Spesso facciamo pensieri su noi stessi del tipo: sono incapace, sono fragile, sono inadeguato, sono colpevole, sono stupido, sono sfortunato, ecc. O pensieri simili del tipo: non sono amabile, non valgo niente, non merito amore, non sono all’altezza, non ce la farò, ecc. Sono pensieri e credenze su se stessi più o meno consapevoli. Così come facciamo pensieri del tipo: il mondo fa schifo, gli altri ti tradiscono, la vita è una fregatura, il mondo è alla deriva, gli altri sono inaffidabili, la vita è piena di dolore.
Ora, a prima vista, questi pensieri sanno di negativo e probabilmente si accompagnano ad esperienze emotive stressanti e dolorose.
Cosa fare per ridurre la sofferenza?
Una strada è quella di affrontare questi pensieri negativi. Come? In diversi modi, tra loro integrabili. Che puoi cominciare ad adottare immediatamente.
Prendi un tuo pensiero negativo… Ad esempio: “io sono debole”. Ed inizia ad esplorare in che modo questo pensiero negativo è associato alla tua sofferenza, ai tuoi stati d’animo negativi, ad esempio ansiosi o depressivi. E poi inizia a notare (chiederti):
Quali sono le prove che mi dicono che sono debole…
Quali sono i criteri per definirmi debole…
Quanto questo presunto stato di debolezza e credenza di essere debole condiziona le mie scelte…
Quanto ‘sentirmi debole’ o ‘credermi debole’ è qualcosa di catastrofico e insopportabile…
A cosa e quanto mi è utile continuare ad avere questa idea in testa…
Come sto trattando questa mia credenza… Se, ad esempio, ci sto rimuginando…
A cosa e quanto mi è utile pensare continuamente a questa idea…
Quali sono i risultati effettivi del mio pensare continuamente a questo mio pensiero…
Se e quanto mi sta aiutando veramente a risolvere i problemi continuare a pensare incessantemente alla credenza “sono debole”… Cosa sarebbe più efficace fare per risolvere i miei problemi e ridurre la mia sofferenza…
Se, attraverso le osservazioni (o domande) che ti ho proposto, esplori i tuoi pensieri e come tratti i tuoi pensieri, probabilmente riuscirai a fare un’enorme chiarezza sulla tua sofferenza e su come ridurla.
Se, inoltre, inizi a leggere ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line, probabilmente la tua chiarezza e la tua efficacia nel risolvere i tuoi problemi faranno passi da gigante.
Categoria: depressione
Antidepressivo
Una cura efficace per la depressione è fondata su cinque punti, che potremmo siglare con 5 A per ricordarli meglio. Prima però una premessa. Non esiste un’unica depressione, esistono svariate forme e manifestazioni depressive. Per cui i seguenti passaggi possono essere validi tenendo conto di una precedente valutazione del tipo specifico di fenomeno depressivo di cui si tratta.
Ecco le 5 A.
ACCETTARE lo SCARTO tra reale e ideale (perdite, fallimenti, limiti personali e della realtà, imperfezioni del mondo e delle persone, compreso se stessi). Incontriamo nella vita situazioni di più o meno grande frustrazione e delusione con cui dobbiamo fare i conti; proviamo a ridurre lo scarto e impariamo ad accettare ciò che non siamo riusciti a cambiare.
Mantenere sempre ATTIVA una PROGETTUALITÀ, di piccoli e grandi progetti, a breve e lungo termine. Imparando a spostare il futuro al presente: cosa vorrei ora!
ATTIVARE RISORSE, personali e interpersonali, materiali e psicologiche. Tutto ciò che serve per affrontare il buio, la tristezza, l’angoscia, la solitudine, l’impotenza.
AGIRE. Svolgere attività per sentirsi vivi e vitali, agire PER RIFLETTERE e poi agire di nuovo. Fare quanto necessario per portare avanti i progetti personali.
ACCUDIRE SE STESSI. È il pezzo di lavoro sulle proprie ferite, sui traumi di vita e su come hanno condizionato l’evoluzione della personalità e le scelte di vita, da allora fino ad oggi. Curare le ferite per donare energia al presente e speranza al futuro.
Dentro questa cornice generale si svolge la cura della propria specifica situazione depressiva.
Sei depresso quando…
Sei depresso quando sei portatore insano di pretese. Perché le pretese sono sostanzialmente destinate al fallimento…
Pretese verso te stesso…
Pretese verso gli altri…
Pretese verso la vita, il mondo…
Pretese ovvero ‘doverizzazioni’ ovvero ricerca di standard di comportamento irrealistici, assoluti, estremi, perfezionistici, onnipotenti.
Tutto deve essere solo ed esclusivamente e necessariamente e assolutamente come deve essere.
Ma nemmeno tu conosci i confini di ciò che deve essere e come deve essere. Per definizione quindi missioni impossibili che pure, più o meno consapevolmente, desideri, ti aspetti, chiedi, pretendi, ma che risultano ben presto scopi non raggiungibili, mete irrealizzabili, destinate quindi a lasciarti quote, più o meno gigantesche, di frustrazione, delusione, rabbia, sensi di colpa, autosvalutazione, senso di fallimento e perdita, senso di ingiustizia, senso di mancanza e vuoto, disperazione. Insomma pienamente nella miseria!!!
Tu ti senti non all’altezza di come dovresti essere, ma non sai di preciso cosa dovresti e vorresti essere… Ti senti semplicemente inutile, impotente, incapace, indegno, privo di valore, immeritevole, non amabile…
Percepisci gli altri non all’altezza di come dovrebbero essere, ma non sai nemmeno tu bene come vorresti che fossero… Sono semplicemente fonte di sofferenza enorme per te, a volte li odi, altre volte ti vergogni di mostrarti al loro giudizio…
Il mondo è comunque da te vissuto come un posto sostanzialmente negativo e punitivo nei tuoi confronti… È profondamente ingiusto con te a volte… A volte invece è proprio quello che meriti… Almeno così credi, almeno questo è quello che senti…
Sembrano, a volte lo sono veramente, pensieri deliranti ovvero giudizi errati sulla realtà, valutazioni della realtà palesemente distorte in modo abnorme, inaccessibili ad ogni messa in discussione. Infatti, quando sei preda di questi pensieri, nulla ti può convincere del contrario: ciò che credi è semplicemente ciò che è vero e, se tutto il resto del mondo dice il contrario, tutto il resto del mondo non ti capisce…
Cosa fare? Di certo dipende dalla gravità e dalla persistenza di questi modi distorti di pensare e agire e dal loro impatto sulla qualità della tua vita personale, interpersonale, lavorativa.
In terapia, si lavora per:
– conoscere più precisamente il proprio funzionamento depressivo che è simile a tanti altri, ma anche unico
– recuperare un minimo necessario e indispensabile di vitalità, energia, piacere, ‘normalità’ delle attività quotidiane
– riconoscere i propri meccanismi disfunzionali di pensiero al fine di modificare quelle parti che sono maggiormente responsabili dell’umore depresso, della sofferenza associata, dei sintomi e dei comportamenti problematici
– elaborare i vissuti di fallimento e perdita, attraverso l’esplorazione delle emozioni e la ricerca di nuovi significati
– recuperare una vita sociale e affettiva soddisfacente, sufficientemente buona
– recuperare in modo concreto un progetto di vita adeguato a sé, ai propri valori e alle proprie risorse
– accettare i limiti, un certo grado di impotenza e gli stress, dolorosi ma sostenibili, che sono parte ineliminabile dell’umana esperienza.
Un atteggiamento fondamentale da sviluppare verso se stessi (e verso gli altri conseguentemente), fondamentale come terreno fertile affinché ogni altro lavoro su di sè sia possibile, è quello della compassione ovvero essere sensibili alla propria sofferenza, avvicinarla con curiosità per conoscerla senza giudicarla, col desiderio di alleviarla, consapevoli che stiamo tutti in questo mondo e che tutti cerchiamo di fare il meglio. Essere compassionevoli verso se stessi (e verso gli altri) vuol dire che non è tua la colpa, non serve giudicarti e giudicare in modo sprezzante e spietato; al tempo stesso, oggi hai la responsabilità e il potere di iniziare a cambiare le cose…
Se… Allora… Vuoi essere in- felice?!?!
“Cosa è normale per te” può essere la fonte della tua sofferenza. Soprattutto se “cosa per te è normale” sembra essere l’unico modo per stare al mondo. Mi spiego con alcuni esempi. Se per te è normale guadagnare 3000 al mese per essere felice allora se guadagni di meno non riesci a sentirti felice. Se puoi essere felice solo se diventi genitore allora se non riesci ad avere figli non puoi che essere infelice. Se avere cento amici è il minimo indispensabile per sentirti amato allora… Se riesci a sentirti realizzato solo se durante l’anno ti fai la settimana bianca in inverno, quella gialla in estate, quella rossa in autunno e quella verde in primavera, probabilmente riuscirai a vivere molte settimane infelici.
Insomma, è una questione di “rigidita” degli standard di vita. Cosa deve essere presente nella tua vita per sentirti appagato? Di cosa puoi fare a meno, anche se per te è importante, eppure sentirti soddisfatto e realizzato?
Ti invito a notare i tuoi standard nei vari ambiti e ruoli… Soprattutto nelle aree di vita che tu ritieni e senti centrali per la tua felicità, per la tua autostima, per essere la persona che vuoi essere…
Che non significa confondere ciò che è fango e ciò che è cioccolata… È fondamentale riconoscere cosa è importante che sia presente nella propria vita per determinarne la qualità. Riconoscendo questi aspetti come centrali nel determinare il valore di sé e della propria vita, ma senza viverli come assolutamente necessari e indispensabili per vivere una vita degna. Il meglio è meglio ed è importante ambire ad esso e lottare per ottenerlo, qualunque sia il meglio per noi… Al tempo stesso, la traccia per la felicità passa anche e soprattutto attraverso la capacità di diversificare le fonti cui attingere per sentirci felici e realizzati. Anche il fallimento in un obiettivo importante puoi superarlo se impari a ridefinire il senso di ciò che è accaduto e impari a riconoscere e inseguire tante altre possibilità a tua disposizione per vivere una vita appagante. Anche se mancherà “qualcosa” e quel qualcosa per te assomiglia a “tutto”, puoi sempre ritrovare strade per risalire e ricostruire. E questo a me appare fondamentalmente il miglior “antidepressivo” che ciascuno di noi può prendere… Certo non è facile da prendere come una pasticca, ma la fatica che richiede vale tutto il beneficio che si può guadagnare per una vita intera…
Il nucleo depressivo
Sei depresso!?! Ma che ti manca? Quante volte lo hai sentito o pensato, di te o di altre persone?!
C’è una depressione come reazione fisiologica a qualcosa di doloroso, una perdita, un lutto, una separazione, un fallimento o qualche esperienza simile. È una reazione di tristezza, angoscia e altre emozioni dolorose che in un certo arco di tempo passano, quando hanno svolto la loro funzione sana di far confrontare la persona con ciò che è accaduto nella sua vita per poi riadattarsi e tornare a vivere in direzione della propria idea di vita felice e che vale la pena di essere vissuta…
C’è, invece, una depressione che non è così “facilmente” spiegabile e comprensibile. È la depressione della persona che entra in un tunnel senza luce dove diventa difficile trovare il senso, il significato, la direzione. Cosa sta accadendo nella mente del depresso che non riesce a superare la reazione fisiologica ad un momento o esperienza dolorosa? Anzi, a volte, addirittura, nemmeno si riescono a rintracciare i “motivi dolorosi” della depressione.
Ciò che manca al depresso non è ciò che ha perso (persona, situazione, condizione, la stima di sé, la stima da parte degli altri, ecc.) o ciò rispetto al quale ha fallito o si sente fallito. Al depresso manca la sensazione, l’idea e la possibilità avvertita internamente di poter vivere anche senza ciò che ha perso. Ovvero ha perso questa sensazione o prospettiva di “un dopo possibile” nonostante la perdita e/o il fallimento. Manca la sensazione di poter essere felice anche se ha fallito. Manca la possibilità, non avvertita internamente, di poter vivere la propria vita di qualità anche se non è perfettamente corrispondente a come la vorrebbe… A come era prima… A come sarebbe giusto che fosse… A come è quella degli altri…
Ogni percorso di cura della depressione deve arrivare a toccare questo nucleo essenziale del depresso, per aiutarlo a farci i conti come non ha ancora fatto, invece che farsi sovrastare da questo manto oscuro che non rende possibile né praticabile, anzi nemmeno pensabile, un “dopo”.
Esercizio per prevenire la depressione e favorire il benessere
Tre momenti di consapevolezza al servizio del tuo benessere fisico e mentale…
Questo esercizio funziona solo se lo fai con attenzione e costanza… E se traduci la consapevolezza acquisita in azione responsabile…
Mattina. Scrivi tre RISORSE o punti di forza che senti ti appartengono: forza, coraggio, sensibilità, intelligenza, empatia, tenacia, simpatia, ottimismo, fiducia, abilità interpersonali, ecc.. Se non li trovi… Impara a riconoscerli. Li troverai sicuramente. Per ciascuna risorsa o qualità scrivi quando, dove, come, con chi la metterai in atto in giornata … E impegnati a farlo concretamente…
Pomeriggio. Individua un momento della tua vita in cui sei stato AL MEGLIO, pieno di risorse, qualità, forza, energia, entusiasmo. Se non riesci a ricordarlo… Guarda meglio nel tuo passato, recente o remoto, certamente troverai un’esperienza di te al meglio… E usala come guida consapevole da ora in poi…
Sera. Scrivi tre EVENTI POSITIVI che hai vissuto nella giornata. Se credi di non averli vissuti… Impara a notare meglio le tue esperienze e annota anche i motivi per cui hai vissuto queste esperienze di piacere, gioia, serenità o altra emozione positiva. Sii grato per essi e portali nei tuoi sogni…
Latte, amore e…
L’ansioso è cresciuto a latte, amore e… preoccupazione e controllo.
Il depresso è cresciuto a latte, amore e… delusione e perfezionismo.
Manipolazione emotiva, giudizio e colpevolizzazione non mancano quasi mai del resto in ogni famiglia. Mentre pretese reciproche, sottomissione compiacente e tendenza all’autosacrificio di uno o più membri della famiglia sono presenti in diversa misura e forma.
Tutte le forme di sofferenza emotiva relazionale e di psicopatologia (ansia, attacchi di panico, fobie, disturbi dell’umore, ossessioni, disturbi alimentari, dipendenze, disturbi di personalità, ecc.) nascono e si sviluppano all’interno della suddetta matrice fondamentale dove all’amore (quando le cose vanno bene) è stato aggiunto qualcos’altro in misura più o meno consistente.
Il successivo percorso unico di vita contribuirà a definire lo sviluppo della personalità infantile, adolescenziale e adulta, negli aspetti sani e in quelli patologici.
La persona che arriva a chiedere un aiuto terapeutico presenta i suoi sintomi fisici e psicologici. Questi vanno inquadrati nel contesto di vita attuale della persona, nel suo modo di pensare, di gestire lo stress e di vivere le relazioni. Al tempo stesso, quasi sempre si arriva ad investigare le origini antiche delle modalità attuali di pensiero e comportamento. Per questo sono utili alcune domande esplorative da cui partire per andare a cercare il senso del proprio modo di stare al mondo, il significato di certi personali aspetti problematici, il valore adattivo del proprio modo di essere che, sviluppato da bambini, ha portato l’individuo ad essere quello che è oggi…
Ecco una traccia che puoi usare come esercizio autoesplorativo per iniziare a fare almeno un pezzo del tuo percorso di ricerca (se vuoi, fatti aiutare da qualcuno a raccogliere le informazioni…).
Cosa è successo a casa quando sono nato? Quali eventi significativi hanno segnato quegli anni nella mia famiglia?
Cosa si aspettavano dalla mia nascita?
Cosa si aspettavano da me?
Chi ero io all’interno della famiglia già esistente?
Chi dovevo essere?
Quale ruolo dovevo incarnare?
Come si prendevano cura di me i miei?
Quale atmosfera emotiva regnava in famiglia? Quali risorse erano presenti?
Quali problemi c’erano?
Cosa è successo di importante nei miei primi tre anni di vita?
Cosa è successo di importante in altri momenti del mio sviluppo?
A che età risalgono i miei primi ricordi?
Qual è il mio primo ricordo positivo?
Qual è il mio primo ricordo negativo?
Quali esperienze erano favorite e incoraggiate?
Quali esperienze erano inibite ed ostacolate?
Quali motti esprimono i valori e le inclinazioni fondamentali del mio nucleo familiare?
Cosa ho imparato nella mia famiglia sul modo migliore di stare al mondo?
Le domande potrebbero continuare pressoché all’infinito. Le domande sono porte d’accesso all’interiorità. Trova tu altre domande per te fondamentali nel tuo percorso di autoesplorazione al servizio della consapevolezza e della crescita personale…
L’abuso e la cura
I disturbi della personalità e molti tra i più gravi sintomi psicologici e psicosomatici in generale sono l’espressione dell’adattamento che la persona ha trovato ad una storia di relazioni stressanti, spesso a partire da relazioni precoci traumatiche; la soluzione, anche se disfunzionale, per padroneggiare lo stress/ trauma emotivo e interpersonale; le strategie che la persona fin da bambino ha adottato per governare qualcosa di emotivamente troppo grande e potente da gestire per cercare di non esserne turbato profondamente.
La persona, bambina, è stata sopraffatta da situazioni più grandi di lei, imprevedibili, emotivamente soverchianti, perciò ingestibili per le risorse limitate di un bambino che a volte ha subito un vero abuso sessuale, spesso da persone vicine, altre volte ha subito un abuso sotto forma di violenza fisica, altre ancora ha dovuto confrontarsi con modalità di relazione e trascuratezza che possono ben definirsi come “abuso psicologico o emozionale”.
Queste diverse forme di abuso e di incapacità genitoriale di prendersi cura in modo adeguato del figlio (di proteggerlo, amarlo, guidarlo, sostenerlo, aiutarlo a costruire una sana autostima, ad avere fiducia negli altri e a trovare senso e valore alla vita) hanno lasciato ferite profonde difficili da rimarginare. In particolare, hanno ostacolato l’apprendimento da parte del bambino di sane capacità di auto-rassicurazione e auto-regolazione emotiva utili per affrontare momenti stressanti, frustranti e dolorosi che la vita ci presenta. Crescendo, quel bambino poi adolescente quindi adulto, avrà trovato altre soluzioni “patologiche” per lenire i suoi dolori, affrontare gli stress quotidiani e le delusioni affettive. Nei momenti di difficoltà, frustrazione e delusione, invece che accedere a sane risorse interne di autoconsolazione e autoconforto, invece di cercare adeguato supporto affettivo tra parenti e amici, tenderà ad utilizzare modalità distorte e francamente malate per far fronte a quelle emozioni dolorose, intense, sovrastanti. Se nessuno gli ha insegnato qualcosa di buono avrà probabilmente trovato qualche sistema per cavarsela in contatto col suo dolore, avrà trovato purtroppo comportamenti problematici e sintomatici come tentativi fallimentari per gestire il dolore, comportamenti disfunzionali tra i più disparati: dipendenze e compulsioni varie, comportamenti alimentari disturbati, atti autolesivi come modo per sentire dolore fisico al posto di quello emotivo oppure autolesionismo per sentire i confini del corpo, sessualità abnorme, comportamenti pericolosi e violenti, sintomi dissociativi, ecc.
Queste diverse forme patologiche in terapia forniscono un “canale di accesso” fondamentale per rivisitare, comprendere, elaborare e “risolvere” la storia traumatica della persona. Quello che la persona sperimenta oggi offre un “ponte” per curare le ferite antiche, per riprendere contatto col bambino solo, “abusato”, ferito, addolorato che ancora vive nell’adulto e che ha bisogno di essere “curato” come non è stato possibile al tempo. Nella relazione terapeutica accogliente e “riparativa”, il paziente può finalmente “chiudere i conti” col suo passato doloroso e riprendere la strada di uno sviluppo felice interrotto o forse mai iniziato…
Il focus della psicoterapia
Oggi presento uno schema che sarà per te immediatamente comprensibile e fruibile al fine di conoscere COME FUNZIONA LA PSICOTERAPIA. Schema semplice e generale entro il quale deve essere considerata la specificità del funzionamento mentale della singola persona e la sua storia di vita assolutamente unica e irripetibile.
Generalmente una persona arriva a CHIEDERE AIUTO PER UN PROBLEMA CHE PUÒ RIGUARDARE UNO O PIÙ AMBITI DELLA SUA VITA, una o più relazioni importanti in cui l’individuo vive stati d’animo negativi quali insoddisfazione, frustrazione, malumore, delusione, tristezza, rabbia, bassa stima di sé, preoccupazione, senso di colpa, vergogna, invidia, senso di inadeguatezza. E può riferire uno o più COMPORTAMENTI PROBLEMATICI CHE VORREBBE MA NON RIESCE A CAMBIARE: alcune condotte che vorrebbe smettere, ad esempio, essere violento o taciturno; alcune abilità che vorrebbe, invece, imparare, ad esempio, comunicare in modo efficace per farsi rispettare e valere; alcuni impulsi che non riesce a controllare, ad esempio, bere e giocare d’azzardo in modo compulsivo.
A fronte di questa sofferenza riferita e vissuta attraverso emozioni disturbanti, comportamenti negativi e rapporti interpersonali difficili, gradualmente, in terapia, emerge il pensiero problematico della persona, associato al suo malessere, un PENSIERO DISTORTO, abnorme, spesso distante da una valutazione realistica delle cose, dei fatti e degli eventi. In particolare, abbiamo tre categorie fondamentali di pensiero “negativo” spesso tra loro combinate:
- Un pensiero DEPRESSIVO in cui la persona è assorbita in “valutazioni negative del passato”, anche recente, che la portano a provare “sentimenti di tristezza, angoscia e disperazione” per ciò che non è andato come si aspettava, per i desideri frustrati e insoddisfatti, per aver perso relazioni importanti, per non aver raggiunto mete desiderate, ecc. Il focus del pensiero negativo depressivo è sul “vuoto”, sulla “perdita”, sulla “mancanza”, sul “fallimento”, sul “senso di inadeguatezza personale”, su ciò che non c’è o non basta mai, fino a percepire se stesso come disgustoso e privo di valore … Il vissuto è spesso di “rovina globale”, “degrado totale”, “danno irreparabile”, “sciagura irrimediabile”, “devitalizzazione insostenibile”, “futuro totalmente, insopportabilmente e irrimediabilmente nero”, ecc. … Tutto è nero e ha perso senso e valore. E così sarà per sempre!!!
- Un pensiero ANSIOSO in cui la persona è assediata da “previsioni catastrofiche sul futuro”, anche immediato, che la portano a “stati di preoccupazione e angoscia, senso di minaccia e pericolo” di vita per sé e per i propri cari. Il focus del pensiero negativo è sulla “minaccia incombente”, rispetto alla quale la persona “si sente fragile, indifesa, impotente”. Il vissuto è di “attesa di una sciagura”, “estremamente grave” fino alla morte ed “estremamente probabile”, quasi certa, con un senso di sé percepito “incapace di sostenere l’esito funesto” e assolutamente “non in grado di porre rimedio” a quanto “sicuramente” accadrà.
- Un pensiero RIGIDO, tipico delle personalità disturbate, in cui la persona “legge sempre allo stesso modo la molteplicità dei fatti”, degli accadimenti e delle relazioni. Tende a ricondurre tutto e tutti ad alcuni temi specifici che si ripetono e che la persona utilizza per dare “significato al mondo”. Alcuni individui tendono ad essere sempre “diffidenti e sospettosi”, altri a sentirsi sempre e comunque “fragili, deboli, bisognosi, incapaci di farcela da soli” senza l’appoggio fondamentale di qualcuno altro da cui finiscono per dipendere. Altre persone si sentono “superiori e speciali”, pretendono applausi e approvazioni per ogni loro azione, anche la più normale; sotto un’apparente forza nascondono una fragile autostima. Altri, al contrario, si sentono “sistematicamente inferiori, inadeguati, falliti, colpevoli” e non sono mai soddisfatti di sé. Altri hanno “paura estrema del giudizio degli altri” fino a condurre una vita organizzata intorno al tentativo di evitare ogni possibile critica e valutazione negativa delle proprie azioni. Altre persone, invece, hanno un pensiero orientato a “controllare tutto affinché sia preciso, ordinato, pulito, corretto, moralmente ineccepibile”. In generale, queste persone che hanno un pensiero rigido e fisso su alcuni temi tendono ad avere enormi problemi di autostima e relazioni interpersonali difficili, conflittuali o carenti. Vivono quindi emozioni negative quali paura, angoscia, rabbia, tristezza, dolore, rifiuto, ecc.. Quasi costantemente e con difficoltà riescono a condurre una vita personale, relazionale e professionale “normale”.
Il lavoro iniziale della psicoterapia è quello di portare la persona “sofferente” a rendersi conto di questi suoi “pensieri estremi, distorti, negativi” e dell’impatto che hanno sui suoi comportamenti e sulla qualità della sua vita, delle sue emozioni e delle sue relazioni. Lo scopo generale del lavoro terapeutico è aiutare la persona a trovare “altri pensieri più realistici e utili” da cui discendano “comportamenti più sani, funzionali all’adattamento e al raggiungimento dei propri scopi di vita”, al fine di portare avanti una quotidianità “reale” in cui l’individuo faccia spazio alla gioia e sappia accettare il dolore, in cui i problemi sono percepiti come affrontabili, le frustrazioni digeribili, le delusioni superabili, sviluppando, al contempo, la capacità di raggiungere obiettivi e un senso di sé sufficientemente realizzato e sereno.
Esercizio antidepressivo in 4 passi
Quando ti senti proprio giù, abbattuto, stanco, apatico; quando non riesci a fare quello che solitamente fai, quando non riesci a fare quello che dovresti fare; quando la sveglia suona sempre troppo presto o quando non hai bisogno della sveglia perché tanto ti svegli da solo nel cuore della notte; quando andare al lavoro “proprio non ti va…”, quando nemmeno le persone care riescono a smuoverti, quando ti senti fermo e immobile nelle testa e nelle gambe; quando niente ha senso, quando tutto è difficile, quando tutti sono migliori di te, quando… è il momento di seguire una strategia antidepressiva composta da alcuni passaggi fondamentali:
- Osserva senza giudicare. Sicuramente ti sarà capitato quando stai in un momento negativo di usare, spontaneamente, espressioni del tipo: “porca miseria…”, “mannaggia”, ecc. o di ritrovarti in automatico a sbuffare, sospirare, scuotere la testa ad esprimere un “no”, “non va bene così”. Questi comportamenti, più o meno consapevoli, a cui puoi, da ora, cominciare a prestare attenzione, rappresentano dei modi attraverso cui soffi sul fuoco o vi aggiungi benzina, sul fuoco dell’umore depresso. Sono dei “commenti” spontanei attraverso cui mandi a te stesso il messaggio: “non va bene! Non vai bene!!!”. Sono commenti automatici, quanto inutili, non ti servono a niente se non ad alimentare uno stato d’animo negativo. In questi momenti, invece, ti serve semplicemente “prendere atto”, notare la situazione senza qualificarla come negativa. “Il cuscino è verde…” non “il cuscino verde è brutto…”.
- Osserva il tuo dialogo interiore. I pensieri che girano nella tua testa sono depressogeni e autosvalutanti: “non riesco”, “non ce la faccio”, “è difficile”, “non sono all’altezza”, “non riesco a fare quello che dovrei fare”, “è pesante affrontare la giornata”, “gli altri riescono dove io non riesco”. Ti osservi e ti giudichi. Nota quanto è persecutorio il tuo pensiero. Auto-persecutorio. Il tuo pensiero ti mette sempre a confronto e ti fa notare che “perdi sempre”. Sei inadeguato, sei inferiore, sei sbagliato, sei incapace, sei un fallito … Che altro? Il tuo pensiero mette sempre a confronto “ciò che sei” con “ciò che dovresti essere” e il confronto risulta sempre “perdente”. “Sei un perdente”. E tu ci credi. Credi che ciò che gira nella tua testa sia la pura sacrosanta verità. E questo sarà vero fino a quando ci crederai. È vero se scegli di crederci. È vero se continui a crederci. Esiste un’altra verità possibile a cui puoi cominciare a credere? E come si fa? Quale verità puoi cominciare a fare tua?
- Osserva il tuo respiro. Se poni l’attenzione sul tuo respiro “prendi la distanza” dalla verità del dialogo interiore giudicante, svalutante, persecutorio. Nota l’andamento del tuo respiro, l’aria che entra e l’aria che esce. Poni l’attenzione sul torace e sull’addome che si muovono al ritmo naturale del tuo respiro. Nota semplicemente quello che succede qui-e-ora mentre respiri. Osserva il tuo respiro senza giudicarlo, senza confrontarlo con “come dovrebbe essere”, senza volerlo cambiare. Il dialogo interiore giudicante, solitamente, ti porta “nel futuro” (cosa dovrai fare e cosa sicuramente non riuscirai a fare, tutte le cose pesanti che devi fare e sentire che non ce la fai, focalizzarti su obiettivi e impegni e sentirti non all’altezza di portarli avanti, ecc.). o anche nel “passato” (tutto ciò che hai sbagliato, errori, fallimenti, rimorsi, rimpianti, ecc. dimostrano che “sei sbagliato”). Quando, invece, poni l’attenzione sul respiro sei “nel presente”. Quando osservi il tuo respiro senza pretese e aspettative sei nel momento perfetto. Quando tutto è ciò che è, quando non esiste alcuno scarto tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere.
- Concentrati su piccoli grandi successi. Dedicati a piccole abitudini quotidiane che ti danno piccole grandi soddisfazioni. Scegli alcune attività, 3 o 4 al massimo, da praticare regolarmente, in modo da riuscire a mantenerle e avere la possibilità di agire concretamente nella realtà sperimentando risultati positivi concreti. Possono essere le attività di cura dell’igiene personale, della casa, degli spazi privati. Può essere una piccola manutenzione dell’automobile o del giardino, può essere la regolarità dell’attività fisica, anche solo un quarto d’ora di camminata quotidiana, svolta in modo regolare. Può essere riordinare la scrivania o il computer. Può essere ogni attività che ti dia la possibilità di ottenere un risultato immediato da verificare, un “successo”, una gratificazione. Strutturare queste piccole abitudini ti permette di mantenere o recuperare un certo grado di attività e attivazione senza che il “dovere” diventi “persecutorio”. Non devi essere perfetto, le attività che svolgi sono un modo per prenderti cura di te e delle tue cose. Punto. Se ti dai obiettivi grandi in questo stato d’animo del momento rischi solamente di creare le condizioni per sentirti inadeguato e non all’altezza. Ora si tratta semplicemente di essere costante nell’azione, senza troppe altre riflessioni.