Un filo sottile

Ciascuno di noi vive in base ad un copione scritto nei primi anni di vita e continuamente ripetuto in quelli successivi.
Ciascuno di noi può imparare a  vivere liberandosi dai condizionamenti castranti, imposti prima dall’esterno e progressivamente interiorizzati.
Il filo è sottile tra catene e liberazione. Tra la sicurezza del sentiero già battuto da una vita e la vitalità di poter creare, giorno per giorno, nuovi sentieri, camminando in direzione autentica, creativa. Veramente personale, oltre ogni regola scritta in precedenza da altri per noi, senza interpellarci su quanto quelle regole fossero utili ai nostri bisogni e alla realizzazione delle nostre potenzialità.
Quasi sempre, prima o poi, la persona, ciascuno di noi, deve confrontarsi con questo equilibrio instabile tra continuare a indossare le maschere della ‘normalità sociale’, delle solite norme e forme del proprio sentire, pensare e agire e la possibilità di esprimere altre parti di sé fino a questo momento nascoste, represse, ‘tenute a freno’.
Questo filo sottile prima o poi si incontra nella vita. E quando non si riesce a salire per paura di cadere allora è necessario chiedere un aiuto alla psicoterapia perché nel frattempo sono comparsi sintomi fisici e psicologici e manifestazioni varie di malessere, angoscia, paura e perdita di vitalità.
Il percorso è potenzialmente pericoloso, si può sempre cadere e non sempre ci sono reti a proteggere la nostra caduta.
Ogni percorso prevede l’incontro con ciò che si trova sul cammino, qualcuno o qualcosa che ci si presenta davanti, qualcosa che probabilmente ha fatto sempre parte di noi, ma che, per molteplici ragioni culturali, sociali, familiari, individuali, non abbiamo mai visto e voluto vedere. Né incontrare.
Sono desideri. Tutto ciò che ci porterebbe ad avvicinarci a…
Sono paure. Tutto ciò che ci ha portato, più o meno consapevolmente, ad allontanarci da…
Il malessere che proviamo esprime il cedimento delle vecchie regole dentro le quali siamo stati fino a questo punto. I sintomi sono inviti a mettere in discussione queste regole e le certezze con cui abbiamo condotto la nostra vita. Le regole aiutano, ma vanno riviste in base alle esigenze emergenti della persona che cresce, a 10 come a 20 come a 50 anni.
Le certezze sono fondamentali, ma sono verità in cui crediamo fino a quando non si palesano, davanti al nostro cammino, altre possibilità, altre verità, altre credenze quindi altre certezze da costruire.
Se questo discorso ti sembra astratto e astruso, inizia a vedere concretamente come funzioni oggi nei diversi ambiti della tua vita… Casa, lavoro, affetti, cura della persona, gestione del tempo… E come funzionavi ieri… Dieci anni fa… Molti anni fa… Forse alcune convinzioni, alcuni scopi e alcune regole sono le stesse che, oggi come tempo addietro, guidano il tuo pensare e agire. Al tempo stesso, molto probabilmente, alcune credenze, alcune aspettative, alcuni scopi, alcune regole, forse addirittura certi tuoi valori sono cambiati e ciò che dirige la tua vita oggi, dentro di te, è molto diverso da allora.
Banale, forse, riconoscere questa evoluzione condizionata da eventi esterni e normali tappe evolutive.
Fondamentale riconoscere cosa è successo, cosa è cambiato, in quale direzione e perché! E cosa ci hai messo tu, oltre i condizionamenti esterni.

Inizia a leggere ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line. Ci troverai certamente qualcosa che già hai incontrato o che hai evitato di incontrare…

“Il diavolo prenda l’ultimo. La fuga del narcisista”.

Il narcisista è un tiranno e non solo. Tratta male gli altri, fino al disprezzo. Ma, controintuitivamente, è soprattutto un bambino ferito. Una ferita da trascuratezza, da mancato accudimento. È arrabbiato per qualcosa che avrebbe dovuto ricevere in origine e non ha ricevuto.
Ha paura. Prova dolore. Un dolore nucleare, profondo, di vergogna: si sente non amato e privo di valore. Ha costruito nel tempo una corazza di arroganza a protezione della sua vulnerabilità, un guscio grandioso per schermarsi dal giudizio che colpisce chi si è sentito non amato, non apprezzato e ha imparato a credere di sé di non essere amabile né degno di stima. Un misto di arroganza e vergogna, bisogno di essere ammirati e invidia, pretesa e paura. Il tutto indossato con la più falsa delle maschere: si crede di essere, consapevolmente, chi sente di non essere, inconsapevolmente. Per questo il narcisista è ostile e aggressivo, soprattutto verso chi lo critica; ostile oltre ogni ragionevole misura: a nessuno piace essere criticati, sì poi magari impariamo ad usare la critica in modo costruttivo, ma per il narcisista sentirsi criticato equivale ad aprire la botola che lo farà precipitare nel buio più oscuro della perdita d’amore e di valore.
Il disprezzo verso l’altro è la reazione che maschera il proprio senso di profonda insicurezza. Che invita alla competizione sfrenata e ad inseguire il perfezionismo, per tentare inutilmente di lenire il dolore, dove la competizione si svolge su un campo minato, dove “non esiste qualcosa come il secondo posto, esiste il primo e l’ultimo”. Col diavolo ad aspettarti… Anzi a rincorrerti… Per cui scappi e scappi e scappi e corri e corri e corri e cerchi il primato perfetto per sfuggire al tiranno del “non sei come dovresti essere”. Di origine infantile.
Tiranneggiato in origine. Tiranno degli altri oggi. E tiranno di se stesso. Una maschera che copre una fragilità vestita di disprezzo per gli altri, quasi sempre, ma anche una facciata schiva, altre volte. Che schiva il contatto con l’altro e con se stesso, come un fiume carsico che aspetta solo il momento giusto per rivelarsi in tutto il suo disprezzo.
Questo è il narcisista che si incontra in terapia, quando ci viene, quando ce l’hanno mandato; questa la fragilità vestita di grandiosità che chiede di essere svelata, quando il narcisista rimane in terapia e i lavori sono effettivamente in corso; questo il volto della paura, del dolore e della vergogna che chiedono di essere riconosciuti, quando la cura funziona.
Questo è il narcisista che fugge, narrato da Giancarlo Dimaggio, terapeuta esperto di narcisisti, nella sua ultima opera narrativa: ‘Il diavolo prenda l’ultimo. La fuga del narcisista’ (Baldini e Castoldi). In cui l’autore, con umile competenza e vivace ironia, narra storie di vita incontrate della stanza di terapia.
Il narcisista è portatore insano di una moltitudine di sfaccettature, un misto che è un mistero, succulento da svelare per chi ha voglia di capirci di più, di comprendere la ferita dietro la barricata della pretesa: “la pretesa di essere venerati intrecciata al timore di essere presi a sputi e pietre”. Paura! Di cosa? Del caldo che diventa freddo. Anzi scoprire che forse è sempre stato solo tiepido. Meglio allora fuggire. Fuggire sì, ma dove? Da cosa, soprattutto? 
Fuggire dal dolore, dalla vergogna, dalla vulnerabilità. Prelibatezza per il diavolo. Quelli esterni di diavoli, ma soprattutto quello interiore.
Fuggire dalla paura di non essere riconosciuti se non come oggetti al servizio dell’altro, dell’altro che controlla, che manipola o che è indifferente o poco più che tollerante.
Fuggire dal senso di colpa che il narcisista vive quando prova ad immaginare una vita piena di iniziativa che però fa soffrire l’altro.
Fuggire… Prima del precipizio dell’angoscia di non conoscere l’amore. Non averlo forse mai sentito. Prima dell’abisso: sentire quel dolore di chi si sente privo di valore.
Insomma… Libro consigliatissimo… Per tutti… Per chi narciso non sa di esserlo… Per chi non riesce  ad allontanarsi dal narcisista o difficilmente potrebbe farlo… Per un regalo, della serie ” che avrà voluto dirmi!?”. Per ogni terapeuta che voglia veramente capirci qualcosa di questo dolore e del suo potere distruttivo. E anche delle possibilità reali di trattamento efficace.

Chi con cor

Ciascuno di noi ha desideri. Ciascuno di noi ha paure connesse all’espressione di quei desideri: “vorrei, ma temo le conseguenze delle mie azioni desideranti…” E quei desideri repressi che fine fanno? Diventano sintomi fisici e psicologici. E intossicano le relazioni…
Ciascuno di noi prova emozioni e paura di esprimere quelle emozioni. Paura delle conseguenze dell’espressione delle proprie emozioni, guidati dalla credenza che non sappiamo esprimere adeguatamente ciò che proviamo. O semplicemente paura delle reazioni dell’altro alla nostra espressione emotiva. E quelle emozioni che fine fanno? Fanno compagnia ai desideri non espressi. E generano comunicazioni indirette, passive, aggressive, manipolative…
Chi va col represso impara a reprimere e i sintomi individuali e interpersonali aumentano smisuratamente…
Desideri, emozioni, bisogni e pensieri ‘non detti’ intossicano la persona e le sue relazioni.
La soluzione a questi mali sembra conseguente, quasi scontata. Vomitare tutto?! Certo che no!!!
Chiarire con coraggio certo che sì!!!
Chiarire con coraggio è un atto di intimità profonda soprattutto verso se stessi. Imparare ad ascoltarsi e guardarsi dentro oltre la paura e riconoscere: questo è ciò che provo, questo è ciò che penso, questo è ciò che voglio, questo è ciò che devo fare perché voglio farlo, autenticamente, oltre la paura delle conseguenze e delle reazioni altrui, mettendo in conto la necessità di affrontare le conseguenze dei propri atti autentici. È la difficoltà della vita. È il lavoro di una vita. Per tutti. Nessuno escluso…
Chiarire con coraggio è un atto di profondo rispetto dell’altro, un atto di intima comunicazione autentica. Rispettosa proprio perché trasparente. Rispettosa anche se franca, fino all’osso… E chi vivrà affronterà…
Tutti noi, chi più chi meno, fin da bambini abbiamo imparato a reprimere, a trattenere, ad esprimerci in modo ‘corretto’, come si deve. È il prezzo salatissimo dell’amore, dell’approvazione dell’appartenenza. Da quel dì è anche nato in noi il bisogno, più o meno consapevole e impellente, di recuperare il vero sé dietro le maschere. Un lavoro che durerà tutta la vita. Nessuno esente… Probabilmente un lavoro ‘dalla culla alla tomba’. Un lavoro impegnativo, imperfetto, forse interminabile eppure da portare avanti…

Quando ad una certa… Lo sai che nuova c’è…

Capita ad un certo punto del percorso terapeutico di passare da un estremo all’altro. È l’effetto emergente di tanto lavoro di consapevolezza di sé.
La persona si è ammalata, ha chiesto aiuto, ha cominciato ad osservare il suo funzionamento mentale e nelle relazioni, ha cominciato a comprendere se stesso e molti aspetti del suo modo di stare nei rapporti interpersonali. Ha compreso il senso di molte sue scelte. Antiche e attuali.
Ad un certo punto inizia a scegliere diversamente. Inizia a provarci e magari ci riesce a fare cose diverse ottenendo risultati differenti, reazioni degli altri differenti.
Spesso questo cambiamento porta la persona ad assumere atteggiamenti opposti ai precedenti. Il remissivo diventa aggressivo. L’estroverso si chiude in se stesso. L’accudente compulsivo si fa un po’ più gli affari suoi. Chi si è fatto sempre carico comincia a scaricare ogni peso. Il maestro dei sensi di colpa diventa un egoista seriale. L’eccentrico bizzarro si ricompone, la persona troppo regolare incontra la pazza gioia. E tanti esempi ancora. Ne hai qualcuno da aggiungere?
Atteggiamenti che possono spiazzare gli altri e se stessi. A volte preoccupare. Altre volte invece la persona si gode questa ‘nuova forma’ o modo di essere, pensare e agire.
Certo gli estremi spesso sono causa di problemi. E la persona deve integrare il vecchio e il nuovo, deve trovare la sua giusta posizione e misura, giusta per sé nel rapporto con la realtà, tra la maschera che ha indossato fino a qualche tempo prima e nuove parti di sé emergenti, parti appunto anche molto lontane dalle precedenti. Aspetti oscuri, potenzialmente spaventosi perché ignoti, nuovi. Aspetti carichi di energia vitale che portano la persona in contatto con parti autentiche di sé che ora ha conosciuto e vuole cominciare ad esprimere e mettere alla guida del proprio comportamento.
Questa integrazione richiede alla persona almeno due passaggi, entrambi fondamentali:
1. Godersi gli aspetti positivi del ‘nuovo sé’ (sempre monitorando il contatto adeguato con la realtà), sperimentando un nuovo modo di stare al mondo
2. Chiarire chi vuole essere e cosa vuole costruire nella sua vita da adesso in poi. Sembra un discorso troppo filosofico o astratto, in realtà può essere un processo di consapevolezza e azione molto concreto basato su dare risposte ad alcune domande fondamentali: pensando ai vari ruoli della mia vita che persona voglio essere (metti aggettivi qualificativi come appassionato, sereno, generoso ma non scemo, curioso, capace di farsi rispettare, sanamente egoista, disponibile ma non a disposizione, aperto ma senza farsi invadere, ecc)? Quali comportamenti devo adottare in concreto per essere la persona che voglio essere? Domande chiare, risposte che vanno cercate e applicate giorno per giorno, per tutta la vita…

Il nucleo della sofferenza

Nella diversità di sintomi riferiti dalle persone che arrivano a chiedere aiuto, con problemi psicologici e interpersonali e storie di vita anche molto differenti tra loro, un elemento è sempre presente a contribuire alla sofferenza della persona. Per sentirsi accettato in famiglia e da altre persone importanti fuori dalla cerchia familiare (insegnanti, coetanei, gruppi vari, fino ai partner sentimentali), l’individuo, fin da bambino, ha “scelto” (con diversi gradi di consapevolezza in base all’età e alle relazioni) di sacrificare parti di sé, rinunciando spesso all’espressione autentica di sé, dei propri pensieri, emozioni, bisogni e desideri. Questa è stata una “decisione antica” che, ripetuta più volte nel tempo, è diventata la propria personalità, il proprio modo di stare al mondo, di pensare e agire e di stare con gli altri.
Per essere accettato, per sentirsi amato, per ricevere approvazione, per sostenere la propria autostima, per soddisfare certi bisogni e desideri, l’individuo ha “scelto” di pagare un prezzo più o meno elevato.
Per certi versi è un processo inevitabile per adattarsi alla vita, alla realtà, per costruire relazioni. Quando diventa eccessivo, la sofferenza esplode.
Se la persona riesce ad arrivare a chiedere un aiuto psicoterapeutico, l’obiettivo di lavoro sarà quello di trovare o ritrovare un proprio personalissimo equilibrio rispetto alle parti di sé da sacrificare in favore di parti di sé da riconoscere, legittimare, valorizzare, esprimere per realizzare una vita serena, felice, appagante.

Anche nelle migliori famiglie

I bambini, si sa, hanno bisogno di attenzioni. Hanno bisogno di essere accuditi, protetti, curati, stimolati, incoraggiati, sostenuti, apprezzati. Hanno bisogno di genitori con uno “sguardo attento”, capaci di rispondere in modo sollecito e adeguato ai bisogni dei figli e anche di fornire una giusta dose di frustrazione dei bisogni, in modo che il bambino crescendo sappia anche vivere l’esperienza che non tutto è ottenibile, né subito, né sempre facilmente. E ciò lo fortifica e lo prepara alla vita.

Purtroppo a volte succede che i genitori (per una serie svariata di motivi) non abbiamo quella giusta capacità di dare ai figli le giuste e sane attenzioni… E allora i figli devono imparare un modo per ottenere la soddisfazione dei loro bisogni di amore, vicinanza, conforto, sostegno e via dicendo. Questo modo, quando funziona, viene ripetuto, fino a consolidarsi e diventare il proprio modo di stare al mondo e di stare nelle relazioni interpersonali per ottenere la gratificazione dei bisogni. Da bambino come da adulto. E questo modo può essere più o meno sano oltre che più o meno consapevole. Allora abbiamo il perfezionista schizzato, il narcisista borioso, il controllante esaurito, l’istrionico disperato, l’evitante distaccato, il rabbioso cronico, il passivo ritirato, l’ossessivo ossessionato, l’eccentrico sulla luna, il dipendente sanguisuga, il ragioniere delle relazioni, l’ingegnere dell’intimità, e via dicendo. Tanto per usare “etichette semplificanti” che aiutino a capire come ciascuno di noi può essere un tipo di questi e ciascuno di noi può essere circondato da questa “strana gente”. 
Spesso le persone arrivano a chiedere aiuto per la loro sofferenza emotiva e nei rapporti con gli altri perché quel modo, anticamente trovato e ripetuto, oggi è diventato così rigido e inflessibile da creare molti più problemi di quanti bisogni riesce a soddisfare.
La persona, in terapia o con altri strumenti, deve lavorare sulle sue “maschere”, sui suoi “ruoli sclerotizzati”, sulle sue “ferite ancora sanguinanti”, sulle sue “modalità ripetitive di manipolare” gli altri. Per sviluppare una maggiore flessibilità per chiedere, in modo sano, consapevole, adulto, responsabile, ciò di cui ha bisogno, per re-imparare a governare la frustrazione e la delusione che si incontrano nelle relazioni, per fare scelte felici ed efficaci diverse da quelle del passato, anche se mai perfette.

Il principe che pensava di essere un tacchino

Il principe era impazzito e razzolava tutto il giorno per terra nudo raccogliendo le briciole sotto il tavolo. I medici di corte avevano fatto di tutto per curarlo ma invano. Infine si fece avanti un vecchio saggio che disse al re di lasciarlo fare a modo suo. Il re disperato accettò il suo aiuto. Allora il saggio si spogliò andò sotto il tavolo iniziò anche lui a razzolare come un tacchino e così fece amicizia col principe. I due iniziarono a intendersi a meraviglia e per alcuni mesi tutto andò avanti così. Ora la corte del re aveva due tacchini che razzolavano briciole sotto il tavolo. Un giorno il saggio si mise un paio di calzoni: “perché ti metti i calzoni?” chiese il principe stupito. “Beh uno può benissimo indossare i calzoni e continuare ad essere un tacchino” rispose il saggio. Così il principe decise di indossare anche lui i calzoni come il suo amico. Dopo diverso tempo il saggio si mise una camicia, il principe lo guardo stupito e il saggio disse: “ognuno può indossare una camicia e continuare ad essere un tacchino”. A poco a poco, con naturalezza, senza che venisse fatta alcuna violenza alle sue convinzioni, il principe adottò un comportamento più adeguato alla realtà. Passò altro tempo e il saggio lo invitò a sedere su una sedia e a mangiare a tavola: “si può essere un tacchino e mangiare a tavola”. Con l’andare del tempo il principe dimenticò di essere un tacchino e cominciò a pensare ed agire con qualità e facoltà degne di un principe.

(Brushan M. Moretti. La promessa di ciò che puoi essere)

Quante ispirazioni puoi trarre da questa storia?!?!

Certo puoi sempre scegliere di essere un tacchino, magari ti conviene, magari è una strada che hai trovato per essere felice o forse per cavartela tra tacchini che si credono principi. O forse sei semplicemente “impazzito”…

Certo puoi anche scegliere di andare oltre il tacchino che sei sempre stato e finalmente decidere di accedere ad altre potenzialità, di percorrere altre strade…

Certo puoi scegliere e riscegliere… Con consapevolezza e responsabilità… Due attributi fondamentali…

Lo scorpione. Una storia sul rispetto della propria natura

Un maestro zen vide uno scorpione annegare in uno stagno e decise di trarlo in salvo. Quando lo fece, lo scorpione lo punse. Per l’effetto del dolore, il maestro lasciò l’animale che di nuovo cadde in acqua in procinto di annegare. Il maestro tentò di tirarlo nuovamente fuori dall’acqua e l’animale lo punse nuovamente.

Un giovane discepolo che vide la scena gli si avvicinò e gli disse: “Scusate, maestro, ma perché continuate? Non capite che ogni volta che provate a tirarlo fuori dall’acqua, lo scorpione vi punge?”

Il maestro gli rispose: “la natura dello scorpione è di pungere e questo non cambierà la mia che è di aiutare”.

Allora il maestro rifletté e con l’aiuto di una foglia tolse lo scorpione dell’acqua e gli salvò la vita, poi rivolgendosi al suo giovane discepolo, continuò: “non cambiare la tua natura se qualcuno ti fa male, prendi solo delle precauzioni. Purtroppo gli uomini sono quasi sempre ingrati del beneficio che gli viene offerto. Ma questo non è un motivo per smettere di fare del bene o smettere di abbandonare l’amore che vive in te. Gli uni perseguono la felicità, gli altri la creano. Preoccupati più della tua coscienza che della tua reputazione. Perché la tua coscienza è ciò che sei, mentre la tua reputazione è solo ciò che gli altri pensano di te.
Quando la vita ti presenta mille ragioni per piangere, mostrale che hai mille ragioni per sorridere”.

… … …

Quanti scorpioni hai incontrato nella tua vita? Cosa è successo quando ti hanno punto? Hai imparato ad essere prudente? Ti sei adattato e snaturato? Hai cambiato per loro? Hai mantenuto la tua direzione di vita e la tua missione esistenziale? Che insegnamento ne hai tratto?

Oggi … nota cosa succede quando incontri scorpioni pungenti … cosa senti … cosa pensi … cosa fai … e che reazioni susciti …

Nota quanta autenticità colora le tue scelte… E quanto le tue scelte sono guidate dal tuo bisogno di adattarti a situazioni che non puoi modificare…
Nota quando scegli comunque la via dell’autentica espressione di te… E quando invece scegli un utile necessario compromesso… E nota cosa provi e cosa pensi in queste diverse situazioni…

“Facciamo che io ero…”. Un gioco per tutte le stagioni

Facciamo un gioco… Un gioco per l’estate… E per ogni stagione della tua vita…

Pensa a 3 relazioni importanti della tua vita attuale. Famiglia (partner, genitori, figli, fratelli, nonni, altri). Lavoro (capo, collaboratore, collega, ecc.). Amici e conoscenti. O altro…

Ora prendile una alla volta e…
Focalizza l’attenzione sull’altra persona. Pensa ad una situazione recente o tipica con questa persona. Cosa dice e cosa fa. Come lo dice e come lo fa. Che tono di voce o che movimenti usa. Che espressione facciale o che sguardo ha. Che atteggiamento assume. Che pensieri e valori esprime questa persona e che emozioni prova (secondo te), nella situazione specifica a cui stai pensando o solitamente. Dedica un po’ di tempo e attenzione a conoscere ancora meglio questa persona…

Ora entra in scena tu… E osservati dall’esterno… Fai un passo indietro da te e osserva come tu ti poni verso questa persona… Cosa dici e come lo dici, cosa fai e come lo fai, che atteggiamento adotti, con tutto il tuo corpo, cosa stai mostrando e cosa stai nascondendo… CHE RUOLO ASSUMI…
Al di là del ruolo “formalmente riconosciuto” (sei un genitore, sei un figlio, sei un partner, sei un collega, sei un amico, sei un cliente, ecc.) nota con attenzione acuta che RUOLO RELAZIONALE stai assumendo… nella specifica situazione o tipicamente con questa persona… O addirittura tipicamente come sei solito fare un po’ con tutti… Ti faccio qualche esempio o suggerimento e ti invito soprattutto a trovare proprio i nomi e i nomignoli più adatti a quello che fai: ti poni come Vittima inconsolabile … Giudice critico… Bambino vulnerabile… Tiranno feroce… Folle scatenato… Superman… Supermamma… Eroe sacrificale… Adolescente ribelle… Adulto superrazionale… Vulcano di emozioni… Sfigato infinito… Protettivo ad oltranza… Perfezionista equilibrista… Bonaccione apripista… Rompiscatole senza tregua… Eterno fanciullo… Insoddisfatto cronico… Sottomesso indefesso… Fesso fino all’osso… Scemo, ma mai falso… Compiacente inguaribile… Corretto fino alla morte… E via così… Ruoli, nomi, nomignoli e tutti gli aggettivi che qualificano chi sei, che fai e come lo fai…
Insomma trovati o intuisci o scopri CHI SEI QUANDO SEI CON GLI ALTRI … Chi sei e come ti presenti…

Nota l’effetto che ottieni comportandoti come ti stai comportando da quella posizione o ruolo relazionale…
Nota l’effetto che fa ora che hai osservato e compreso…
Nota cosa provi e cosa pensi ora che hai focalizzato l’attenzione sul tuo ruolo relazionale… Specifico o tipico… Tipico di una relazione o generalizzato un po’ con tutti…
Nota quanto ti diverti o se invece vorresti smettere… Puoi sempre dirti basta… Davvero.
Nota la scelta che fai, più o meno consapevole…
Nota quanto ti senti costretto a svolgere quel ruolo… E quanta flessibilità e cambiamento puoi iniziare a realizzare… Quali scelte nuove senti a tua disposizione… E quando vuoi iniziare a giocare un altro ruolo… Forse più vicino ai tuoi bisogni autentici invece che mosso dai bisogni di quello che hai imparato ad essere nell’arco della tua vita… Hai sempre la possibilità di dire “basta… Davvero… Basta davvero!!!!”

Pensa ora ad altre 3 relazioni importanti della tua vita attuale… E ricomincia a giocare… Certo se poi lo fai in gruppo allora il divertimento è moltiplicato…

Identikit della ferita per vivere relazioni più soddisfacenti

Cerca come è fatta la tua ferita e come sei fatto tu in base alle tue esperienze, ai tuoi pensieri e aspettative, ai tuoi comportamenti ed emozioni, ai tuoi bisogni e desideri.

Ecco una traccia per cercare e “ritrovare” cosa ti riguarda:

  • Esperienze drammatiche, dolorose o traumatiche vissute nell’infanzia, spesso ripetute: abbandoni, perdite, separazioni; abusi, violenza, sopraffazione, maltrattamento; tradimenti, manipolazioni, inganni; colpevolizzazioni, rimproveri eccessivi, critiche feroci, umiliazioni; freddezza emotiva, distacco, scarsa cura; iper-protezione, invischiamento, invadenza; mancanza di sostegno, guida e riferimenti.
  • Attuali timori o preoccupazioni principali: timore di essere lasciati; di essere fregati; di essere giudicati; timore di fallire, di essere inadeguati, di essere smascherati e svergognati; timore di non farcela da soli; timore di dover seguire quanto chiesto dagli altri, dalle regole, dalla realtà; timore di essere esclusi, di rimanere soli ed emarginati; timore di non ricevere abbastanza sostegno, calore e affetto, timore di restare delusi e incompresi; timore di risultare indesiderabili; timore di non raggiungere la perfezione; timore che possa succederci qualcosa di brutto o di grave; timore di deludere gli altri e di entrare in conflitto; timore di essere egoista e menefreghista; timore di perdere il controllo della propria rabbia e delle proprie emozioni in generale.
  • Aspettative nefaste sulle relazioni: “prima o poi” resterò solo e abbandonato; gli altri mi tradiranno, mi faranno del male, si approfitteranno di me; scopriranno quanto poco valgo, quanto poco merito e quale mostro colpevole si annida in me; prima o poi gli altri mi deludono; gli altri mi dominano, pretendono e mi obbligano a fare ciò che loro va bene anche se a me non piace; prima o poi gli altri si accorgeranno della mia inferiorità o della mia pesantezza e noiosità o della mia diversità da tutti gli altri o di chi sono veramente; prima o poi gli altri si stuferanno di me; prima o poi me la dovrò cavare da solo; prima o poi succederà qualcosa di brutto e pericoloso; gli altri mi vorranno costringere a fare ciò che mi chiedono; prima o poi fallirò, la mia incompetenza e il mio scarso valore verranno a galla.
  • Tendenza comportamentale ripetitiva che finisce per confermare il dolore della ferita (profezia che si auto-avvera): tendo a cercare una vicinanza spesso asfissiante per l’altro; tendo a non fidarmi, a chiudermi nei rapporti, a stare in guardia, a mettere continuamente le persone alla prova della mia fiducia; tendo ad essere insicuro in ogni cosa che faccio, a chiedere continue rassicurazioni sulla bontà della mia prestazione; tendo ad essere perfezionista, a non rilassarmi mai, ad inseguire traguardi eccessivamente ambiziosi e a non accontentarmi mai; tendo a controllare tutto e tutti; tendo ad essere severo e svalutante con gli altri e prima con me stesso; tendo ad appoggiarmi agli altri per ogni mia decisione; tendo a cercare l’approvazione degli altri per ogni cosa che faccio, che penso, che dico; tendo a spalmarmi sui voleri degli altri e trascuro i miei bisogni; tendo a guardare sempre il bicchiere mezzo vuoto e non sono mai soddisfatto; tendo a compiacere e covo rabbia; tendo ad essere esigente con gli altri ed indulgente con me stesso; tendo a cercare persone instabili o ambivalenti o scarsamente desiderose di impegnarsi in relazioni serie; tendo a fare le cose a modo mio e a volere che gli altri si adattino a me; tendo ad essere distaccato e freddo nei rapporti; a volere tutto e subito e non sopporto le frustrazioni; tendo a sminuire; a soffocare l’altro fino a portarlo a decidere di lasciarmi; ad essere diffidente, chiuso, ostile, burbero; ad evitare i rapporti sociali e di fare nuove conoscenze; tendo a mostrarmi insicuro, bisognoso degli altri, di continue rassicurazioni su quello che ho fatto o che potrei fare; tendo a tenere sotto controllo ogni cosa che faccio e ogni persona che incontro; tendo ad evitare molteplici attività “normali” per paura che siano fonte di pericolo, malattia, morte, che potrei impazzire o andare in rovina.

Una volta che hai identificato le “caratteristiche salienti della tua ferita” che ti portano ad essere particolarmente sensibile a certe vicissitudini relazionali e ad impostare i rapporti affettivi sempre allo stesso modo doloroso, impegnati a:

  • cogliere i tuoi sentimenti e le emozioni più importanti che provi nelle tue relazioni significative;
  • identificare i tuoi pensieri rispetto alle relazioni quotidiane;
  • far emergere i bisogni che hai oggi quando ti ritrovi in certe specifiche relazioni, affettive o anche lavorative;
  • individuare i comportamenti utili per soddisfare i tuoi bisogni, allontanare gli stati emotivi negativi e favorire emozioni positive e relazioni soddisfacenti;
  • cominciare ad agire in base a questa consapevolezza emergente in modo da staccarti progressivamente dalla ripetizione della ferita e avvicinarti gradualmente a vivere le relazioni in modo più sano, leggero, libero e pieno di piacere…