Qualche tempo fa durante un viaggio in auto mia moglie mi fece notare una cosa: un gesto che tendevo a fare spesso, in particolare con la mano sinistra, in specifiche circostanze legate alla conversazione, tendevo ad aprirla “a ventaglio”, a farla leggermente roteare e contemporaneamente a farle fare un paio di movimenti “sussultori”. Questa è la mia descrizione, ovviamente mia moglie non si espresse in questo modo. Disse semplicemente “come mai fai sempre così con la mano?” o qualcosa del genere. “Così come?”chiesi io, completamente inconsapevole di questo gesto spontaneo che mia moglie, invece, aveva notato tantissime volte. Ci mettemmo a ridere… E da quel momento cominciai a cercare di notare quello che lei aveva già notato tante volte. Si sa le donne stanno almeno un passo avanti… E gli uomini dietro…
Cominciai a cogliere quel gesto quando “appariva”, certo non sempre ne ero consapevole; “hai visto? L’hai fatto un’altra volta?!?!” riferiva mia moglie. Man mano che allenavo la mia attenzione riuscivo a coglierlo sempre più spesso quando lo facevo fino al punto che oggi, dopo qualche mese, mi sfugge poche volte e riesco a descriverlo in modo dettagliato come sopra.
Contemporaneamente al prestare attenzione, cercai anche di coglierne il senso. Osservando senza giudicare. Un gesto casuale? Un’abitudine senza senso? Un automatismo innato o appreso chissà quando? Che significato può avere questa ripetizione così automatica e incontrollata? Chissà se esprime qualcosa? Forse è il mio inconscio che si manifesta anche in questo modo? Per dire cosa? Per veicolare quale significato? Con un po’ di pazienza, osservazione attenta e ascolto di me stesso, nelle circostanze “del gesto incriminato” sono riuscito a comprendere qualcosa di più, certamente non tutto, ma sicuramente quel gesto così “apparentemente innocente” dice qualcosa di me, di me nel contesto, di me che ho certi pensieri e certe emozioni in quelle situazioni, ad esempio, durante una conversazione che riguarda certi temi o si svolge secondo certi toni e modalità.
Sempre più nel mondo della psicoterapia si lavora, attraverso svariate metodologie, strategie e strumenti, sulle “tracce corporee” come canale di accesso per comprendere il funzionamento mentale e interpersonale dell’individuo. E per modificarlo…
Sensazioni viscerali e movimenti spontanei, espressioni facciali e postura, atteggiamento corporeo e tono della voce sono tutte modalità, quasi sempre e quasi del tutto inconsapevoli, attraverso cui esprimiamo noi stessi, esprimiamo qualcosa di noi a noi stessi e agli altri. Qualcosa che può essere più o meno importante e più o meno utile osservare e comprendere. Pensa, ad esempio, al tuo atteggiamento corporeo quando sei entusiasta o felice, quando sei un po’ depresso e di malumore, quando sei agitato o in tensione… In psicoterapia, ad esempio, e non solo, spesso il corpo dice quello che le parole non riescono ad esprimere.
Il corpo è il contenitore delle nostre esperienze di vita, spesso nel nostro corpo sono “scritte e memorizzate” le esperienze più significative per il nostro sviluppo e la nostra personalità, sia nel caso di storie traumatiche, sia, più in generale, come memoria attualizzata di quello che fin da piccoli abbiamo vissuto e interiorizzato.
Ti invito, allora, a fare questo gioco… ad affinare la tua attenzione… Sugli altri e su te stesso… Per cogliere questi automatismi spontanei e inconsapevoli… E per coglierne il senso, la funzione che svolgono o cosa esprimono nel contesto in cui si rendono manifesti… Magari ti conducono a scoprire aspetti di te importanti e che finora ignoravi facessero parte di te, di chi sei e di come ti relazioni con te stesso, con gli altri, col mondo e con la vita.
Ti fornisco qualche suggerimento, ma puoi trovare infiniti aspetti corporei cui prestare attenzione: sguardo (fatti un selfie o fatti aiutare da chi può osservare quel tuo sguardo quando appare spontaneamente), tono della voce, tono energetico del corpo (moscio, floscio, teso, rilassato, ecc.), stretta della mano, movimento degli arti, distanza preferita con le persone, spalle curve o aperte, petto schiacciato o in fuori, modalità del respiro, sensazioni allo stomaco, sensazioni alla testa, rapidità o lentezza di alcuni movimenti o in generale, modo di camminare, modo di guardare l’interlocutore durante una conversazione, gesti non comuni, ma soliti per te. E via così… Accedi a tutta la tua creatività e capacità di attenzione e osservazione…
Buon divertimento…
Categoria: metacognizione
Le vie del significato sono infinite. Come affrontare critiche e giudizi
Quando ti poni di fronte ad un giudizio negativo che hai ricevuto, ad esempio, “sei un incapace” (giudizio generalizzato sulla persona, invece che sul comportamento) o di fronte ad una critica distruttiva del tipo “non riesci mai a combinarne una giusta”, invece che costruttiva che ti potrebbe aiutare a migliorare il tuo errore, fermati e cogli il pensiero che ti stai facendo e l’emozione che stai vivendo, il SIGNIFICATO che stai dando a quella situazione. Il senso.
Successivamente… trova un ALTRO SIGNIFICATO POSSIBILE. Ad esempio, se di fronte a quella critica ti sei sentito proprio un incapace e credi che l’altro abbia ragione in questo suo giudizio, descrivendo una tua oggettiva inadeguatezza e incapacità, mancanza o deficit, allora probabilmente avrai provato tristezza e sconforto; se, invece, consideri la critica dell’altro come scarsamente fondata, perché questa persona non aveva sufficienti informazioni per poter emettere tale giudizio e semplicemente è stata sbrigativa e superficiale nell’esprimersi in tal modo aggressivo nei tuoi confronti, allora probabilmente proverai rabbia nei suoi confronti o anche serenità riconoscendo la difficoltà o il limite dell’altra persona. Come quando da adulti diamo un nuovo significato a certi comportamenti dei nostri genitori: se da bambini ci sentivamo piccoli di fronte ai grandi e tendevamo a vivere ciò che loro dicevano come verità e ciò che loro facevano come giusto, oggi possiamo cogliere in certe manifestazioni dei nostri genitori, tutti i loro limiti, le loro inadeguatezze, le loro incapacità di comprendere e mettersi loro “all’altezza del figlio piccolo”.
Quindi, in base a questo nuovo significato possibile che tu puoi dare ad ogni scambio interpersonale, attuale come passato, proverai altri tipi di emozioni, farai altri tipi di pensieri e avrai una diversa immagine sia di te sia dell’altro. In realtà, è proprio L’IMMAGINE INTERNA CHE ABBIAMO DI NOI STESSI che solitamente orienta la percezione dei fatti e la loro significazione. Se la critica incontra un’immagine interna di te stesso che è già di “inadeguatezza e scarso valore”, allora probabilmente tenderai a dare valore di verità a quella critica; se, invece, la tua immagine interna è più positiva, tenderai a considerare quella critica come eccessiva o prenderai la parte buona della critica che ti può aiutare a modificare quello che non hai fatto bene.
Quindi… cerca un TERZO ULTERIORE SIGNIFICATO POSSIBILE, ad esempio, che questa “persona criticante” era a sua volta in uno stato emotivo “alterato” di rabbia, tensione, sconforto, dolore, preoccupazione o altro ancora, per cui questo suo stato emotivo può averla indotta ad emettere questa critica perlomeno affrettatamente o superficialmente o senza alcuna considerazione e rispetto per la persona oggetto di critica. E questo magari è qualcosa che riguarda il critico, piuttosto che il criticato, che potrebbe essere abituato ad essere trattato così come fu trattato da piccolo e oggi tendere a ripetere con gli altri quello che in passato ha subito passivamente. Come vedi, questa è una lettura possibile, un altro possibile senso da attribuire ai fatti, un significato che comunque cambia completamente la percezione degli stessi fatti e la posizione emotiva di chi emette la critica e di chi la riceve. Oppure ancora: questa persona criticante è abituata a difendersi attaccando, quindi è abituata a criticare e colpevolizzare ogni volta che si sente giudicata. E magari può aver percepito in un tuo modo di fare un giudizio nei suoi confronti.
Questi sono solo alcuni tra i MOLTEPLICI SIGNIFICATI che può avere una situazione, che “noi” possiamo dare ad una situazione.
Nel lavoro di crescita personale è fondamentale diventare capaci di riconoscere il proprio significato, il senso che stiamo attribuendo a quella vicenda, DIFFERENZIANDO una parte oggettiva da una componente di lettura soggettiva degli eventi. Anche perché dalla percezione deriva l’emozione, da questa emergono bisogni e desideri e quindi azioni utili che possiamo attivare per soddisfare questi bisogni.
Inizia, allora, a notare con attenzione quali significati attribuisci alle situazioni, in particolare alle critiche e ai giudizi che ricevi… Scopri i diversi significati possibili e come tendi solitamente a “leggere” gli eventi… Nota cosa provi, pensi e fai e come “cambiano le cose” cambiando i significati, in particolare nota come i tuoi significati siano gli artefici principali della tua sofferenza o della tua serenità…
E questo è solo uno dei significati possibili che puoi dare alle esperienze che vivi…
Dialogo in piazza… Sul cambiamento
Per me le persone non cambiano…
Credo sia inevitabile il cambiamento…
Per me le persone non cambiano…
Credo che una persona cambi, evolva, si trasformi…
Per me le persone muoiono come sono nate…
Il cambiamento è sicuramente impegnativo e certamente fonte potenziale di crescita e benessere…
Per me restiamo sempre gli stessi, a causa dei nostri geni e dei nostri genitori…
Si può cambiare, bisogna sforzarsi, con tenacia e determinazione e i risultati possono essere veramente arricchenti…
Già la vita è uno sforzo e uno stress continui devo pure sforzarmi di cambiare?
Spesso lo stress è proprio legato alla rigidità dei nostri modi di pensare e agire…
Siiiii, ma che mi vuoi far credere?!?! Lo stress è causato dagli altri, da chi ti costringe a fare quello che non vorresti fare, da chi ha il potere di farti arrabbiare, dalle preoccupazioni della vita…
Qualche forma di stress ci arriva dall’esterno, ma la maggior parte del nostro stress dipende da noi…
Che vuoi dire che è colpa mia se sono stressato?
No. Voglio dire che noi abbiamo un grande potere di influenzare i nostri pensieri, le nostre emozioni e soprattutto le nostre azioni per vivere esperienze più tranquille o comunque meno passive di fronte allo stress…
Ma io sono fatto così, mi stresso di fronte a certi atteggiamenti di certe persone, come faccio a non arrabbiarmi o a non preoccuparmi?!?!
Puoi imparare, puoi imparare a prendere dimestichezza col tuo mondo interiore, coi tuoi pensieri e stati d’animo per come guidano il tuo comportamento e ti fanno sentire stressato o invece più sereno…
Siiii… Ti pare facile?!?!
No, quasi mai è facile, può essere molto impegnativo, anzi a volte difficile, al tempo stesso si può fare, puoi farlo, puoi farlo anche tu, puoi cominciare a cambiare certi tuoi modi di pensare e agire verificando i risultati che ottieni, quello che riesci a modificare e i limiti che incontri, quanto ti vuoi impegnare e quanto preferisci restare nella situazione in cui ti trovi….
Per me le persone non cambiano…
Io credo che ogni persona possa fare dei cambiamenti, più o meno consistenti ed efficaci per migliorare la sua qualità di vita…
No, io dico che le persone non le puoi cambiare…
È certo, su questo mi trovi d’accordo, non puoi cambiare gli altri…
E allora sei d’accordo con me che le persone non cambiano e nasciamo come madre natura e mamma e papà ci hanno fatto…
No. Noi possiamo cambiare noi stessi, nella misura che vogliamo, possiamo, scegliamo, riusciamo… E ricominciare daccapo…
Conosci dialoghi di questo tipo o simili? Tu da che parti ti trovi? Come potresti modificare questo scambio tra due persone, tra due atteggiamenti verso il cambiamento e il potere personale? Cosa potresti aggiungere? Come potresti continuare questo dialogo?
“Facciamo che io ero…”. Un gioco per tutte le stagioni
Facciamo un gioco… Un gioco per l’estate… E per ogni stagione della tua vita…
Pensa a 3 relazioni importanti della tua vita attuale. Famiglia (partner, genitori, figli, fratelli, nonni, altri). Lavoro (capo, collaboratore, collega, ecc.). Amici e conoscenti. O altro…
Ora prendile una alla volta e…
Focalizza l’attenzione sull’altra persona. Pensa ad una situazione recente o tipica con questa persona. Cosa dice e cosa fa. Come lo dice e come lo fa. Che tono di voce o che movimenti usa. Che espressione facciale o che sguardo ha. Che atteggiamento assume. Che pensieri e valori esprime questa persona e che emozioni prova (secondo te), nella situazione specifica a cui stai pensando o solitamente. Dedica un po’ di tempo e attenzione a conoscere ancora meglio questa persona…
Ora entra in scena tu… E osservati dall’esterno… Fai un passo indietro da te e osserva come tu ti poni verso questa persona… Cosa dici e come lo dici, cosa fai e come lo fai, che atteggiamento adotti, con tutto il tuo corpo, cosa stai mostrando e cosa stai nascondendo… CHE RUOLO ASSUMI…
Al di là del ruolo “formalmente riconosciuto” (sei un genitore, sei un figlio, sei un partner, sei un collega, sei un amico, sei un cliente, ecc.) nota con attenzione acuta che RUOLO RELAZIONALE stai assumendo… nella specifica situazione o tipicamente con questa persona… O addirittura tipicamente come sei solito fare un po’ con tutti… Ti faccio qualche esempio o suggerimento e ti invito soprattutto a trovare proprio i nomi e i nomignoli più adatti a quello che fai: ti poni come Vittima inconsolabile … Giudice critico… Bambino vulnerabile… Tiranno feroce… Folle scatenato… Superman… Supermamma… Eroe sacrificale… Adolescente ribelle… Adulto superrazionale… Vulcano di emozioni… Sfigato infinito… Protettivo ad oltranza… Perfezionista equilibrista… Bonaccione apripista… Rompiscatole senza tregua… Eterno fanciullo… Insoddisfatto cronico… Sottomesso indefesso… Fesso fino all’osso… Scemo, ma mai falso… Compiacente inguaribile… Corretto fino alla morte… E via così… Ruoli, nomi, nomignoli e tutti gli aggettivi che qualificano chi sei, che fai e come lo fai…
Insomma trovati o intuisci o scopri CHI SEI QUANDO SEI CON GLI ALTRI … Chi sei e come ti presenti…
Nota l’effetto che ottieni comportandoti come ti stai comportando da quella posizione o ruolo relazionale…
Nota l’effetto che fa ora che hai osservato e compreso…
Nota cosa provi e cosa pensi ora che hai focalizzato l’attenzione sul tuo ruolo relazionale… Specifico o tipico… Tipico di una relazione o generalizzato un po’ con tutti…
Nota quanto ti diverti o se invece vorresti smettere… Puoi sempre dirti basta… Davvero.
Nota la scelta che fai, più o meno consapevole…
Nota quanto ti senti costretto a svolgere quel ruolo… E quanta flessibilità e cambiamento puoi iniziare a realizzare… Quali scelte nuove senti a tua disposizione… E quando vuoi iniziare a giocare un altro ruolo… Forse più vicino ai tuoi bisogni autentici invece che mosso dai bisogni di quello che hai imparato ad essere nell’arco della tua vita… Hai sempre la possibilità di dire “basta… Davvero… Basta davvero!!!!”
Pensa ora ad altre 3 relazioni importanti della tua vita attuale… E ricomincia a giocare… Certo se poi lo fai in gruppo allora il divertimento è moltiplicato…
La tua mappa del mondo
Tu vai in giro per il mondo cercando sostanzialmente di soddisfare i tuoi BISOGNI, ad esempio cerchi un ristorante o un caldo abbraccio; di realizzare DESIDERI, ad esempio vai allo stadio nella speranza di veder vincere la tua squadra del cuore e salutare il capitano o incontri gli amici con l’entusiasmo del bambino; di raggiungere SCOPI, come acquistare una casa e creare un’équipe di lavoro affiatata e appassionante. Bisogni, desideri e scopi possono riguardare, come dicono gli esempi, aspetti materiali o l’area affettiva e interpersonale. Soprattutto nelle relazioni, vorresti che le persone fossero proprio disposte ad offrirti quello che tu chiedi loro. Purtroppo non sempre le cose vanno così: lo sappiamo bene che una certa quota di frustrazione e delusione viene servita col caffè alla mattina, non sempre il mondo e le persone sono come tu le vorresti.
Del resto, può accadere che, per motivi che appartengono alla tua storia di vita e che non riguardano affatto una tua volontà consapevole e tanto meno colpevole, tu abbia sviluppato la capacità di andarti a mettere nei guai ovvero riesci a cogliere negli scambi con gli altri quei segnali e quelle informazioni che sembrano replicare tante volte alcune “situazioni sensibili” per cui soffri da tempo. È la tua ferita che è pronta a innescarsi ogni giorno per eventi apparentemente banali.
L’ennesima replica del tuo dolore antico. Uno schema che si ripete. Ad esempio, desideri essere accettato e tendi a cogliere negli altri sempre segnali di rifiuto; hai bisogno di essere apprezzato e invece trovi solo critiche e giudizi negativi nei tuoi confronti; hai bisogno di sostegno e incontri solo persone disinteressate; cerchi rispetto e finisci quasi sempre per sentirti deriso.
Questi schemi interpersonali, che vivono e proliferano in te, sono vere e proprie mappe interiori che ti forniscono anche una guida per agire: una serie di procedure per ottenere ciò che vuoi ed una serie di altre strategie per reagire di fronte all’eventuale frustrazione. Ad esempio, cerchi di comportarti “bene” per essere apprezzato, cerchi di “sforzarti” a comportarti “perfettamente” se hai ricevuto una critica feroce al posto di un giudizio benevolo, per evitare di sentirti umiliato. Hai bisogno di sostegno e chiedi aiuto, se questo non arriva “ti ammali” per urlare forte il tuo bisogno e ottenere la vicinanza desiderata ma non ancora ricevuta, e per non sentirti solo. Desideri essere rispettato e cerchi di non arrecare disturbo mantenendo un atteggiamento schivo, ma comunque ti senti attaccato dall’altro, allora per sentirti protetto dal giudizio altrui mantieni un atteggiamento ancora più chiuso e di sospettosa diffidenza.
In terapia, in particolare nella terapia metacognitiva interpersonale (“Corpo, immaginazione e cambiamento” è un libro di riferimento di Dimaggio e colleghi), si lavora su queste mappe, per comprendere come ti fanno soffrire, come tendono a consolidarsi nel tempo e a mantenersi sempre uguali, come possono essere “riscritte” per darti un orientamento più utile a realizzare i tuoi bisogni e desideri nei rapporti interpersonali.
Non è tutto già scritto!!!
Perché si chiamano problemi di testa? Perché la maggior parte dei problemi originano nella nostra testa. “Non tecnicamente” parliamo di masturbazioni mentali che invece di piacere procurano dolore.
Chi più chi meno, siamo abituati a vivere le situazioni interpersonali come fossero già scritte in anticipo. Per come siamo cresciuti, per come i nostri genitori ed educatori rispondevano ai nostri desideri, alle nostre intenzioni e alle nostre iniziative, crediamo che si ripeterà quello che abbiamo sperimentato nella nostra casa delle origini e in generale nella nostra infanzia. Abbiamo imparato come funzionano le cose e le persone e crediamo che funzionino sempre allo stesso modo. Tendiamo a prevedere che quando noi agiremo in un certo modo, gli altri risponderanno in un altro modo specifico. Tutto uguale a sempre. Tutto previsto. Tutto già scritto. Il solito finale per noi negativo perché finiamo per vivere la stessa paura e lo stesso dolore di allora, la stessa vergogna e umiliazione, la stessa rabbia e impotenza, ci sentiamo tristi, soli e incompresi proprio come allora, proprio come abbiamo imparato tempo fa…
Esempi. Se quando stavo male, spaventato o addolorato, mia madre restava depressa e chiusa nel suo letto… Ho imparato che per me non c’è aiuto disponibile né cure amorevoli. Magari cominciando a pensare di me che sono “cattivo” e “non degno di essere amato”.
Se quando portavo il mio entusiasmo a papà per come giocavo a tennis, lui rispondeva con freddo disprezzo o disinteresse … Ho imparato che è meglio evitare progetti ambiziosi, meglio evitare sfide e competizione o è meglio cercare di essere “più che perfetto”, anche perché ho cominciato a credere di me di “non avere alcun valore” come persona né particolari abilità.
Se a scuola cercavo di chiedere quello che non avevo capito e l’insegnante mi sbeffeggiava davanti a tutti… Ho imparato che sono “debole e incapace” e che è meglio non chiedere aiuto né mostrare la propria fragilità.
Questi sono solo alcuni esempi che evidenziano il meccanismo per cui impariamo a credere vera la realtà vissuta e interiorizzata che poi ci fa leggere la realtà attuale come se fosse proprio corrispondente alla nostra realtà interiore.
In psicoterapia, la persona cerca di mettere mano a queste masturbazioni cerebrali e ritrovare il “gusto della vita”, dell’incontro con l’altro “non più contaminato” dalla ferita antica e dalle immagini di sé negative (non degno di amore e stima, colpevole, vulnerabile, impotente, difettoso, incapace, ecc. ) e dalle immagini dell’altro pericoloso, giudicante, dominante, umiliante, freddo, distaccato, non interessato, ecc.. In particolare, la persona capisce con la testa, comprende emotivamente, sperimenta nel corpo e attraverso il comportamento concreto che: non necessariamente le cose vanno come sono sempre andate in passato né tutto è già stabilito e destinato a ripetersi; inoltre, comprende che le esperienze personali non sono sempre state negative e dolorose ed è possibile ricordare momenti della propria vita in cui le situazioni erano più favorevoli e positive, con esperienze di “successo” accanto ad esperienze infelici; verifica che quello che succede solo in parte dipende dalle cose come sono e molto dalle cose come le percepiamo in base ai nostri filtri interiori di origine infantile.
Infine, realizza che se è “vero” che non possiamo controllare né cambiare gli altri, è altrettanto “vero” che abbiamo il pieno potere di diventare consapevoli del nostro mondo interiore e di come influenza il nostro agire e quindi abbiamo anche il pieno potere di influenzare in maniera responsabile ed efficace la nostra realtà, il nostro comportamento, i risultati che otteniamo, le esperienze che viviamo.
Quali pensieri sono utili? La presenza mentale e l’azione efficace
I pensieri non sono la realtà. I pensieri sono eventi mentali che appaiono e scompaiono. I pensieri negativi che affossano l’autostima come, ad esempio, “io sono incapace”, “io non valgo”, “io sono impotente”, “io sono vulnerabile”, sono idee che abbiamo sulla realtà, in questo caso su noi stessi, ma in quanto tali sono “credenze che sono vere fino a quando ci crediamo”, vogliamo crederci, vogliamo continuare a ritenerle vere e ci vogliamo far guidare da esse nelle nostre azioni. Spesso questi pensieri dolorosi cerchiamo di controllarli o scacciarli o governarli con l’effetto paradossale di amplificarli e renderli ancor più presenti alla nostra consapevolezza. Se, invece, cominciamo a considerarli come passeggeri, temporanee idee che vanno e vengono, allora possiamo affiancarli ad altri pensieri e idee, magari meno dolorosi e più utili. La questione, dunque, non è se sono veri o non veri, ma se sono “utili o non utili”. Quindi impariamo a credere e ad utilizzare i pensieri che ci possono servire a fare le scelte che vogliamo per soddisfare i nostri bisogni e raggiungere i nostri obiettivi.
Una modalità tipica di usare in modo disfunzionale le credenze sulla realtà è quando attribuiamo dei “significati” che ci saremmo anche potuti risparmiare e che soprattutto ci avrebbero fatto risparmiare quote importanti di sofferenza. Anche perché a certi pensieri si associano certe emozioni. Come quando ti ritrovi a pensare che prima o poi moriremo tutti, anche le persone a noi più care. Come quando dopo aver descritto dei fatti e dei comportamenti, attribuiamo loro un’etichetta, un giudizio, emettendo quasi una sentenza a volte; ad esempio, quando due partner dopo aver descritto le loro continue liti si dicono “siamo due falliti”. A che serve? In che modo è loro utile? Come quando ti hanno bocciato all’esame e ti racconti pensieri del tipo “non riuscirò mai a laurearmi”. A che serve? In che modo ti aiuta? Come quando il capo ti fa rifare la relazione e tu pensi “sono proprio uno sfigato”. A che ti serve? Come può aiutarti? Come quando hai fatto un incidente con l’auto e carichi la situazione dicendoti “sono proprio uno scemo”. A che ti serve? Ti è veramente utile? Come quando usi espressioni del tipo “non ce la farò mai”, “è una sconfitta”, “succede sempre così”, “sono destinato a restare solo”. Trova tutti gli esempi che vuoi e chiediti: a cosa mi serve quell’etichetta auto-giudicante? In che modo mi è utile per risolvere il problema, migliorare la situazione, sentirmi soddisfatto, provare emozioni positive? Probabilmente la risposta suona sempre uguale: sono pensieri che servono solo ad aumentare il livello di sofferenza già presente nella situazione, pensieri inutili o peggio dannosi che aggiungono dolore evitabile alla situazione già frustrante.
Ti chiederai allora: perché tendo a fare questi pensieri auto-sabotanti? Ti chiederò: è utile farti questa domanda? A volte può essere utile, anzi necessario, andare a cercare i motivi, le origini, le ferite antiche di questi pensieri “incarnati nella sofferenza del corpo”, necessario per capire il “significato” di quei pensieri nel funzionamento attuale e nella storia di vita di una persona e ripartire da “lì e allora” per trasformare il “qui e ora”. A volte non serve o può essere rimandato ad un momento successivo. Sicuramente un lavoro di ricerca dei motivi profondi e antichi aiuta a comprendere meglio il senso del nostro agire attuale, al tempo stesso, e in modo fondamentale, è prima di tutto utile “osservare questi pensieri in azione”, osservarli senza giudizio, osservarli per come vanno e vengono, osservarli negli effetti che procurano, verificare dentro di noi quanto possiamo lasciarli per strada, quanto riusciamo a farci guidare da altri pensieri, quanto possiamo sostituirli o per lo meno affiancarli ad altri pensieri più utili, ad esempio, pensieri volti a trovare i bisogni frustrati e le azioni efficaci per tentare di soddisfarli.
Per questo lavoro è importante coltivare la consapevolezza qui e ora. La presenza mentale. La mente presente al presente.
Il presente è l’unico tempo che può essere vissuto, l’unico spazio che può essere abitato. Ed è tanto grande quanto sono le cose che noti, gli aspetti dell’esperienza a cui sei presente.
Ogni pensiero sul passato (ricordi, immagini, idee, credenze convinzioni), ogni emozione e sensazione che provi pensando a quel tempo (rimpianti, rimorsi, tensione, senso di costrizione, dolori fisici) ed ogni previsione o aspettativa sul futuro, con le emozioni positive (eccitazione, attesa, entusiasmo) o negative (preoccupazione, imbarazzo) che ti suscitano, sono comunque esperienze del presente. Elementi dell’esperienza soggettiva di cui tu puoi o meno essere consapevole.
La presenza mentale non ha aspettative di risultato, se non quella di essere praticata. Verrà da sé … capirai da solo… quali pensieri ti saranno utili per attivare azioni efficaci … e quali potrai semplicemente continuare ad osservare quando si presenteranno …
Non ti resta che iniziare ad osservare qui e ora … con tutti i tuoi sensi… con tutto il tuo corpo… presente a te stesso…
Oltre quello che è sempre stato
Provo ansia quando sto in ufficio coi colleghi e il capo viene a controllare il nostro operato. Mi deprimo ogni volta che vado a trovare i miei genitori. Sono stressato dal dover rendere conto a tutte le persone che mi chiedono di fare mille cose. Vado nel panico quando c’è tanta gente che mi guarda. Perdo il controllo della mia rabbia se qualcuno mi riprende. Non riesco a bere poco se sto in compagnia. Mi sento in colpa quando mi concedo di rilassarmi. Non riesco ad avere relazioni sentimentali appaganti. Ho continui problemi col mio partner.
Spesso i problemi riferiti dalle persone riguardano i rapporti con gli altri, reali o immaginati nella propria testa. In questi casi, la sofferenza è probabilmente legata all’esistenza di SCHEMI MENTALI E COMPORTAMENTALI CHE TENDONO A RIPETERSI DA SEMPRE; schemi inconsapevolmente “appresi” da piccoli, “sviluppati” negli anni e che da allora guidano il modo di stare al mondo di quella persona, il suo modo di pensare, sentire, agire e “governare” le relazioni.
La persona può riferire di essere DA SEMPRE COSÌ e di aver avuto fin da piccolo un certo tipo di sensibilità o di problemi nei rapporti con le persone. Non solo. La persona spesso ha la convinzione che siano SEMPRE E COMUNQUE GLI ALTRI A CREARE PROBLEMI, che la propria sofferenza sia “colpa degli altri”, non riuscendo a riconoscere gli effetti che i propri comportamenti o i propri pensieri hanno nel determinare la sofferenza personale e i problemi con le persone. Tipicamente, inoltre, questi individui, anche dopo aver capito una serie di meccanismi e aver individuato una serie di strategie che potrebbero attuare per cambiare la situazione, NON RIESCONO DI FATTO NÉ AD AGIRE DIVERSAMENTE DA COME HANNO SEMPRE FATTO NÉ CONSEGUENTEMENTE A MODIFICARE LA SITUAZIONE, anzi finiscono per amplificare gli aspetti negativi dei rapporti con gli altri.
Il lavoro terapeutico con queste persone è focalizzato su:
- comprendere COME QUESTI SCHEMI INTERNI FUNZIONANO, individuando le aspettative e le previsioni che rafforzano lo schema e le convinzioni che lo sostengono, ad esempio, “io sono sfortunato” e “gli altri sono furbi” e “le relazioni sono sempre caratterizzate da qualcuno che frega qualcun altro”
- come la persona tende, per l’attivarsi inconsapevole di questi schemi, a generare PENSIERI E COMPORTAMENTI AUTODISTRUTTIVI, ad esempio, con la propria sospettosità e sfiducia negli altri finisce per provocare reazioni altrui di antipatia
- come tende inconsapevolmente e “in buona fede” proprio a CERCARE E RIPRODURRE SITUAZIONI CHE PROVOCANO SOFFERENZA, ad esempio, chi si sente costantemente sotto giudizio tende a chiudersi e a favorire la sensazione di essere criticato e rifiutato
- come GENERARE NUOVI PENSIERI E NUOVE AZIONI che possano favorire esiti diversi e positivi negli scambi interpersonali e quindi nelle proprie convinzioni interiori, ad esempio la persona impara a comportarsi in modo più rispettoso verso gli altri e con ciò può ricevere maggiori simpatie e una reazione emotiva di accoglienza fino a riuscire a pensare di sé “posso essere ben accolto e amato dagli altri” e degli altri “le persone meritano la mia fiducia”.
Questi 4 punti sono costantemente monitorati nel lavoro terapeutico, allo scopo di favorire nella persona una maggiore flessibilità nel suo modo di pensare, sentire, agire e gestire le sue relazioni interpersonali, con la finalità ultima di ridurre la sofferenza e aumentare le capacità di creare relazioni soddisfacenti.
Traccia per il tuo cambiamento
La persona che arriva a chiedere aiuto porta con sé uno stato di SOFFERENZA e chiede di guarire. La GUARIGIONE può essere intesa in tanti modi, sicuramente in primis come riduzione, fino all’eliminazione completa, della sofferenza. Per arrivare a questo obiettivo, la persona deve intraprendere diversi CAMBIAMENTI, nel modo di pensare e agire, nel modo di gestire lo stress e le emozioni, nel modo di governare il tempo e le relazioni. Un cambiamento fondamentale che ha un impatto trasformativo su ogni altro cambiamento è quando il paziente acquisisce l’abilità di “DIFFERENZIARE” ovvero diventa capace di osservare il proprio mondo interno (pensieri, emozioni, sensazioni, bisogni, ricordi, fantasie, desideri, aspettative, comportamenti, abitudini, schemi ripetitivi, ecc.) e di comprendere il suo impatto sulla percezione del mondo esterno (comportamenti degli altri e relazioni interpersonali sostanzialmente).
L’individuo che riesce a differenziare ha la capacità di “svincolarsi” da un unico modo di percepire, interpretare e vivere gli eventi che gli accadono. Soprattutto nelle relazioni interpersonali diventa più “libero” rispetto al modo di percezione e reazione abituale “imposto” dagli schemi interni di origine infantile. Ad esempio, ecco una “POSSIBILITÀ DI CAMBIAMENTO” raggiunta da un paziente che riferisce: “quando i colleghi mi criticano tenderei a reagire, COME HO SEMPRE FATTO, sentendomi umiliato e offeso e ritirandomi in un silenzio pieno di vergogna, tristezza e rabbia. Questa è la mia sensibilità acquisita in tanti anni in cui ho subito i rimproveri feroci di mio padre senza fare altro che stare zitto. Riconosco che oggi mi aspetto questo dagli altri, in particolare dalle figure di autorità o che io vivo come tali; mi aspetto, e tendo a percepire un po’ dappertutto, critiche e rimproveri, anche quando nessun altro li percepirebbe e che io stesso oggi riconosco come inesistenti”.
Una donna, invece, dopo tanto lavoro sulla sua dipendenza affettiva e pratica dal partner, come da altri uomini in passato, mi dice: “ho finalmente realizzato, con le viscere oltre che con la testa, che sono io che tendo a mettermi in condizioni tali da essere sfruttata, trattata male, non rispettata dal mio compagno, perché tendo a percepirmi incapace di difendermi e di cavarmela da sola o troppo angosciata di rimanere sola. Questo l’ho imparato, “indirettamente”, da mamma che così si faceva trattare da papà e da lui che ha sempre preferito mio fratello in quanto maschio rispetto alle femmine considerate solamente fragili e bisognose. Oggi conosco questo mio modo di stare con il mio partner e so che devo essere io a pormi in modo differente per farmi considerare diversa, DA COME MI SONO SEMPRE SENTITA E SONO SEMPRE STATA CONSIDERATA”.
Questi due esempi rivelano la capacità acquisita dal paziente di “uscire fuori” dal proprio schema e riconoscere il proprio potere di CONTINUARE a stare nei soliti modi (avrà evidentemente un senso rispetto a certi bisogni e paure) oppure di ATTIVARE POSSIBILITÀ DIVERSE attraverso azioni diverse, imparando ad affrontare quelle paure e soddisfare in modo diverso quei bisogni che tenderebbero a lasciarlo nel “copione che si ripete”.
Ti propongo allora di seguire questa TRACCIA PER IL TUO CAMBIAMENTO, per verificare la tua capacità di “differenziare” e uscire fuori dagli schemi, per superare la tendenza inconsapevole a ritrovarti sempre negli stessi vecchi scenari interpersonali.
Individua cosa VORRESTI mentre interagisci con un’altra persona (potrebbe essere il tuo partner, il tuo capo o un collega, un amico o un semplice conoscente, tuo padre o tuo figlio). In particolare come vorresti essere trattato…
Individua cosa TENDERESTI A FARE per realizzare questo tuo bisogno o desiderio…
Individua cosa TI ASPETTI, prevedi o immagini che sarà il comportamento dell’altra persona di fronte al tuo modo di agire…
Renditi conto di QUELLO CHE EFFETTIVAMENTE FAI rispetto a quello che vorresti fare… E quale RISULTATO raggiungi, cosa pensi e quali emozioni provi…
Cerca di capire i MOTIVI o le PAURE che ti hanno portato ad agire come hai agito…
E ricomincia il giro…
La sofferenza alla prova dei fatti
Conosci la storia del martello?! Quando sei “convinto” che GLI ALTRI CE L’ABBIANO CON TE finisci per “sentire” ostilità dappertutto e ti ritrovi ad essere osteggiato dalle persone o perlomeno a risultare antipatico. Come quella persona che si sente e SI CONSIDERA INCAPACE e finisce per ottenere risultati pessimi che confermano questa idea di sé. O come chi SI CREDE DEBOLE e non riesce a portare a termine nessun compito senza appoggiarsi a qualcuno o dipendere dal sostegno pratico ed emotivo di un’altra persona, fino a rinforzare questa idea di sé vulnerabile e bisognoso.
Quello che PENSIAMO di noi stessi (convinzioni, immagini o rappresentazioni di sé, spesso inconsapevoli) orienta quello che FACCIAMO. Quello che facciamo influenza le RISPOSTE degli altri. Al tempo stesso, come si comporta un’altra persona influenza come noi REAGIAMO ovvero quali emozioni proviamo, quali pensieri ci girano in testa e quali azioni mettiamo in atto.
Tutto questo si può sintetizzare in: QUELLO CHE PENSIAMO, IN MODO PIÙ O MENO CONSAPEVOLE… È SOLO QUELLO CHE PENSIAMO… E NON CORRISPONDE NECESSARIAMENTE E INEVITABILMENTE ALLA REALTÀ DEI FATTI.
In terapia, la persona impara a distinguere il VISSUTO (ciò che pensa e sente) dai FATTI. Impara a comprendere che sugli stessi fatti altre persone possono avere vissuti, idee, convinzioni ed emozioni differenti. Impara ad acquisire una DIVERSA PROSPETTIVA sui fatti, più flessibile e utile ai propri scopi di vita e alla gestione delle relazioni interpersonali. Esempi: l’idea di essere sempre sotto giudizio in quanto incapaci è solo un’idea… L’idea di essere sempre meritevoli di essere rifiutati è solo un’idea… L’idea di essere sempre sfortunati è solo un’idea… L’idea di essere sempre e da tutti trattati male è solo un’idea… L’idea di non farcela ad affrontare una certa situazione è solo un’idea… L’idea di essere speciali e privilegiati è solo un’idea… L’idea di essere sempre sbagliati o colpevoli è solo un’idea… E via così…
E se non fosse solo un’idea?
In terapia, la persona impara a “testare” le sue idee. A “verificare” quanto crede e quanto potrebbe credere diversamente. Per poter imparare a “costruire significati” più utili nelle sue relazioni. Dopo aver individuato le convinzioni più disadattive e fonte di problemi e dopo aver messo in conto la possibilità che alcune idee, proprio quelle più disfunzionali, siano lontane dai fatti, la persona inizia a SPERIMENTARE CONCRETAMENTE nuove azioni per mettere alla prova “REALMENTE”, all’interno delle sue relazioni significative, ciò di cui è convinto… La prova dei fatti fornirà utili informazioni per CONFERMARE certe idee e soprattutto per FALSIFICARE altre convinzioni. A quel punto, nuovi, più sani ed utili pensieri saranno la base per azioni più efficaci e relazioni più serene… Conosci la “vera” storia di Babbo Natale?