Cosa c’è intorno al vuoto

Il sentimento di vuoto è lo stato emotivo, mentale e corporeo che le persone vivono quando sono schiacciate, travolte, sopraffatte da una perdita: lutto, malattia, separazione, ma anche licenziamento, pensione, traslochi e altri sradicamenti, reali e/o vissuti interiormente, che portano a sconvolgimenti e ridimensionamenti dei propri progetti di vita.
In psicoterapia, molte persone riferiscono il dolore del vuoto come qualcosa di infinito, senza confini. Ed è così la loro percezione devastante, soprattutto quando rispetto alla perdita che ha creato il vuoto non sembra esserci alcuna possibilità di rimedio, riparazione, riempimento.
La vita è stata beffarda, ingiusta, violenta. Spesso, a seconda dei casi, la persona si ritrova anche ad aggiungere benzina sul fuoco del dolore, con aurorimproveri feroci per quello che, si dice: “avrei dovuto e potuto fare ma non ho fatto… Avrei dovuto evitare e invece ho fatto…”. Le vie del giudice interiore severo e sprezzante sono infinite.
Il lavoro terapeutico con questi stati di vuoto prevede:
– Accogliere, contenere e lenire il dolore, per quanto possibile, per renderlo sopportabile
– Arginare il giudice, ignorarlo e imparare la comprensione e la compassione verso se stessi
– Radicarsi sulle fondamenta solide dei propri amori, dei propri valori, delle proprie risorse, che restano intorno al vuoto, nonostante frustrazione e delusione, perdita e senso di fallimento, angoscia e dolore siano enormi
– Cambiare ciò che si può cambiare e accettare ciò che si deve accettare
– Lasciare andare vecchi progetti e desideri e impegnarsi in direzione di nuovi scopi sorretti dai propri valori, da ciò che resta di importante intorno al vuoto, nonostante il vuoto
– La consapevolezza di un percorso impegnativo eppure possibile, per venire a patti col dolore che forse resterà per sempre, ma con cui si può imparare a convivere portando avanti una vita di qualità e degna di essere vissuta fino in fondo.
“Non c’è notte che non veda il giorno” (William Shakespeare) … Questa è l’ispirazione… Lo dice anche ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line.

Ripartire dalla grandine

Ripartire dai danni fatti dalla grandine a volte o quasi sempre è l’unica cosa che possiamo fare.
Ormai è successo. È passato. È andata così. Da ciò che c’è ora possiamo ripartire.
La grandine potrebbe essere una malattia, un fallimento in qualche area della nostra vita, una separazione affettiva, qualsiasi altra esperienza che ha fatto danni nel nostro cuore, nella nostra mente, nel nostro corpo.
Dai danni emotivi e materiali possiamo ripartire attraverso un sano processo di lutto, attraversando diverse fasi:
– riconoscimento della realtà dolorosa e frustrante (perdita, danni, vuoto, mancanza, ecc.)
– espressione adeguata delle emozioni di dolore, rabbia, tristezza, paura, senso di colpa, vergogna, angoscia, solitudine, disperazione, ecc.
– ricerca di vicinanza e sostegno per i nostri bisogni di cura del dolore
– accettare che qualcosa o qualcuno non c’è più
– accettare ciò che avremmo voluto ci fosse ma non c’è mai stato
– imparare dai nostri errori per prevenire situazioni simili in futuro
– ripartire da ciò che è rimasto, da ciò che c’è, dalle nostre qualità e risorse nonostante il necessario ridimensionamento che potremmo dover accettare rispetto a certi nostri sogni e progetti.

Lasciare andare…

La nostra mente ha la capacità, che può diventare paradossalmente un problema, di ‘ELABORARE IL PRESENTE ALL’INFINITO’.
Quando sperimentiamo qualcosa di negativo, una frustrazione di un bisogno, una delusione da qualcuno o da noi stessi, potremmo affrontare la situazione in un tempo giusto per risolvere il problema: cercare di trasformare la frustrazione in soddisfazione, la delusione in miglioramento di sé e dei rapporti con altre persone, accettare ciò che non siamo riusciti a cambiare ed essere sereni di fronte alle cose che non vanno come vorremmo. Invece, la nostra mente si ingarbuglia in un LABIRINTO infinito di RUMINAZIONE (su ciò che avrebbe potuto e dovuto essere) e di RIMUGINIO (su ciò che potrebbe essere da ora in avanti) che rende l’esperienza dolorosa ‘sempre presente e mai veramente risolta e abbandonata’. Valga un esempio per tanti: siamo stati lasciati dal partner e dopo un sano processo di LUTTO DOLOROSO PER LA SEPARAZIONE (con ‘l’attraversamento utile’ di ‘emozioni legittime’ quali tristezza, rabbia, solitudine, rifiuto, disgusto, sensi di colpa, paura, senso di abbandono, vergogna, senso di sé sbagliato, difettoso, inferiore, inadeguato, ecc.) continuiamo ad INDUGIARE in PENSIERI RUMINATIVI (Perché è successo? Perché l’ha fatto? Come è possibile che…?) e RIMUGINATIVI (Come farò…? E se adesso resto solo?) che ci impediscono di ‘lasciare andare’ veramente il nostro ex partner, lasciarlo uscire dalla nostra vita, dalla nostra mente, dal nostro cuore, dalle nostre viscere.
L’ex se n’è andato, ma noi lo teniamo con noi a farci male!
Quando, invece, un SANO PROCESSO DI LUTTO PER LA FINE, in modo simile a quando perdiamo persone care decedute, richiede certi passaggi interiori fondamentali:
– MI MANCHI… Con tutte le emozioni connesse da vivere, attraversare, superare…
– GRAZIE! Certamente… Per quello che mi hai dato e per quello che mi hai insegnato, per cosa ho potuto imparare con te e per chi sono diventato…
– VAFFA! Eventualmente… Per i sentimenti di rabbia, dolore, ingiustizia, danno, vuoto, disorientamento … Vaffa a te… Vaffa a me stesso… Ognuno per i suoi comportamenti…
– TI PORTERÒ SEMPRE CON ME… In una forma a me utile…
– TI LASCIO ANDARE… Tu la tua vita (anche oltre la morte) … Io a costruire il resto della mia vita…

Passi questi, di un processo di ‘lutto’, che non sono lineari, ma avvengono a spirale, richiamandosi l’un l’altro, ripetendosi fino a quando è utile al risultato di mettere ‘punto e a capo’.
Il percorso è molto simile in tante relazioni: che riguardi la fine di una storia sentimentale, la morte di una persona cara, la rottura definitiva di un’amicizia, così come la fine di un rapporto lavorativo; la cosa importante è arrivare in un tempo buono, sano e utile per sé a lasciare andare l’altro per ‘FARE SPAZIO’, per liberare energie, per guardare avanti a partire da un RINNOVATO ‘SENSO VITALE DI SÉ’, pieno di desiderio, possibilità, fiducia, speranza, creatività…

La pratica della gratitudine e…

La pratica della gratitudine è la contemplazione del valore che appartiene alla tua vita. Quanto pratichi? Quanto sei abituato a valorizzare la bellezza che è parte della tua vita? Quanto lo fai con regolarità?
Sì, anch’io ti sto per dire (e non è la prima volta): INIZIA A SCRIVERE UN DIARIO DELLA GRATITUDINE. Un diario della gratitudine contiene semplicemente (è semplice se lo fai) le tue annotazioni di ciò che di valore, bellezza, pienezza e nutrimento appartiene alla tua vita. Oggi. Ora. Ti basta scrivere SONO GRATO/GRATA PER… Imparando a guardare, riconoscere, apprezzare, nutrirti di ciò che è per te presente e disponibile…
Più lo fai, più ci trovi, più è disponibile per te la gioia e ogni altra emozione di appagamento e valore…
Il tuo diario della gratitudine lo puoi fare comunque come vuoi e quando vuoi e quanto vuoi… Il diario è semplicemente lo strumento attraverso cui tu esprimi la tua capacità di sentirti grato/grata…
Al tempo stesso, ti invito a notare un atteggiamento della tua mente e a prevenirlo per prevenire ansia e depressione. O, meglio, ad usarlo in modo giusto, utile per te.
Potresti, infatti, sempre guardare quel diario, pieno di bellezza e valore, e pensare a quello che non c’è e che vorresti ci fosse, prima o poi. Questo potrebbe attivarti per le tue ambizioni e i tuoi scopi, personali e professionali, relazionali e anche spirituali, ma potrebbe anche farti sentire sempre inadeguato, mai all’altezza, mai appagato, mai fermo a godere il ricco e pieno presente, ma sempre orientato a guardare il futuro incerto e il presente mancante di qualcosa.
Oppure, ahi te, potresti confrontare il presente con quello che c’era in passato e che ora non c’è più. Certo, se si tratta di persone perdute o di progetti andati storti, è giusto, sano e utile per te, che tu viva alcune emozioni dolorose: tristezza, dolore, rabbia, mancanza, solitudine, sconforto, scoraggiamento, ecc. Sono emozioni sane perché conseguenza di un senso di perdita e non realizzazione… Ciò che non è sano è fermarti a sguazzare nel brodo depressivo fatto di disperazione, senso di fallimento, autosvalutazione. Ogni sano processo di lutto ha il suo inizio e la sua fine…
Dunque, praticare la gratitudine significa riconoscere la pienezza di ciò che siamo e ciò che abbiamo, imparando anche ad accettare serenamente il vuoto: ciò che c’era e non c’è più, ciò che non c’è mai stato e forse mai ci sarà…

Lutto e compassione

Piuttosto che continuare a rimproverarci in modo severo e spietato o colpevolizzare gli altri in modo sterile e autofrustrante, è importante imparare ad essere compassionevoli con se stessi, per la vita che abbiamo avuto, per ciò che ci è capitato, per ciò che è arrivato non desiderato e non abbiamo potuto scegliere, per ciò che abbiamo scelto anche se è andata diversamente da come lo avevamo desiderato, per come ce l’abbiamo messa tutta.
Questa autocompassione è un serbatoio fondamentale per aiutarci a vivere i lutti della vita. Non solo quelli più evidenti legati alla scomparsa di persone care. Non solo quelli connessi al dolore di separazioni e distacchi da persone che ci hanno abbandonato, a volte con crudeltà. Ma anche i grandi piccoli dolori quotidiani. La perdita di piccole grandi cose, la perdita di abitudini e sicurezze che prima davamo per scontate (il covid ci ha insegnato, in tal senso, il valore di piccole abitudini e certezze quotidiane che possono svanire in un attimo).
L’esperienza del lutto è sempre dietro l’angolo. È l’esperienza emotiva (dolore, rabbia, paura, tristezza, solitudine, impotenza, senso di colpa, vergogna) che dobbiamo attraversare quando perdiamo qualcosa o qualcuno, quando non riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi, quando non realizziamo la vita che avremmo voluto…

Essere compassionevoli con sé vuol dire:
– Accogliere noi stessi invece che giudicarci
– Valorizzare ciò che riusciamo a fare invece che svalutarci per ciò che non riusciamo a fare
– Legittimare ogni parte di noi (forte e vulnerabile, capace e incapace, impotente e arrabbiata) perché comunque offre il suo contributo importante alla persona che siamo e alla strada che stiamo percorrendo e alla vita che stiamo cercando di vivere

Essere compassionevoli con sé aiuta a:
– Trovare risorse personali e interpersonali per confortare le proprie emozioni dolorose
– Trovare strategie per risolvere problemi
– Trovare strade per i nostri obiettivi
– Imparare ad accettare con serenità ciò che è diverso da come avremmo voluto.

La compassione di sé è la via del perdono di sé per la vita vissuta, per le scelte fatte, per errori e delusioni che abbiamo vissuto.
Visto che già abbiamo pagato il prezzo delle conseguenze delle nostre scelte, e spesso delle scelte altrui, diventa fondamentale non aggiungere benzina sul fuoco, non aggiungere sofferenza ulteriore al dolore inevitabile per la vita vissuta, capitata e scelta che sia stata finora.
E il perdono è la via della libertà, della possibilità di iniziare a scegliere in modo consapevole e autentico come forse abbiamo fatto poche volte in precedenza.

‘P – factor’. Un viaggio

Il dolore fa crescere e anche la paura, anche se probabilmente un po’ tutti vorremmo crescere senza incontrarne più di tanto. Crescere ti richiede di mettere ordine nel caos e nell’imprevedibilità che ti arrivano, prima o poi, tanto o poco, anche se un po’ tutti vorremmo crescere sperando di schivare il più possibile la sofferenza e imparando a cogliere le opportunità. Così è la vita… Certo è meglio la serenità che la tragedia, diremmo tutti.
La nostra vita ci fornisce sostanzialmente interrogativi a cui noi “dobbiamo” rispondere, siamo chiamati ad affiancare punti esclamativi.
La nostra vita si svolge tra ciò che troviamo e ciò che non troviamo. Tra ciò che lasciamo e ciò che troviamo. E ogni tanto ci interroghiamo sulla distanza che esiste tra ciò che siamo e ciò che vorremmo e avremmo voluto essere. Ma anche tra ciò che siamo stati e ciò che non siamo più. E a volte questi temi ci procurano gioia, molto più spesso dolore.
Chi veramente fa i conti con dolore, paura, malattia, perdita, disillusione (tutti noi?) deve necessariamente cercare la luce dentro al buio… Per non sprofondare nell’oscurità, qualunque forma essa possa assumere…
E quindi ognuno ha il suo viaggio da compiere… Eroico o meno che sia… Di cui conosciamo, forse, l’inizio, ma la cui fine dobbiamo cercare di inventare…
Viaggio che si svolge sempre tra regole e immaginazione, tra testa e cuore, tra ragione e sensazioni.
Viaggio in cui devi saperti muovere dentro le certezze rassicuranti e i confini che delineano il percorso, per imparare gradualmente a sfidare i tuoi limiti, imposti e autoimposti, senza mai perdere la testa, qualità che ti permette di perderla solo al momento giusto…
Viaggio che ciascuno compie col personale bagaglio. Di predisposizioni caratteriali ed esperienze precoci, di tendenze innate e di abilità acquisite. Doti naturali e percorsi evolutivi. Bagaglio di dolore e paura e di strategie che abbiamo inventato per cavarcela. Bagaglio di risorse e di limiti personali. Bagaglio in cui ognuno ha messo anche un po’ di certezze su cui poggiarsi e un po’ di imprevisti da imparare a governare.
Fino a quando non funziona qualcosa. Qualcosa non funziona più. Il controllo che, anche solo inconsapevolmente, hai avuto finora lascia il posto a qualcosa che sfugge, che ti sfugge. L’imprevisto diventa ingovernabile.
Prima alcuni segni che non sempre riesci ad interpretare… Poi segnali più chiari, che magari vedi, riconosci come anomalie, ma che tendi a trascurare… Quindi i sintomi, stai male, esprimi una qualche forma e grado di malessere: sei sempre stanco e deconcentrato, il lavoro diventa sempre più “l’attesa del fine settimana”, ciò che fino a ieri ti appassionava ora lo vivi in modo spento, demotivato. Sei costantemente annoiato, quasi sempre incazzato, anche tristezza e ansia ti vengono a trovare sempre più spesso. Ogni relazione ne risente, a casa, al lavoro, in coppia, coi figli, con gli amici. I pilastri in cui ti sei finora riconosciuto e identificato sembrano scricchiolare. Ti senti diverso dal solito, diverso da come sei sempre stato e anche gli altri, più o meno vicini, cominciano a vedere che qualcosa non va nel tuo modo di stare al mondo, nelle relazioni, nella quotidianità.
Il tuo corpo si lamenta, la tua mente si lamenta, tu ti lamenti. Lamenti che hanno bisogno di ascolto. Lamenti che sembrano inascoltabili.
Gradualmente insidiosa, una “parte malata” sta invadendo la tua personalità. Malessere fisico, emotivo, relazionale. Qualcosa è cambiato, si è rotto, si è inceppato o qualcosa del genere. Lo smarrimento che altre volte hai incontrato lungo il viaggio e che hai sempre superato con un senso di sfida, evoluzione, potenza e controllo, oggi è uno smarrimento in cui ti senti “profondamente” perso…
Ora comincia un altro viaggio. In almeno tre tappe, da percorrere necessariamente, anche se, come sempre, ciascuno a suo modo.
Prima. Sto male…
Seconda. Ho bisogno di aiuto…
Terza. Devo farmi aiutare…
Il resto è tutto da percorrere… in infinite forme possibili…
Grazie Luca per il tuo insegnamento…
Grazie Luca per il tuo libro, che invito tutti a leggere e diffondere: ‘P-Factor. La variabile Parkinson nella mia vita’. (Luca Berti. Youcanprint Edizioni).
Grazie per aver condiviso con noi la tua esperienza, il viaggio che stai facendo, forse unico e diverso da altri viaggi, forse simile al viaggio che ciascuno di noi compie…

Il nucleo depressivo

Sei depresso!?! Ma che ti manca? Quante volte lo hai sentito o pensato, di te o di altre persone?!
C’è una depressione come reazione fisiologica a qualcosa di doloroso, una perdita, un lutto, una separazione, un fallimento o qualche esperienza simile. È una reazione di tristezza, angoscia e altre emozioni dolorose che in un certo arco di tempo passano, quando hanno svolto la loro funzione sana di far confrontare la persona con ciò che è accaduto nella sua vita per poi riadattarsi e tornare a vivere in direzione della propria idea di vita felice e che vale la pena di essere vissuta…
C’è, invece, una depressione che non è così “facilmente” spiegabile e comprensibile. È la depressione della persona che entra in un tunnel senza luce dove diventa difficile trovare il senso, il significato, la direzione. Cosa sta accadendo nella mente del depresso che non riesce a superare la reazione fisiologica ad un momento o esperienza dolorosa? Anzi, a volte, addirittura, nemmeno si riescono a rintracciare i “motivi dolorosi” della depressione.
Ciò che manca al depresso non è ciò che ha perso (persona, situazione, condizione, la stima di sé, la stima da parte degli altri, ecc.) o ciò rispetto al quale ha fallito o si sente fallito. Al depresso manca la sensazione, l’idea e la possibilità avvertita internamente di poter vivere anche senza ciò che ha perso. Ovvero ha perso questa sensazione o prospettiva di “un dopo possibile” nonostante la perdita e/o il fallimento. Manca la sensazione di poter essere felice anche se ha fallito. Manca la possibilità, non avvertita internamente, di poter vivere la propria vita di qualità anche se non è perfettamente corrispondente a come la vorrebbe… A come era prima… A come sarebbe giusto che fosse… A come è quella degli altri…
Ogni percorso di cura della depressione deve arrivare a toccare questo nucleo essenziale del depresso, per aiutarlo a farci i conti come non ha ancora fatto, invece che farsi sovrastare da questo manto oscuro che non rende possibile né praticabile, anzi nemmeno pensabile, un “dopo”.

L’ardua impresa dell’accettazione

Cosa significa e cosa comporta accettare una dura realtà? Una realtà che non vorremmo fosse vera, ma che purtroppo è reale, rispetto alla quale siamo impotenti, abbiamo fatto i nostri tentativi per negarla, far finta che non fosse vera o provare a cambiarla, ma ora non possiamo fare altro che accettarla? Ecco una traccia essenziale per “accettare”.

Accettare la REALTÀ: la perdita, la separazione, il fallimento, la sconfitta, una frustrazione che si ripete, una delusione relazionale, il trauma, la malattia, il lutto, una qualche “via del non ritorno”, ciò che è accaduto, più forte e più grande di noi, delle nostre capacità di affrontarlo. Riconoscere la dura realtà è il primo passo per elaborarla, cercarne il senso e il valore, fino ad accettarla come “qualcosa che fa parte delle cose che accadono e possono accadere”.

Accettare il DOLORE e tutte le emozioni che porta con sé: tristezza, preoccupazione, paura, impotenza, angoscia, rabbia, senso di colpa, vergogna, solitudine, disperazione, ecc.. Sopportarlo, attraversarlo, viverlo, per superarlo, impararci a convivere, trasformarlo, fino a lasciarcelo alle spalle.

Accettare i CAMBIAMENTI. Adattarsi alla nuova situazione che si è venuta a creare, riorganizzare i propri comportamenti, le proprie relazioni e il proprio stile di vita. Ritrovare un senso e un valore nella vita nonostante il dolore di una realtà avversa, stressante, traumatica.

Accettare il cambiamento DELL’IMMAGINE DI SÉ. Qualcosa è cambiato all’esterno, qualcosa è cambiato all’interno, nella nostra visione del mondo, nel nostro modo di concepire noi stessi, le altre persone, la vita, il senso delle cose.

Accettare il cambiamento del PROGETTO DI VITA. Rimodulare i nostri scopi di vita. Da oggi in poi alcuni sogni e obiettivi saranno diversi. Da oggi in poi dobbiamo imparare ad investire in nuovi progetti.

Dentro questa cornice dell’accettazione c’è il percorso personale di ognuno di noi che si deve confrontare con dure realtà. Come lo facciamo orienta il nostro adattamento e benessere o lo sviluppo di malessere e sofferenza. E anche la nostra capacità di gestire le avversità in futuro, piccole e grandi frustrazioni, delusioni e stress che la vita potrà presentarci.

Pensa ad una situazione passata che hai dovuto fronteggiare o una presente che devi affrontare. Verifica i passi precedenti e nota cosa hai fatto, cosa puoi fare e cosa devi fare per confrontarti con la dura realtà… E verifica l’impatto della realtà sulle tue condizioni di benessere o malessere.

Tra impotenza e potere

In terapia aiuto le persone a cimentarsi tra impotenza e potere.
Ci sono situazioni di vita in cui ci dobbiamo confrontare con qualcosa che vorremmo, ma non riusciamo ad ottenere o raggiungere. Per paure e per non sentirsi all’altezza, a volte per conflitti interni e/o con gli altri, altre volte per mancanza di autodisciplina o per non essere disposti a pagare il prezzo insito nella scelta. Si tratti di un nuovo lavoro o di un aumento di stipendio, di un nuovo partner o di un partner “nuovo”, di un figlio che non arriva, di un progetto di vita che non decolla, ecc.. Rispetto a questa “impossibilità”, in un ambito di vita per noi importante, per un bisogno per noi vitale, possiamo continuare ad insistere tentando varie strade, forse riusciamo a raggiungere qualcosa di gratificante e forse no. C’è un grado di frustrazione e impotenza, perdita o mancato successo, con cui, comunque, dovremo fare i conti. Rispetto alle nostre passioni e al nostro talento, ai nostri desideri e bisogni, alcune potenzialità si realizzano, altre restano sospese, forse per sempre. E dobbiamo imparare ad elaborare diversi “lutti”, per quello che abbiamo perduto e per quello che non abbiamo mai realizzato, a confrontarci con un “ridimensionamento” realistico. Vivendo rabbia e dolore, paura e rassegnazione, fino all’accettazione “profonda” e “serena” . Quando ci riusciamo. Imparando a dire: “le cose sono andate così…”.
Mentre riconosciamo questi limiti, è importante portare l’attenzione su ciò che ci è possibile. Trovare comunque la strada verso qualcosa per noi importante, che dà senso e valore alla nostra vita. Verso cui ci vogliamo dirigere “costi quel che costi”… In terapia la persona impara a riconoscere quel bisogno e desiderio fondamentale e a cercare la strada giusta fino alla gratificazione, al successo, al raggiungimento della meta. C’è sempre un vuoto e un pieno…

In lutto

Il lutto è l’esperienza che facciamo quando perdiamo qualcuno per noi importante. Per estensione è l’esperienza che viviamo ogni volta che perdiamo qualcosa per noi importante e vitale rispetto ai nostri valori, ai nostri scopi, ai nostri progetti di vita. Qualcuno o qualcosa di importante a cui difficilmente siamo o saremmo disposti a rinunciare. Ma, purtroppo, a cui dobbiamo rinunciare. E ciò lascia un vuoto difficile da colmare, un’assenza pressoché impossibile da sostituire nella maggior parte dei casi e dei vissuti delle persone.
Il lutto è un processo ed un percorso. È un processo che richiede di “fare i conti” psicologicamente (elaborazione di pensieri ed emozioni) e praticamente (affrontare le conseguenze concrete) con i cambiamenti legati alla perdita. Un percorso fatto di tappe e compiti, di “passaggi” che dobbiamo fare per dare un senso a quanto accaduto fuori e dentro di noi. Un movimento avanti e indietro, sopra e sotto, attraverso questi compiti e questi momenti. Non è un processo sequenziale definito e identico per tutti. È differente tanto quanto sono diverse le persone che si trovano ad affrontare il proprio dolore.
Dobbiamo vivere il lutto quando muore qualcuno di caro, quando ci separiamo da qualcuno, quando veniamo lasciati e anche quando siamo noi a lasciare. Se ci licenziano e a volte anche se siamo noi a cambiare lavoro. Se traslochiamo, anche quando la nuova destinazione sembra migliore. Quando invecchiamo, quando fisicamente non siamo più quelli di prima.

Tutto ciò che è perdita di qualcosa di importante e che riempiva la nostra vita o rappresentava un riferimento stabile ci porta ad un’esperienza di lutto.

Ma dobbiamo vivere
il lutto anche quando viviamo uno scarto tra ciò che ci aspettavamo e ciò che abbiamo ottenuto (ad esempio, quando non vinciamo le elezioni o non superiamo un esame o non riusciamo a conquistare una persona che ci attrae o quando il nostro partner non è come vorremmo che fosse), ma anche uno scarto tra ciò che crediamo di essere e ciò che la realtà ci rimanda, scarto spesso doloroso perché a nostro sfavore con vissuti di fallimento e scarsa autostima.
Nella diversità di situazioni accomunate dal tema della perdita o dello scarto tra ciò che era e ciò che è, tra ciò che avrei voluto è ciò che è, alcuni elementi sono simili e ciascuna persona li vive con un’alternanza tutta personale, con movimenti tumultuosi e a spirale:
– all’inizio non riusciamo a credere alla perdita con senso di irrealtà e stato di confusione
– quindi cominciamo a sviluppare una graduale consapevolezza della realtà della perdita con associate emozioni di solitudine, paura, rabbia, sconforto, disperazione
– anche se la persona è sempre più consapevole della realtà dolorosa, a tratti lo stato d’animo sembra tornare “indietro”, quasi si potesse recuperare “magicamente” quanto perduto; si alternano disperazione e lamentele, rabbia e dolore, si fa più lacerante il vissuto di abbandono, perdita, solitudine, vuoto. Tutto l’interesse e l’energia della persona sono focalizzati sul valore perduto mentre altri aspetti della realtà vengono trascurati. Un “dopo” non sembra possibile
– l’illusione del recupero lascia definitivamente il posto alla delusione, alla realtà della mancanza e dell’assenza, della fine
– la disperazione depressiva e il senso di vuoto gradualmente si aprono ad un necessario processo di accettazione della dura realtà e riorganizzazione del proprio progetto di vita… Senza il valore perduto, senza la persona, senza il sogno, senza ciò che avrebbe potuto essere…
– la persona in lutto riprende a guardare in modo diverso dentro e fuori di sé. C’è quello che resta, il ricordo, la storia, il valore della vita “precedente”, ma anche la nostalgia, ancora rabbia e dolore, forse un po’ attenuati, di una forma e intensità differente… E c’è anche l’investimento su altri valori, su altre persone, relazioni e progetti. Un “dopo” diventa possibile…
Se quanto descritto sopra delinea sommariamente la complessità dell’esperienza di lutto è importante risottolineare che ciascuno attraversa il lutto a suo modo e ciascuno segue vie più o meno sane o patologiche. Chi ne esce addolorato lacerato, ma in qualche modo piu pronto alla vita e chi, invece, resta intrappolato nel processo della perdita, del dolore, della morte e si insabbia in una vera e propria esperienza depressiva. Tutta da esplorare e di cui prendersi cura.

La psicoterapia aiuta la persona a percorrere il proprio personalissimo percorso di lutto…