Hai anche tu QUALCOSA CHE NON RIESCI A NON FARE? Magari vorresti non farlo, ma non riesci a non farlo.
Non mi riferisco alle tentazioni, quelle che “non dovresti” e, invece, finisci per “caderci”. Mi riferisco, in particolare, alle cose che dentro te ti dici che devi fare! Per forza! Devi farle!!! Altrimenti? Altrimenti c’è un qualche tipo di paura che senti, che immagini proveresti se ti permettessi di non fare quella cosa. Esempi. Devi per forza fare i piatti la sera. Devi assolutamente sottolineare ogni volta che leggi un libro. Devi assolutamente chiamare il tuo amico ogni giorno. Devi assolutamente essere presente alla festa aziendale. Devi assolutamente essere il primo. Devi assolutamente occuparti dei bisogni degli altri. Devi assolutamente controllare ogni cosa. Devi fare ogni cosa in modo perfetto.
Poi ci sono PENSIERI CHE NON RIESCI A NON FARE. Pensare al futuro e pensare al passato, superando il limite di quanto ti può essere utile farlo.
Pensare al futuro può essere utile, ma non può diventare un rimuginare sterile per risolvere ogni incertezza oppure pensare al futuro per programmare in modo ossessivo cosa farai tra 16 anni, 4 mesi e un giorno. L’illusione è quella di avere il controllo totale.
Pensare al passato può essere utile per apprendere dall’esperienza, ma spesso rischia di diventare ruminazione rabbiosa sugli errori altrui o ruminazione depressiva sui propri errori e difetti. Ancora una volta è importante superare l’illusione del controllo: il passato può essere un grande maestro, ma non può trasformarsi in una gabbia in cui chiudiamo noi stessi.
Anche pensare agli altri può trasformarsi da attività utile per buone relazioni, sia personali che professionali, ad attività dannosa caratterizzata da ansie, rancori, delusioni, ecc.
Ma allora, PERCHÉ LO FAI? PERCHÉ NON RIESCI A NON FARLO?
Quando si tratta di cose che devi assolutamente fare nonostante la realtà ti dia anche altre possibilità, probabilmente, sei preda del GIUDICE INTERIORE. Sotto il suo SGUARDO MINACCIOSO CHE INCUTE PAURA. Si attiva un vero è proprio MATCH INTERIORE tra il tuo giudice interiore (una parte di te) e un’altra parte di te che ha altri desideri e bisogni ma non riesce a liberarsi dal rimprovero e dalla colpa, dal giudizio e dalla critica.
Più in dettaglio: quel è la minaccia di quello sguardo giudicante? Se ti comporti così… Allora…
Per cosa devi giustificarti di fronte al giudice severo? Per cosa devi rendergli conto? Giustificarti rispetto a quale difetto o errore, presunto o reale? Per sentirti libero da quale dovere? Per giustificare quali bisogni e desideri?
L’aspetto fondamentale è proprio lo scontro tra il giudice che impone regole, imperativi, divieti e altre parti di sé che portano bisogni e desideri che non rientrano nelle costrizioni imposte dal giudice interno.
Devi… Vorrei…
Non devi… Mi piacerebbe…
È assolutamente necessario che… Preferirei che…
Se vince sempre il giudice interiore, prima o poi, in una forma o nell’altra, arriva la malattia, la sofferenza, fisica, psicologica, nelle relazioni.
Per vincere questo match interiore ovvero per promuovere salute e benessere fisico, emotivo e nelle relazioni, è fondamentale dare energia e spazio a quelle parti di sé che portano quei bisogni e desideri autentici, più vicini a ciò che è realmente importante e vitalizzante per la persona. Per te.
Il dialogo interno deve orientarsi su darsi il PERMESSO di fare NUOVE SCELTE, rispetto a quelle imposte dal giudice interiore. Rispettare e seguire le ‘regole’ buone per sé (nel rispetto degli altri, ma senza compiacere gli altri) e anche ‘saper trasgredire’ quelle eccessive che sono solo fonte di dolore, senso di colpa, vergogna.
A quel punto non resta che tradurre il match interno in EFFETTIVI NUOVI COMPORTAMENTI, iniziare a fare ciò solitamente abbiamo paura di fare, cominciando da piccole, ma decisive azioni che spostano le cose, che attivano cambiamenti desiderati, affrontando gli annessi e connessi delle proprie scelte nuove ovvero predisponendosi ad affrontare le reazioni degli altri e le proprie reazioni emotive (paure, sensi di colpa, ecc.). In questo modo parte il cambiamento verso la Vita che Veramente Vogliamo…
Categoria: Giudice interiore
La cura di sé e la cura degli altri… E la psicoterapia!
Questo Post nasce dalla visione di un TEDx su YouTube che mi ha fornito lo spunto per esporre il mio pensiero terapeutico che cerco di far conoscere attraverso il mio blog da più di 5 anni ormai e che è contenuto anche nel mio libro ‘Alice nel paese delle miserie’.
Ecco il link al video (dura 16 minuti). https://youtu.be/mUwK2Kpkd5Q
Ti consiglio, poi fai come vuoi, di vedere prima il video poi leggere il mio post.
Hai visto il video? Discorso che non fa una piega dal punto di vista ideale quello della Bush. Nella realtà ci sta tutta la difficoltà che ognuno di noi trova nel renderlo effettivo.
La psicoterapia lavora sul cercare di comprendere questo scarto ideale-reale e aiutare il più possibile la persona alla vita che veramente vuole.
La psicoterapia aiuta a comprendere il senso delle nostre scelte quotidiane, come di quelle storiche che hanno svoltato in senso positivo o negativamente la nostra vita, come di quelle più antiche, quasi sempre implicite, prese senza consapevolezza cosciente, ma con intuizione e intenzione inconscia che quella fosse la scelta migliore per stare al mondo. Le scelte antiche sono quelle prese da bambini, con la mente infantile rudimentale (e consolidate poi negli anni) nel contesto della vita in cui cresciamo, la vita che a un bambino capita e non sceglie: i genitori, ciò che sono, come si comportano, i valori che propongono esplicitamente o indirettamente; le esperienze che ci capitano, situazioni traumatiche che possiamo aver dovuto, senza volere ovviamente, affrontare perché ci sono capitate. In questo contesto dei primi anni di vita, solitamente i primi 5 o 10 o 15 sono fondamentali, facciamo queste ‘scelte precoci strategiche’ ovvero volte sostanzialmente ad ottenere Amore e Stima che da piccoli sono importanti come l’ossigeno. Facciamo queste scelte perché la nostra mente e quindi le nostre scelte sono molto più dipendenti dalla mente e dalle scelte altrui. Intorno ai 14 o 15 anni la nostra mente comincia ad essere più ‘autonoma’.
Allora ecco l’ideale. È una sintesi rivisitata del discorso di Alice Bush, integrato con mie considerazioni.
Questo il punto di partenza: per essere veramente felice e per aiutare gli altri ad essere veramente felici NON COMPIACERE LE ASPETTATIVE ALTRUI. Se compiaci gli altri ti allontani dalla vita che veramente vuoi. Annulli di fatto te stesso e finisci per deludere tutti, te per primo perché compiacere è una scelta che ti fa rinunciare a tanto altro, perché comunque ogni scelta non è perfetta e quindi c’è sempre un costo emotivo da pagare. Qual è il costo emotivo che sei disposto a pagare facendo le tue scelte? Ecco 3 esempi.
1. Non scegliere la LAUREA o il LAVORO cercando di compiacere le aspettative altrui, cercando di conseguire gli obiettivi altrui che credi erroneamente siano i tuoi, magari per dimostrare di essere una persona che vale e che ‘merita’ di essere amata per questo (si chiama amore condizionato… ed è sempre tossico).
2. Non scegliere come stare in una RELAZIONE compiacendo le aspettative altrui nell’idea evidentemente malsana che così sarete felici, se ciò che fai non è veramente ciò che vuoi, prima o poi rabbia, risentimento e delusione reciproca mineranno in maniera importante la relazione che finirà (e sarebbe meglio) o continuerà in maniera malsana e piena di sofferenza reciproca; sarebbe un’altra versione di tossico ‘amore condizionato’. Sto con te se sono come tu mi vuoi o stai con me ma devi essere come io ti voglio o versioni simili.
3. Non ti sacrificare per i bisogni altrui, ANCHE QUANDO GLI ALTRI SONO I FIGLI, con l’idea evidentemente fallimentare che l’altruismo equivalga all’auto-sacrificio, scambiato erroneamente per amore. Qual è la tua idea di buon genitore? Quello che per amore dei figli si annulla per loro? Quella di ‘trascurare se stessi sempre e comunque’ (i propri bisogni e i propri valori) per ‘curare’ il benessere dei figli, a prescindere da ogni altra cosa? Prima o poi saliranno delusione, fatica insopportabile, risentimento, perdita di pazienza che mineranno, oltre che il proprio benessere personale, la relazione coi figli, che non è proprio l’obiettivo di amore e cura che abbiamo verso di loro. Alla fine finisci per sentirti lontano dal genitore che vorresti essere. E certo non l’esempio che vorresti essere per i tuoi figli.
Queste tre storie diverse tra loro (lavoro, relazione affettiva, genitorialità) hanno in comune che sono, più o meno consapevolmente, guidate dal senso del dovere e dal senso di colpa e che finiscono per creare sofferenza per tutti, per sé e per le persone più vicine, care e che amiamo.
Finiamo dunque per vivere una vita in base alle aspettative e ai bisogni altrui.
In realtà, questo la Bush lo lascia intendere implicitamente, soddisfare i bisogni altrui risponde inconsciamente al nostro bisogno profondo di Amore e Stima che ci porta erroneamente all’AMORE CONDIZIONATO: “mi sento amato e stimato se e solo se… soddisfo i bisogni degli altri”. E finiamo dunque per vivere una vita lontana dalla Vita che Veramente Vogliamo.
La nostra società, ma non è così in tutte le culture e le parti del mondo, da sempre ci racconta, per i motivi più svariati che sarebbe qui troppo lungo indagare, che per essere felici dobbiamo soddisfare i bisogni e le aspettative altrui. Senso del dovere e suo fratello il senso di colpa a ricordarcelo in tutti i modi e in tutti i luoghi. Ma, tanto per fare un esempio concreto, sull’aereo in caso di pericolo, ci dicono prima indossa la maschera per avere il tuo ossigeno per poter essere veramente d’aiuto agli altri. E il grande Fritz Perls ci ha donato questa perla a ricordarci qualcosa del genere e di fondamentale: “io sono io e tu sei tu, io non sto al mondo per soddisfare le tue aspettative e tu non stai al mondo per soddisfare le mie, se ci incontriamo può essere molto bello, altrimenti ognuno per la sua strada”.
In sintesi: ogni scelta implica una rinuncia. Conosci la tua rinuncia? Facendo la tua scelta scegli di prenderti cura di alcuni tuoi bisogni e ne trascuri altri. Conosci ciò che stai trascurando?
Inizia veramente a prenderti cura di te iniziando prima di tutto a comprendere quella che noi possiamo chiamare con un acronimo o sigla VVV, la Vita che Veramente Vuoi. La Bush la chiama “una vita dalla quale non vogliamo scappare ogni due minuti. Una vita un cui vogliamo essere presenti e protagonisti per noi stessi e per gli altri”. Per essere veramente presenti e di aiuto agli altri dobbiamo prima necessariamente essere noi soddisfatti piuttosto che tristi ed esausti, senza energie e risentiti. “Avere il coraggio di piacere a se stessi prima che agli altri, avere il coraggio di mostrarsi per come si è”. Avere una vita che veramente scegliamo noi per creare spazio, forza ed energia per esserci per gli altri veramente ed efficacemente quando gli altri hanno bisogno di noi.
La VVV è fatta di tre ingredienti fondamentali secondo la Bush e idealmente anche secondo me. La vita in cui vogliamo stare:
1. TROVA I TUOI VALORI (distinguendoli dai tuoi obiettivi). I valori sono mete ideali verso cui tendere, gli obiettivi sono traguardi da raggiungere. Cosa è veramente importante per me? I valori forniscono la base solida in cui sentirti radicato e quando vivi momenti difficili e sembri perdere il controllo ti aiutano a prendere le decisioni giuste per te, sentendoti allineato con la persona che vuoi essere, orientata da quei valori. I valori sono potenzialmente infiniti, quelli fondamentali probabilmente sono circa 5 per ciascuno di noi.
2. ASCOLTA I TUOI BISOGNI (salute, affetti, soddisfazione lavorativa, come tre aree primarie). È fondamentale trovare il coraggio e creare tempo e spazio per riuscire a soddisfare i nostri bisogni.
3. IMPARA A DIRE NO. Parolina semplice da dire in teoria. In pratica difficilissima perché ci mette di fronte alle nostre paure più profonde, le solite di origine antichissima, di sentirci giudicati, di deludere, di essere rifiutati, abbandonati, di non ricevere insomma Amore e Stima. Paura di sentirci persone Non amabili e Prive di valore.
Allora prendersi cura di sé vuol dire sostanzialmente prendersi la RESPONSABILITÀ di prendersi cura della propria felicità per potersi prendere cura della felicità degli altri. Prendersi la responsabilità delle proprie scelte. A partire dalla scelta che sembra banale quanto è fondamentale di diventare veramente padroni del proprio tempo, oltre le pretese della società del “corri e scappa”, che finisce per generare sempre più ansiosi (di non farcela) e di depressi (per non avercela fatta).
Prendersi la responsabilità delle proprie scelte allora equivale sostanzialmente a dire NO sapendo che stai dicendo SÌ a qualcosa di altro veramente importante per te, stai dicendo SÌ A TE STESSO (e qui rifanno capolino senso del dovere e senso di colpa con cui devi fare i conti).
Prendersi la responsabilità di prendere per sé prima di poter dare agli altri. Prendere il tuo ossigeno affinché tu possa veramente aiutare l’altro a prendere il suo. Il sano egoismo come base di partenza per il più grande, puro ed efficace degli altruismi. Per prenderci cura degli altri dobbiamo prima prenderci cura di noi.
Allora laddove la società esterna (ciò che abbiamo succhiato da una vita) e il Tiranno interiore (derivato dei diktat sociali e culturali) ci impongono Doveri e Proibizioni (per sentirci persone Amabili e di Valore) che noi sentiamo non più adatti a noi e a chi vogliamo essere e alla Vita che Veramente Vogliamo (sempre nel rispetto dei confini della convivenza con l’altro), dobbiamo prenderci la RESPONSABILITÀ ovvero il CORAGGIO che SUPERA LA PAURA di darci dei PERMESSI.
Il permesso di deludere …
Il permesso di ascoltare i nostri bisogni …
Il permesso di dire NO …
E tanti altri permessi laddove incontriamo doveri, imposizioni, divieti e proibizioni che vanno bene per gli altri, ma non per noi stessi.
Ineccepibile questo discorso. Idealmente. Tradurlo in realtà effettiva è ciò che di più difficile incontriamo nella vita.
Qui del resto nasce la domanda: quanto è potente la spinta dal basso, dal profondo, dell’antico dentro di noi di cercare Amore e Stima? Quanto è potente rispetto ad una Vita che Veramente Vogliamo basata su quei concetti fondamentali: Valori, Bisogni, NO ovvero Responsabilità che dovrebbero orientare le nostre scelte di cura di noi?
Quando la Bush parla di “avere il coraggio di piacere a se stessi prima che agli altri” tira in ballo implicitamente quanto sia importante, per vivere la Vita che Veramente Vuoi, affrontare la paura, la paura di deludere, la paura ‘profondamente profondissima, scolpita nel corpo fin da bambini’, di non ricevere quell’Amore e quella Stima.
La sofferenza emotiva che porta le persone in terapia nasce in quello scarto. Ovviamente questa è una grande generalizzazione perché comunque i fattori che intervengono a determinare il proprio disagio a partire da quello gravissimo sono diversi da caso a caso. Esistono purtroppo limiti iniziali anche genetici o costituzionali che hanno un grande peso. Esistono esperienze traumatiche che segnano in modo profondo. Per questo una prima valutazione fondamentale richiede di cercare fattori problematici (limiti con cui nasciamo o che sviluppiamo precocemente anche per l’ambiente in cui cresciamo) e fattori protettivi (risorse che abbiamo a nostra disposizione per fronteggiare i fattori negativi).
Fatta questa valutazione quindi distinguendo da caso a caso, da storia a storia, ogni richiesta di aiuto da ogni altra, la psicoterapia, la cura, l’aiuto intervengono su alcuni punti fondamentali:
– Conoscere i propri modi disfunzionali di stare al mondo fondati sulla compiacenza e sul sacrificio di sé;
– Conoscere o disegnare la Vita che Veramente Vogliamo (Valori, Bisogni, NO);
– Prendersi la Responsabilità della cura di sé ovvero affrontare la Grande Paura Profonda di non sentirsi Amati e Stimati;
– Darsi dei Permessi.
In queste coordinate concettuali della terapia, questa aiuta la persona a ridurre lo scarto tra Vita Ideale e Vita Reale, a governare frustrazione e delusione che la vita reale presenta regolarmente, a cambiare ciò che possiamo cambiare e accettare ciò che dobbiamo accettare. Ricordi la preghiera della serenità?
In sintesi estrema:
SE NON È TUA LA COLPA È TUA LA RESPONSABILITÀ…
CAMBIA CIÒ CHE PUOI, ACCETTA CIÒ CHE DEVI…
Il corpo malato esprime la psiche addolorata
Molta parte della nostra sofferenza emotiva ha a che fare col giudizio, con la paura di essere giudicati, col sentirsi costantemente giudicati, col non sentirsi “mai a posto”. Hai la sensazione di rincorrere sempre qualcuno o qualcosa, cercando di… Ma non riuscendo mai a… Cercando di dimostrare di essere adeguato, capace, all’altezza… Ma sentendoti sempre “non abbastanza”.
Tutto questo, se una volta è stato uno scenario esterno, ripetuto in più episodi e scambi con persone importanti della propria crescita, ben presto è diventato un teatro interiore, sempre in scena, in ogni momento, in ogni movimento, in ogni gesto, in ogni pensiero. Per poi ridiventare esterno, proiezione del proprio autogiudizio severo sullo sguardo degli altri, percepiti continuamente minacciosi, pericolosi perché percepiti potenti in quanto in grado di affossare il proprio senso di autostima e veicolare la sensazione e l’idea di essere una persona “sbagliata”.
Nel tempo il giudice si è incarnato. È diventato corpo, sensazioni somatiche di tensione, dolore, pesantezza, malessere somatico generalizzato. E ha anche preso la forma di fantasie e pensieri persecutori, ad esempio sentirsi costantemente sotto tiro degli altri che “pensano di me” che sono “sbagliato”, “cattivo”, “strano”, “diverso”, ecc..
Il corpo malato esprime la psiche addolorata ed insieme urlano rabbia e dolore, paura e desiderio di riscatto.
Ognuno porta appresso questo fardello come meglio riesce, ognuno di noi cerca di conviverci se non riesce a liberarsene completamente. E fare un lavoro su se stessi di emancipazione e liberazione dalla paura del giudizio è un’impresa che dura tutta la vita…
La psicoterapia è uno strumento, tra gli altri, che consente di conoscere ed esplorare questa paura per imparare a venirci a patti…
E ogni persona che lavora su di sé per ridurre il dolore, può farlo: imparando a sentire il corpo come canale di accesso primario e privilegiato alla consapevolezza di sé e alla cura di sé; imparando a riconoscere e governare i pensieri, trasformando il dialogo interiore auto-persecutorio in una serie di pensieri più ‘comprensivi’, utili e realistici; imparando a riconoscere e regolare le emozioni più dolorose; imparando ad adottare comportamenti più sani e utili rispetto ai propri bisogni più vitali; imparando a governare le relazioni interpersonali (a casa, al lavoro, ecc.) in modo da vivere relazioni più soddisfacenti; imparando a fare scelte sempre più orientate dai propri valori consapevoli (cosa è importante per me, che vita vorrei e come devo impegnarmi per cercare di avvicinare la mia vita reale alla mia vita desiderata); imparando ad accettare quella quota di inevitabile frustrazione che è parte integrante del vivere.
Scelte e senso di colpa
A volte ci sentiamo in colpa perché facciamo scelte ‘non buone’ per noi. Ad esempio, ci occupiamo degli altri e non di noi o ci occupiamo di noi e non degli altri. Dici troppi no agli altri o dici troppi no a te stesso. Ti fai guidare dai tuoi desideri vitali o ti fai guidare dai desideri degli altri.
In realtà, da un certo punto di vista, non esistono scelte ‘non buone’. Esistono le scelte. Le scelte derivano da un conflitto tra parti di sé. Ogni scelta quindi nasce da un nostro bisogno. Una vorrebbe una cosa, una seconda parte ha un altro bisogno, una terza andrebbe in un’altra direzione e così via. Alla fine però la scelta è una. Mai perfetta.
Dobbiamo imparare ad affrontare le conseguenze delle scelte. Ovvero le emozioni che proviamo, le reazioni che provochiamo, i bisogni che scegliamo di curare e quelli che trascuriamo facendo quella scelta. E non è sempre facile o scontato comprendere da quale bisogno è stata orientata la nostra scelta.
Diventa allora importante comprendere, prima di tutto, che ci sono le tue scelte e le scelte che non dipendono da te ovvero se la responsabilità è dell’altro non può essere una tua colpa (anche se il senso di colpa è sempre tuo e sempre in agguato).
Diventa importante, allora, comprendere se siamo guidati dalla nostra ferita infantile che pretende tutto o dalla nostra parte adulta che, dolorosamente, attraversando ogni emozione, è capace di scegliere e accettare: se ho scelto questo, necessariamente ho dovuto mettere in secondo piano altro.
Questa è la descrizione razionale della questione, la dimensione emotiva è quella più importante.
Non è facile iniziare a fare scelte diverse da quelle che abbiamo sempre o spesso fatto.
Dobbiamo darci il permesso interiore (è solo interiore) che è fatto di due componenti fondamentali: comprendere il senso delle scelte solite e di quelle nuove; iniziare a praticare le scelte nuove, affrontando il carico emotivo delle conseguenze (paura in primis, ma anche tristezza e rabbia, forse vergogna e probabilmente senso di colpa).
Non è facile essere adulti. È il percorso di una vita…
La voce critica interiore
La ‘voce critica interiore’ è una realtà psicologica. Esiste nella nostra mente e ci dà indicazioni perentorie su come ‘dovremmo’ essere, pensare e agire. Come ‘dobbiamo’ essere…
A causa dell’educazione ricevuta, siamo abituati da una vita a CERCARE DI ACCONTENTARLA, di seguire le sue indicazioni. A volte questo è utile perché l’autocritica ci aiuta a migliorare, a crescere, a risolvere problemi e raggiungere obiettivi. Ma molto spesso, purtroppo, la guida del ‘critico interiore’ diventa fonte di critica eccessiva, richieste spropositate, colpevolizzazione, svalutazione, attacco continuo e inflessibile al nostro modo di comportarci. I nostri ‘tentativi’ di seguire i suoi dettami risultano sempre insoddisfacenti rispetto alle sue ‘pretese impossibili’. Anche quando crediamo di esserci comportati ‘a dovere’, o siamo illusi o, pure fosse così, dura poco.
Il ‘giudice interiore’ è diventato il nostro persecutore che non si accontenta mai…
L’autocritica è così severa e spietata che finiamo per sentirci sempre ‘in difetto’…
Tutto ciò ci procura un’enormità di stress e sofferenza emotiva. In questi casi, piuttosto che ‘continuare a provare’ a seguire i suoi imperativi categorici, è utile IMPARARE AD IGNORARLI. Per iniziare a farsi guidare dai propri valori consapevolmente ‘scelti’ e ‘non imposti’ dalla storia che ci portiamo dentro.
Questa sostanzialmente è la traccia di un percorso di consapevolezza di sé, di emancipazione da vecchie, rigide e ormai disfunzionali, regole interne di comportamento, verso lo sviluppo di un modo di pensare, sentire e agire nuovo e più in linea con la persona che siamo oggi, oltre la nostra storia.
Il permesso
Quante missioni impossibili stai portando avanti nella tua vita? Prova a rintracciarle…
Dicesi ‘missione impossibile’, il tentativo di raggiungere qualche scopo/obiettivo, inconsapevoli della nostra impotenza rispetto ad esso, ignari della nostra mancanza di controllo. Ripeto: prova a rintracciare in quali missioni impossibili ti sei cacciato…
Nota con attenzione i diversi ambiti della tua vita (famiglia, lavoro, amici, cura del fisico, tempo ricreativo, ecc.) per notare se stai inseguendo traguardi di fatto fuori dalla tua portata, almeno in questo momento…
Stai cercando di essere perfetto in ogni cosa che fai?
Stai cercando di mantenere il controllo assoluto su tutto e tutti?
Stai cercando di cambiare gli altri?
Stai aspettando e sperando che cambino da soli per diventare come ti piacerebbero?
Stai cercando di eliminare completamente ansia e stress dalla tua vita?
Stai aspettando che l’altro non faccia richieste invece che iniziare a dire qualche no?
Stai aspettando che gli altri capiscano cosa vuoi invece che iniziare a chiedere?
Quale missione impossibile stai inseguendo al lavoro? E col tuo partner? E coi tuoi figli? E come figlio coi tuoi genitori? E con te stesso?
Avrai capito, le missioni impossibili, oltre che fonte di stress, procurano dosi massicce di frustrazione, delusione, autosvalutazione, senso di fallimento, rabbia, preoccupazione, ecc.
Per prendersi cura del corteo delle ‘emozioni dolorose da missione impossibile’, è importante darsi un permesso fondamentale. Il permesso di essere ‘normale’. Il permesso di inseguire le mete ambiziose che si desiderano, ma ben consapevoli di quando queste si trasformano in mete impossibili. Questo richiede due passaggi:
1. Imparare a conoscere il limite tra possibile e impossibile, diverso da situazione a situazione.
2. Imparare ad accettare quel limite, senza sentirsi deprivati del proprio valore e dell’amore delle persone per noi importanti.
Per arrivare a questo obiettivo, può essere sufficiente la lettura di questo post e un po’ di buona consapevolezza di sé oppure la lettura di ‘Alice nel paese delle miserie’ (il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line) o ancora può rivelarsi necessario un percorso di crescita personale o una vera e propria psicoterapia.
Datti il permesso…
Dall’assurdo al reale
La tua felicità nasce tra i divieti e gli obblighi che segui e i permessi che riesci a darti…
È il rapporto tra desiderio, coscienza e realtà.
Pensiamo per assurdo…
Pensa a come sarebbe un mondo in cui tutti, ciascuno di noi, dessimo sfogo a tutti i nostri desideri, istinti, bisogni e impulsi… Pensa a come sarebbe per te… A come saresti tu… A come sarebbero gli altri… A come sarebbero le relazioni…
Pensa a come sarebbe un mondo in cui ad ogni nostro desiderio o impulso venisse messo il cappio al collo dalla coscienza che ci imponesse divieti assoluti di dare espressione a ciò che vogliamo e obblighi altrettanto assoluti di seguire regole rigide di comportamento: questo devi… Questo non devi… Pensa a come sarebbe per te… A come saresti tu… A come sarebbero gli altri… A come sarebbero le relazioni…
Ora nota cosa succede nella tua realtà quotidiana… Nei tuoi comportamenti… Nelle tue scelte… Nelle situazioni che ti ritrovi a vivere nei diversi ambiti della tua vita…
Nota quanto e quando sei guidato dai tuoi desideri…
Nota quanto e quando sei guidato dagli obblighi, esterni ed interiori, che scegli di seguire…
Nota quanto e quando sei guidato dai divieti, esterni ed interni, che guidano le tue azioni…
Nota come ti senti… Cosa provi e pensi… Quanto ti senti in equilibrio e sei soddisfatto… Quanto, invece, ti senti spinto prepotentemente dai tuoi desideri o frenato eccessivamente da ciò che non devi fare o costretto rigidamente da ciò che devi fare…
Osserva… Rifletti… Comprendi… Agisci di conseguenza… È il percorso che ti porta dalla miseria alla meraviglia, come dice anche ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line.
Più in colpa
Ti senti più in colpa per i rimorsi o per i rimpianti? Ti senti più in colpa per ciò che hai fatto e sarebbe stato meglio non facessi o per ciò che non hai fatto e sarebbe stato meglio fare?
Ti senti più in colpa per ciò che NON HAI FATTO prima o per ciò che STAI FACENDO adesso?
Il primo senso di colpa riguarda i rimpianti, ciò che hai mancato di fare nel prenderti cura di te (soddisfare certi tuoi bisogni, realizzare certi tuoi desideri) o prenderti cura degli altri.
Il secondo senso di colpa può nascere dal sentirti egoista e/o dal fare qualcosa che procura emozioni negative ad altri e/o dal trasgredire qualche aspetto della tua morale interna.
Inizia a notare se vivi queste situazioni nella tua vita e come ti senti per quello che fai e che non fai…
Il senso di colpa e i sentimenti che gli assomigliano o lo accompagnano (vergogna, angoscia, senso di inadeguatezza, senso di fallimento, ecc.) sono sentimenti che hanno un senso. Che va oltre la colpa. Sei hai fatto ciò che hai fatto o non hai fatto altre cose, evidentemente ha avuto un senso. Spesso non basta avere un desiderio per realizzarlo. Spesso quel desiderio è incatenato da nostre paure. Comprendere le paure, permette di impegnarsi per superarle. A volte ci riusciamo, altre volte no. Comunque ciò che facciamo ci permette di comprendere il nostro personalissimo equilibrio che abbiamo trovato tra desiderio e paura, tra frustrazione e soddisfazione, tra cambiamento e accettazione. Compreso questo, non ti resta che leggere ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line.
Ciò che devi… Ciò che non devi… Ciò che puoi…
Sai cosa guida il tuo comportamento?
Certamente un po’ di tratti costituzionali, qualcosa che è nato con te. Chi è più impulsivo, chi è più riflessivo. Chi è più introverso, chi più estroverso. Chi è più spinto dalle emozioni, chi maggiormente dalla fredda ragione. Fatte salve queste impronte native, il resto del nostro comportamento si poggia su ciò che abbiamo appreso fin da piccoli: casa, scuola, coetanei, varie forme di autorità e altre fonti autorevoli che hanno rappresentato riferimenti per noi, per capire come funziona il mondo e come destreggiarsi in esso.
Queste esperienze nel tempo sono diventate un sistema interno di regole, in particolare di divieti (“NON DEVI…”), di costrizioni (“DEVI…”) e di permessi (“PUOI…”).
Prova a rintracciare le tue regole… Come?
Osserva il tuo comportamento, le tue abitudini, tue modalità tipiche di pensare e agire…
Ascolta anche ciò che ti dicono gli altri…
Osserva alcune situazioni tipiche in cui tendi a ritrovarti frequentemente… Ad esempio, da cosa sei spesso deluso… Cosa è per te molto frustrante… Cosa per te è proprio difficile da mandare giù… A cosa sei fortemente intollerante… Cosa ti rende particolarmente gioioso… Cosa ti entusiasma… Cosa ti abbatte…
Queste osservazioni ti aiuteranno a scoprire il sistema interno che ti guida…
Cerca in modo curioso… Inventati domande per cercare di scoprire le tracce del tuo sistema interno di guida…
Quando trovi un DIVIETO, chiediti cosa succederebbe se lo trasgredissi e ti pernettessi di ignorare quel “NON DEVI…” E prova proprio in concreto a non seguire quella regola: prova, vedi l’effetto che produce dentro te (cosa pensi e cosa senti), l’effetto sugli altri, le loro reazioni e come tu reagisci ulteriormente…
Quando trovi una COSTRIZIONE, chiediti cosa succederebbe se la trasgredissi e ti pernettessi di ignorare quel “DEVI…” E prova proprio in concreto a non seguire quella regola: prova, vedi l’effetto che produce dentro te (cosa pensi e cosa senti), l’effetto sugli altri, le loro reazioni e come tu reagisci ulteriormente…
Quando trovi un PERMESSO, chiediti cosa in particolare ti rende soddisfatto nel concederti di agire in base a quel “PUOI…” E rintraccia quelle situazioni in cui, per fattori esterni o interiori, non riesci a darti quel permesso interno ad agire per soddisfare i tuoi bisogni… Nota cosa succede in te, cosa pensi, cosa provi, cosa tendi a fare…
Altre indicazioni utili per questo viaggio curioso nella tua interiorità a sostegno del tuo benessere, puoi trovarle in ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line.
Avrei voluto chiamare questo post Un mondo di juventini e l’importanza di essere romanisti
Purtroppo la società odierna, molto di più rispetto a qualche decennio fa, sembra legittimare solo alcune possibilità dell’umano esistere. Siamo tutti impregnati del DOVER VINCERE, in tutte le sue sfumature emotive e relazionali. Nessuno spazio mentale è concesso alla POSSIBILITÀ DI PERDERE, in tutte le sue accezioni.
Dobbiamo tutti essere iperperformanti in direzione dell’efficacia e dell’efficienza personali in ogni ambito e ruolo di vita. Non possiamo permetterci di non raggiungere obiettivi o soddisfare aspettative. Conseguentemente non possiamo sentire fragilità e dolore, tristezza e paura.
Chi deve assolutamente vincere e chi non può mai perdere diventano entrambi portatori di sofferenza.
Ogni piccolo scarto da aspettative ideali e grandiose diventa fonte di sofferenza. E quando non si adempiono alla perfezione le aspettative su come dover essere non è permessa alcuna espressione del dolore. Anzi nemmeno il suo riconoscimento a volte.
Nota quanto è presente questo funzionamento nella tua vita quotidiana… Al lavoro… Nella coppia… Come genitore… Come figlio… Come amico… In qualsiasi attività tu sia impegnato, magari anche in attività ricreative che vengono comunque invase da aspettative ideali di perfezione e successo e dall’impossibilità di viverle per come si presentano con la necessità di nascondere, a sé e agli altri, ogni segno di frustrazione e delusione, dolore e tristezza, paura e rabbia. Con annessa l’incapacità di assumersi serenamente la responsabilità delle proprie azioni accompagnata dalla tendenza ad incolpare qualcuno o qualcosa del proprio ‘impossibile fallimento’.
Successo e fallimento sono proprio le polarità in cui viene sistematicamente interpretata e vissuta la propria esperienza. Lasciando ben poco altro da valorizzare. O vinci o sei ultimo. O domini o null’altro ha valore.
Ogni nostro comportamento è guidato dalla motivazione competitiva che fino ad un certo punto è funzionale, utile per raggiungere i propri obiettivi, ma che, se portata all’eccesso, diventa disfunzionale: per la necessità assoluta di vincere (pena la perdita di stima e valore personale e la paura di essere meno interessanti per gli altri) e l’impossibilità di perdere (pena il rischio del rifiuto sociale, della vergogna e del disprezzo, anche auto-inflitto).
Siamo diventati maestri nel negare o nascondere le emozioni dolorose (tristezza, paura, vergogna e anche rabbia). Abbiamo imparato a non riconoscerle o non legittimarle, quasi fossero malattie o peccati o pecche da eliminare rispetto alla necessità di raggiungere il proprio ideale perfezionista. Le abbiamo associate a debolezza e vulnerabilità, quindi qualcosa da allontanare dalla mente, in una società inflazionata dai miti della felicità perfetta e del successo a tutti i costi. Un falso sé grandioso sgomita e non lascia spazio a un sé autentico, reale, umano, completo, integrato, fallibile, imperfetto. Non c’è spazio mentale per la mancanza, l’ambivalenza, la non perfezione.
In questo modo, cacciata dalla finestra, quella sofferenza, reale e autentica, butterà prima o poi giù la porta e si ripresenterà attraverso sintomi e malesseri più o meno gravi e dolorosi.
Molte persone che chiedono il mio aiuto professionale portano una sofferenza che nasce dall’impossibilità di perdere (o semplicemente arrivare secondi a volte) o dall’impossibilità di manifestare il proprio dolore da sconfitta e perdita.
La cura comincia dal riconoscimento, dall’accoglienza e dalla legittimazione di quel dolore. Quindi prosegue col riconoscimento dell’aspetto persecutorio delle aspettative ideali grandiose, figlie di questa società narcisistica, malata di apparenza che copre il vuoto di sostanza. Aspettative interiorizzate, fatte proprie, più o meno consapevolmente, attraverso cui diventiamo i peggiori nemici di noi stessi, alla ricerca del dover essere all’altezza senza mai riuscirci, sentendoci sempre “non abbastanza”.
Riconosciuto l’aspetto patologico di aspettative esterne ed interne, è importante comprendere a cosa serve funzionare in questo modo. È l’unico modo per sentirsi persone amabili e di valore? E l’unico modo per sentirsi parte di legami e di gruppi? È l’unico modo per avere accesso a risorse limitate (ricchezza materiale e affettiva)? È l’unico modo per essere appagati, sereni e felici?
Questa investigazione porta quindi a cercare e inventare un modo più adatto a sé per stare al mondo, con sé e con gli altri, per sentire autenticamente che si sta procedendo sulla strada di obiettivi e valori veramente importanti per sé. Imparando a godere della vittoria e concedendosi anche di vivere la sconfitta. Continuando a perseguire i propri obiettivi, anche ambiziosi, senza negare i sentimenti dolorosi della sconfitta. Imparando quindi a considerare diversi modi e forme della vittoria e dell’esperienza appagante…