravvivere, vivere, crescere, sentirci degni d’amore e di stima?
Ci è servito NON PIANGERE, lo abbiamo imparato e fatto nostro come abitudine emotiva e fisica. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ci è servito CHIUDERCI, il nostro corpo e la nostra mente hanno imparato a chiudersi o a nascondersi o a non mostrarsi o a risultare invisibili. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ci è servito MOSTRARCI, il nostro corpo si mostra, si espande, è propenso ad avvicinare gli altri; siamo espressivi, istrionici, a volte invadenti, ecc. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ci è servito CONGELARCI EMOTIVAMENTE, il nostro corpo e la nostra mente raccontano la storia di una vita in cui abbiamo imparato a bloccarci, a non esporci, a non disturbare, a non esprimersi. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Gli esempi sono sostanzialmente infiniti. Trova i tuoi attrezzi…
Ogni individuo attraverso la sua corazza psicocorporea esprime tutti gli attrezzi che nella vita ha dovuto fare suoi (ha scelto) per affrontare le esperienze e risolvere i problemi che ha incontrato: eventi, persone, situazioni, dolori, traumi, ecc. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ecco perché la corazza è anche sempre il guscio della ferita.
Conosci la tua corazza?
Conosci la tua cassetta degli attrezzi?
Conosci la tua ferita?
Quando i sintomi fisici e psicologici si fanno importanti, la nostra sofferenza ci invita a conoscerle, la corazza e la cassetta. A cercare di comprendere cosa sta succedendo nella nostra vita.
Chi riesce a riconoscere di stare male e si legittima il suo bisogno di aiuto, può arrivare a chiedere aiuto. La psicoterapia è una possibilità d’essere aiutati ad affrontare i problemi che ci procurano frustrazioni e dolore.
In psicoterapia, si lavora per comprendere in che modo la sofferenza è connessa non solo a difficoltà attuali, ma anche alla propria storia di vita quindi alla corazza, alla propria cassetta degli attrezzi.
In psicoterapia, la persona cerca di rendere più FLESSIBILI i MECCANISMI della CORAZZA, mantenendo quelli che servono ancora a proteggersi e cercando di lasciar andare quelli che oggi creano solo sofferenza.
In psicoterapia, la persona cerca di AMPLIARE la sua CASSETTA degli ATTREZZI, non per sostituire i vecchi, quelli potranno essere sempre utili al bisogno, ma per integrare nuove possibilità per trovare soluzioni alternative ai problemi, alle frustrazioni, alle relazioni interpersonali dolorose, ecc.
Prendi la tua personalità
Prendi la tua personalità, in particolare alcuni tratti tipici, ciò che ti caratterizza. Ad esempio, sei tendenzialmente: una persona mite o burrascosa, impulsivo o riflessivo, inibito emotivamente o notevolmente espressivo, ritirato e chiuso o sempre espansivo e al centro dell’attenzione. Sei perfezionista, tendi a controllare tutto, sei severo con te stesso e con gli altri. Sei compiacente verso ciò che gli altri si aspettano e ti chiedono, sottomesso rispetto alle pretese altrui. Sei arrogante e pretenzioso o invece dipendente, volto al sacrificio in nome dei bisogni e delle esigenze degli altri. Conosci altri tratti caratteristici che vedi in te stesso o anche in altre persone?
Probabilmente solo per alcune, molto poche, di queste caratteristiche che definiscono il tuo stile di personalità puoi dire che ci sei nato. La maggior parte le hai apprese da piccolo e consolidate nel tempo. Perché proprio quelle? Perché hai scoperto che servivano, ti servivano, svolgevano una funzione per te importante, magari ti permettevano di sentirti amato e di sentire soddisfatti altri tuoi bisogni di apprezzamento, protezione, appartenenza, ecc. Così hai imparato ad essere proprio in quel modo. In parte è diventato automatico, in parte è qualcosa che scegli, scegli strategicamente di comportarti in un certo modo quando credi ti serva a soddisfare certi tuoi bisogni.
A volte, però, succede che questi tratti di personalità e modi tipici di comportarti diventino rigidi, eccessivi, non adattivi per te, disfunzionali. Finiscono per crearti frustrazione e stress, problemi nelle relazioni e magari ti portano a sviluppare sintomi psicopatologici: ansia, panico, depressione, ossessioni, dipendenze, ecc.
Quando la sofferenza diventa eccessiva e non riesci a lenirla, quando riconosci che alcuni tuoi comportamenti ti creano problemi, ma non riesci a modificare niente delle tue azioni, è probabile che tu abbia bisogno di un lavoro psicoterapeutico. Questo lavoro di cura di te a quel punto si basa su una domanda guida: perché faccio quello che faccio nonostante il prezzo che pago sia ormai maggiore dei benefici che ne traggo?
Inizia l’esplorazione, anche prima di iniziare una terapia. Quali bisogni stai cercando di soddisfare con quel tuo rigido comportamento? Quali credenze, idee, pensieri e scopi possono rendere ragione dei tuoi comportamenti? Puoi trovare alternative di comportamento più sane per raggiungere i tuoi scopi? O forse devi modificare alcuni scopi che cerchi di raggiungere e i pensieri che li sostengono?
In ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line, troverai diversi esercizi e attivazioni che ti aiuteranno a conoscere meglio il senso di alcuni tuoi comportamenti ripetitivi e a trovare alternative oggi per te più utili a raggiungere i tuoi scopi e soddisfare i tuoi bisogni.
Storia e attualità: la mappa delle tue aspettative
Quello che facciamo oggi è stato formato dalla nostra storia di vita. Ciò che abbiamo incontrato ha modellato le nostre aspettative su ciò che incontreremo. Le nostre aspettative, più o meno consapevoli, orientano il nostro comportamento.
Cosa succedeva allora, a casa e fuori casa, da bambino e un po’ più grande, quando eri fragile e bisognoso e cercavi aiuto, vicinanza, rassicurazione e conforto?Cosa desideravi? Cosa hai incontrato e ricevuto? Cosa hai imparato? Quali sono le tue aspettative oggi quando ti senti impaurito o triste o solo o vulnerabile?
Cosa succedeva allora, a casa e fuori casa, da bambino e un po’ più grande, quando cercavi riconoscimento del tuo valore e apprezzamento? Cosa desideravi? Cosa hai incontrato e ricevuto? Cosa hai imparato? Quali sono le tue aspettative oggi quando cerchi di essere stimato e apprezzato?
Cosa succedeva allora, a casa e fuori casa, da bambino e un po’ più grande, quando prendevi l’iniziativa per fare cose nuove e creative, con curiosità e voglia di conoscere, guidato dal tuo desiderio di esplorazione e autonomia? Cosa desideravi? Cosa hai incontrato e ricevuto? Cosa hai imparato? Quali sono le tue aspettative oggi quando hai voglia di fare qualcosa che senti importante e vitalizzante per te?
Cosa succedeva allora, a casa e fuori casa, da bambino e un po’ più grande, quando cercavi legami, di essere incluso ed essere parte di relazioni e gruppi? Cosa desideravi? Cosa hai incontrato e ricevuto? Cosa hai imparato? Quali sono le tue aspettative oggi quando senti il desiderio di stare in relazioni sentimentali e amicali o anche sul lavoro?
Le risposte che hai incontrato, ripetutamente, hanno creato la mappa delle tue aspettative verso gli altri, più o meno consapevoli, che oggi guidano i tuoi comportamenti quando sorge in te un desiderio o un bisogno di vicinanza e cura, apprezzamento e stima, supporto e incoraggiamento, appartenenza e inclusione.
L’attualità ti porta nella storia, l’esplorazione della tua storia ti permette di comprendere meglio cosa succede oggi, come cerchi la soddisfazione dei tuoi bisogni e desideri, come affronti le frustrazioni e le delusioni che inevitabilmente incontri. Far dialogare attualità e storia è fondamentale per la tua crescita personale, come scoprirai ancora meglio leggendo ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line.
Quello che fai con quello che sei
Un po’ sei quello che sei, con le tue caratteristiche distintive, la tua specialità della casa, così come l’hai costruita negli anni, insieme a chi ha messo le fondamenta e a chi ci ha lavorato per creare pavimento, muri portanti e pareti fino al tetto.
Un po’ sei QUELLO CHE FAI CON QUELLO CHE SEI. Quello che ci vuoi fare con questa casa. Magari è stata sottoposta ad intemperie e terremoti o ad altri eventi naturali che l’hanno messa a dura prova. O semplicemente hai voglia di nuovo, di un ampliamento, di un abbellimento.
E per iniziare la ristrutturazione devi chiederti l’autorizzazione. E devi darti il permesso di rivisitare il progetto, mettere in discussione vecchie certezze solide che stanno traballando.
Fuor di metafora, puoi sempre dare a te stesso la possibilità di rivedere ciò che non ti piace della tua vita, puoi sempre dare a te stesso il permesso interiore di cambiare ciò che ti genera frustrazione, delusione e sofferenza. E puoi anche imparare ad accettare con serenità ciò che ti è impossibile cambiare.
Due sono i pilastri del lavoro di cura di sé inteso come prendersi cura di sé anche prima di dover curare sintomi e problemi:
CONSAPEVOLEZZA. Conoscere se stessi e il proprio funzionamento individuale e nelle relazioni. Conoscere i propri modi di pensare e agire, la propria sensibilità e reattività emotiva, i propri valori e il senso delle proprie scelte, quelle quotidiane e quelle di una vita.
RESPONSABILITÀ. Cosa facciamo con la consapevolezza maturata. Come decidiamo di agire in base alla consapevolezza dei nostri bisogni e delle nostre frustrazioni, dei nostri valori e dei nostri sogni. Ovviamente anche in base alle nostre risorse e ai nostri limiti.
I mezzi per il tuo cambiamento consapevole e responsabile possono essere i più svariati, potresti ad esempio cominciare dalla lettura di ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line.
Forte coi deboli e debole coi forti
Troppo semplice, anzi semplicistica l’idea, così diffusa socialmente, anche e soprattutto negli ultimi anni ad opera dei social media, sull’incastro patologicamente perfetto tra un narcisista (quasi sempre, ma non sempre uomo) e una dipendente affettiva (solitamente, ma non necessariamente donna). Il narcisista arrogante e manipolativo e la dipendente sottomessa e compiacente. Lui sfruttatore egoista e lei vittima impotente. Ecco: non è proprio così. Al massimo, queste sono le maschere sociali, ciò che più facilmente si vede sul piano comportamentale: un forte che schiaccia un debole.
Oltre questa semplicistica visione, esiste la complessità del mondo interno dei due protagonisti della relazione patologica, impegnati in un circolo interpersonale disfunzionale in cui entrambi finiscono per soffrire e a cui entrambi danno il loro contributo che rinforza ed alimenta una relazione frustrante per entrambi, anche se in forme diverse. Entrambi finiscono schiacciati dai propri schemi interni: il narcisista che deve proteggere un (non riconosciuto) senso di sé fragile, svalutato, privo di valore, non amabile; la dipendente che, altrettanto invasa da sentimenti di scarso valore, continua a cercare negli altri qualcosa che deve cominciare a costruire dentro di sé in modo autonomo.
Da aggiungere, tra l’altro, che esiste anche una forma più nascosta di narcisismo, spesso mascherata da un atteggiamento schivo, riservato, a tratti evitante le relazioni, in cui la dinamica psicologica è simile, per molti versi, a quella della forma arrogante di narcisismo: la necessità di proteggere un sentimento profondo di scarso valore di sé e la percezione di non essere degno d’amore. Quando questa persona riesce ad avere relazioni, gli esiti sono spesso gli stessi succitati: manipolazione, svalutazione di sé e dell’altro, incapacità di vera intimità del rapporto.
In ciascuna di queste relazioni fonte di sofferenza, il rapporto apparentemente è tra adulti, ma i motivi profondi, i bisogni frustrati e le modalità comportamentali originano nella ferita infantile di entrambi i partner della relazione.
In psicoterapia, solitamente arriva la dipendente affettiva, magari estenuata dalla solita relazione ‘subita’. Più raramente arriva il narcisista perché non crede di avere un problema né di aver bisogno di aiuto. Quando arriva a chiedere aiuto è perché messo alle strette dalle persone che si sono stufate dei suoi comportamenti e che lo invitano (minacciano) a farsi aiutare, pena la fine della relazione.
La psicoterapia, individuale o in coppia, dovrà prima di tutto creare un’adeguata alleanza di lavoro, fuori da mistificazioni e colpevolizzazioni, di sé e dell’altro. Sia la dipendente sia il narcisista, per diverse vie certamente, possono essere aiutati ad uscire fuori da meccanismi colpevolizzanti, per cominciare a guardare le cose da adulti consapevoli e responsabili. Ciascuno facendo la sua parte. Un lavoro tanto impegnativo quanto profondamente trasformativo. Per imparare ad integrare nel mondo interno e sul piano dei comportamenti le proprie aree di forza e di debolezza. Per affrontare la paura di essere fragili e la paura di cavarsela da soli. Un lavoro potenzialmente rivoluzionario…
Alla fine di questo post, diversamente dal solito in cui ti consiglio di leggere ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line, mi sento di consigliarti vivamente la lettura di ‘Il diavolo prenda l’ultimo. La fuga del narcisista’, ultima fatica narrativa di Giancarlo Dimaggio, uno dei più grandi esperti internazionali nella psicoterapia del narcisismo. E scrittore vivace ed ironico, capace di farti comprendere, col sorriso, la profondità delle umane miserie.
“Il diavolo prenda l’ultimo. La fuga del narcisista”.
Il narcisista è un tiranno e non solo. Tratta male gli altri, fino al disprezzo. Ma, controintuitivamente, è soprattutto un bambino ferito. Una ferita da trascuratezza, da mancato accudimento. È arrabbiato per qualcosa che avrebbe dovuto ricevere in origine e non ha ricevuto.
Ha paura. Prova dolore. Un dolore nucleare, profondo, di vergogna: si sente non amato e privo di valore. Ha costruito nel tempo una corazza di arroganza a protezione della sua vulnerabilità, un guscio grandioso per schermarsi dal giudizio che colpisce chi si è sentito non amato, non apprezzato e ha imparato a credere di sé di non essere amabile né degno di stima. Un misto di arroganza e vergogna, bisogno di essere ammirati e invidia, pretesa e paura. Il tutto indossato con la più falsa delle maschere: si crede di essere, consapevolmente, chi sente di non essere, inconsapevolmente. Per questo il narcisista è ostile e aggressivo, soprattutto verso chi lo critica; ostile oltre ogni ragionevole misura: a nessuno piace essere criticati, sì poi magari impariamo ad usare la critica in modo costruttivo, ma per il narcisista sentirsi criticato equivale ad aprire la botola che lo farà precipitare nel buio più oscuro della perdita d’amore e di valore.
Il disprezzo verso l’altro è la reazione che maschera il proprio senso di profonda insicurezza. Che invita alla competizione sfrenata e ad inseguire il perfezionismo, per tentare inutilmente di lenire il dolore, dove la competizione si svolge su un campo minato, dove “non esiste qualcosa come il secondo posto, esiste il primo e l’ultimo”. Col diavolo ad aspettarti… Anzi a rincorrerti… Per cui scappi e scappi e scappi e corri e corri e corri e cerchi il primato perfetto per sfuggire al tiranno del “non sei come dovresti essere”. Di origine infantile.
Tiranneggiato in origine. Tiranno degli altri oggi. E tiranno di se stesso. Una maschera che copre una fragilità vestita di disprezzo per gli altri, quasi sempre, ma anche una facciata schiva, altre volte. Che schiva il contatto con l’altro e con se stesso, come un fiume carsico che aspetta solo il momento giusto per rivelarsi in tutto il suo disprezzo.
Questo è il narcisista che si incontra in terapia, quando ci viene, quando ce l’hanno mandato; questa la fragilità vestita di grandiosità che chiede di essere svelata, quando il narcisista rimane in terapia e i lavori sono effettivamente in corso; questo il volto della paura, del dolore e della vergogna che chiedono di essere riconosciuti, quando la cura funziona.
Questo è il narcisista che fugge, narrato da Giancarlo Dimaggio, terapeuta esperto di narcisisti, nella sua ultima opera narrativa: ‘Il diavolo prenda l’ultimo. La fuga del narcisista’ (Baldini e Castoldi). In cui l’autore, con umile competenza e vivace ironia, narra storie di vita incontrate della stanza di terapia.
Il narcisista è portatore insano di una moltitudine di sfaccettature, un misto che è un mistero, succulento da svelare per chi ha voglia di capirci di più, di comprendere la ferita dietro la barricata della pretesa: “la pretesa di essere venerati intrecciata al timore di essere presi a sputi e pietre”. Paura! Di cosa? Del caldo che diventa freddo. Anzi scoprire che forse è sempre stato solo tiepido. Meglio allora fuggire. Fuggire sì, ma dove? Da cosa, soprattutto?
Fuggire dal dolore, dalla vergogna, dalla vulnerabilità. Prelibatezza per il diavolo. Quelli esterni di diavoli, ma soprattutto quello interiore.
Fuggire dalla paura di non essere riconosciuti se non come oggetti al servizio dell’altro, dell’altro che controlla, che manipola o che è indifferente o poco più che tollerante.
Fuggire dal senso di colpa che il narcisista vive quando prova ad immaginare una vita piena di iniziativa che però fa soffrire l’altro.
Fuggire… Prima del precipizio dell’angoscia di non conoscere l’amore. Non averlo forse mai sentito. Prima dell’abisso: sentire quel dolore di chi si sente privo di valore.
Insomma… Libro consigliatissimo… Per tutti… Per chi narciso non sa di esserlo… Per chi non riesce ad allontanarsi dal narcisista o difficilmente potrebbe farlo… Per un regalo, della serie ” che avrà voluto dirmi!?”. Per ogni terapeuta che voglia veramente capirci qualcosa di questo dolore e del suo potere distruttivo. E anche delle possibilità reali di trattamento efficace.
Barbapapà e Squid game
Esiste un momento per un mondo rotondo, morbido, pieno di colori, lieto fine e insegnamenti educativi al servizio di una crescita sana, armoniosa, piena d’amore.
Ed esiste anche un momento per un altro tipo di mondo, comunque il nostro mondo. Esterno ed interiore.
Il cinema, la televisione, i videogiochi, YouTube e altri social sono pieni zeppi di violenza che un adulto deve filtrare ad un bambino. Se il filtro manca, manca l’adulto. Anche la piazza, il quartiere, il cortile hanno bisogno di modulare la violenza che pure è possibile espressione della natura umana. Avevano bisogno forse sarebbe più preciso dire, visto che ora sono stati quasi completamente soppiantati da ‘luoghi di incontro’ e gioco virtuali. Modulare la violenza, anche nei giochi di bambini. Se il filtro manca, manca l’adulto. Ecco allora un punto di partenza utile per ragionare sul senso e sul valore (o dis-valore) di Squid game. Il gioco del calamaro. La serie TV Netflix.
Fatta questa premessa e fatte salve ulteriori ed utili considerazioni sociologiche e pedagogiche (ad uso di genitori, insegnanti ed educatori tutti) sul comportamento degli adulti consapevoli e responsabili di fronte ai bambini e ai ragazzi curiosi e incuriositi, ho trovato la serie del gioco del calamaro molto interessante dal punto di vista psicologico, individuale e interpersonale. Anche tenendo conto che è stato concepito e realizzato da una persona appartenente ad una cultura molto lontana da noi per certi versi, ma forse nemmeno troppo, per altri aspetti più ‘global’, più interiori e universali.
Ho apprezzato molto diversi elementi, in una serie piena di spunti di riflessione che ciascuno di noi, nella visione di un film o nella lettura di un libro o nell’ascolto di una canzone, può cogliere in base al proprio filtro personale e alla sensibilità che nasce dalla propria storia di vita.
Ho apprezzato molto le storie di vita che si intrecciano e le dinamiche psicologiche che emergono nel dispiegarsi della vicenda.
La raffigurazione di un meccanismo che chiede a tutti di essere all’altezza, un’altezza che quasi tutti sentono difficile da raggiungere, fino a chiedere a se stessi di dare di più, fare di più, essere più, senza mai raggiungere la meta e sperimentare vero appagamento. Un sistema che divora chi non è in grado di essere all’altezza del successo richiesto fino al punto di prendere una persona disperata e portarla ad accedere ad ogni comportamento utile allo scopo della sopravvivenza, anche se fuori dai codici della propria moralità. Un sistema di scale (alla Escher), ma colorate, in cui sia i giocatori sia i lavoranti sono parte di un ingranaggio che funziona alla perfezione, ma che tende a rendere tutti schiavi del suo funzionamento.
L’umana imperfezione: l’essere tutti sulla stessa barca, anche se qualcuno, indossando una maschera, ‘sembra’ stare su uno yacht a sorseggiare champagne di fronte alla disperazione altrui.
Le maschere che tutti, chi più chi meno, indossiamo nella vita quotidiana, spesso nel tentativo fallimentare di nascondere a noi stessi, prima che agli altri, qualcosa di ‘brutto, sporco e cattivo’ che pure ci appartiene e ci portiamo dentro.
Amore e paura: l’amore di un genitore che cerca di mettercela tutta e ha paura di non farcela; l’amore verso una persona appena conosciuta, così potente da sconfiggere la paura della morte; l’amore di genitori anziani, illusi e disillusi, mai sconfitti dalla paura e sostenuti dall’amore puro. L’amore solidale tra compagni di un viaggio disperato e spaventante.
Ciò che sembra e ciò che è… L’apparenza e l’inganno. Il tradimento. Chi frega chi?
Il bisogno di controllo e padronanza, di sé e del mondo, dove l’esperienza quotidiana, solitamente, è quella del contrario.
Regole funzionali e regole disfunzionali: il valore delle regole che servono a proteggere e quelle che ingabbiano e ingannano.
Tutti vittime di regole: il piccolo e il grande, capi e subordinati, ricchi disperati nella loro noia e poveri ricchi solo della speranza e della disperazione che li porta a giocarsi tutto, dentro un meccanismo in cui ognuno cerca di trovare la salvezza. Come nel più lineare dei sistemi gerarchici, ognuno ha dei sottoposti, ognuno ha dei capi e soprattutto anche il vertice alla fine deve ricevere ordini da qualcun altro.
Vite ferite impegnate nella ricerca di senso e di riscatto. Verso la “possibilità di camminare libero…”.
Più o meno funziona così il gioco: “vorrei offrirle una grande opportunità, un gioco (da bambini?!) per un’opportunità seria di rimettere a posto la sua vita, se vince riceve dei soldi, se perde paga con schiaffi. Può usare il suo corpo per pagare: un tot a schiaffo”. Un gioco, una scommessa, la scommessa con la vita. Un gioco con la morte per avere la possibilità di prendersi in mano la propria vita. Ovviamente… “è una scelta volontaria di aderire al gioco con le sue regole democratiche”. Tra disperazione e fiducia: scegliere una diversa possibilità o scegliere di continuare una vita schifosa. Scegliere quale inferno? È comunque un inferno!
Ognuno ha le proprie miserie. All’inizio tutti sono presi dall’idea di giocarsi il proprio destino, ben presto capiscono le modalità del gioco a partire dal gioco più innocente dei bambini, un due tre stella, che ha un’evoluzione inaspettata in cui ogni giocatore comincia a giocare per vincere, ma anche per non essere sconfitto dal gioco stesso e dagli altri tra cui comincia a evidenziarsi il ‘mors tua vita mea’. La sana, vitale competizione che diventa spregiudicatezza e spietatezza guidate dalla paura della morte.
È semplice alla fine, il gioco del calamaro è un’espressione del gioco della vita: retorico quanto basta, banale quanto fondamentale se ci aiuta ad incontrare ogni parte di noi, dell’essere umano, dell’essere umani, piuttosto che fuggire da qualcosa che tanto esiste e cacciato dalla finestra rischia di sfondare la porta e presentarsi attraverso sintomi fisici e psicologici, come disperazione.
La fine è nota?! Forse… La fine è semplicemente un nuovo inizio?!
Tracce per un’auto esplorazione al servizio del cambiamento
Segui queste tracce … Ti porteranno a prenderti cura di te…
Cosa hai INCONTRATO e VISSUTO? Esperienze reali nel tuo ambiente di sviluppo (casa, scuola, famiglia allargata, amici). Ricordi felici. Eventi traumatici. Relazioni traumatiche. Relazioni appaganti.
Cosa hai IMPARATO e INTERIORIZZATO? Quali idee ti sei fatto su di te, sugli altri, sul mondo e sulla vita. Questa è la parte meno scontata. Meno facilmente accessibile alla tua consapevolezza. Ma anche quella più potente per come influenza ‘da allora’ il tuo comportamento, i tuoi stati d’animo, i tuoi pensieri, il tuo modo di stare con gli altri. Ancora oggi, ‘qui e ora’.
Come ti sei ORGANIZZATO (quali strategie hai trovato per cavartela in quelle condizioni)? Queste strategie possono essere pressoché infinite, tu hai trovato le tue, in modo creativo, saggio, intuitivo, intelligente, al servizio del tuo adattamento. Ecco qualche esempio: cercare di tenere tutto sotto controllo (i tuoi pensieri, comportamenti ed emozioni, ma anche le altre persone), inseguire sempre la perfezione, cercare certezze assolute, essere compiacente, ritirarti in te stesso, ribellarti, adottare comportamenti volti all’auto-sacrificio, essere sempre aggressivo o sempre per il quieto vivere, inseguire a tutti i costi il successo in ogni cosa che fai. Potrei continuare ancora, ho detto sono strategie che ciascuno di noi ha dovuto inventare per sopravvivere. Tu hai qualche altro esempio?
Cosa, di quelle strategie che ti caratterizzano da una vita, FUNZIONA ancora oggi ed è utile e quando? Queste strategie da tempo ormai ti caratterizzano e definiscono, sono il tuo modo di essere. Ed è importante che tu riconosca e apprezzi quanto ti sono utili e ti permettono di governare piccoli e grandi stress quotidiani.
Cosa, di quelle strategie, NON FUNZIONA PIÙ e ti genera problemi e difficoltà emotive e nei rapporti con gli altri?
Queste strategie certamente una volta funzionali e adattive, oggi, in alcune situazioni non funzionano più, anzi ti creano problemi. Da risorse sono diventate ‘rigidità’, gli unici modi che conosci e sai praticare per gestire stress, problemi e frustrazioni. Ora te ne servirebbero altri; lo sai, ma non sai come fare. Non riesci a fare altro, forse hai paura di iniziare a comportarti diversamente. Ma è quello che ti serve, altrimenti prima o poi compariranno sintomi e malesseri più o meno importanti.
Cominciare a riflettere su queste domande, cercando risposte che hanno un senso per te, è l’inizio di un percorso di consapevolezza profonda e potenzialmente di un cambiamento fondamentale delle ‘credenze’, ‘convinzioni’ e ‘regole interne’ che ancora oggi determinano il tuo comportamento, la tua felicità e anche la tua sofferenza.
Tracce utili puoi trovarle anche in ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line.
Più vivo e più mi accorgo che…
Più vivo e più mi accorgo che…
Il mondo è pieno di…
Io sono…
Gli altri sono…
La vita è…
Se cerchi di completare queste frasi, probabilmente otterrai un quadro della tua mappa del mondo, almeno di quella di cui sei consapevole. Idee, opinioni, credenze, convinzioni, rappresentazioni della realtà che hai imparato e interiorizzato fin dai primissimi anni di vita. E questa consapevolezza è molto importante per comprendere le convinzioni che guidano il tuo agire, le regole esplicite con cui interpreti il mondo, ciò che solitamente ti aspetti quando vivi la tua giornata, incontri persone, fai esperienze.
Al tempo stesso, c’è un tipo di conoscenza che tu hai, che ciascuno di noi ha, che è molto più potente nel governare il modo in cui dai senso al mondo, agisci nelle tue relazioni, compi scelte. È una conoscenza implicita (presente in noi, agente in noi, ma di cui siamo quasi totalmente inconsapevoli) che è nata nella nostra storia di vita, a partire dalle esperienze più precoci in cui abbiamo iniziato ad apprendere per imitazione dei grandi (in famiglia prima e fuori poi) con cui progressivamente ci siamo anche identificati (pensando e agendo più o meno come loro) e contro-identificati (pensando e agendo più o meno in modo opposto a loro).
Pensa a questo scambio (che ti riporto da un vecchio libro di due grandi terapeuti del passato, Guidano e Liotti): “ho preso tutto da mio padre: il modo di camminare, i comportamenti, il modo di parlare, la mentalità”. “E da tua madre?”. “Da lei ho imparato a disprezzare mio padre”. In questa breve vignetta si può ritrovare tutta la densità emotiva, la complessità e la ricchezza del nostro modo di imparare a stare al mondo, delle influenze dei nostri genitori (formatori) e della traiettoria unica che prende la formazione della nostra mente e della nostra personalità.
In psicoterapia, nella cura della sofferenza attuale, spesso si deve comprendere la mappa interiore che guida il modo di stare al mondo della persona. Quella esplicita, consapevole, chiara. E anche e soprattutto quella “essenziale quanto invisibile”… Ma che è possibile “imparare a vedere”. Sulla comprensione di questa mappa, delle sue origini e della coloritura emotiva che la caratterizza, è possibile fondare il percorso di guarigione ed evoluzione personale.
In ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line, un intero capitolo è dedicato allo studio delle mappe personali e soprattutto a come tendiamo a confondere la nostra mappa della realtà con la realtà stessa, ignorando la realtà di fatto che gli altri hanno diverse mappe o rappresentazioni della realtà e che questa miopia psicologica è all’origine di tante incomprensioni e conflitti nelle nostre relazioni.