Le nostre SCELTE sono sempre l’esito di un CONFLITTO tra parti, ad esempio, una parte di me che vuole parlare, esprimersi, dire qualcosa di sé e una parte di me che, invece, non vuole parlare, vuole tenersi tutto dentro o qualcosa del genere.
È importante avere la capacità di LEGITTIMARE ognuna di queste parti ovvero riconoscerle, ascoltarle, dare loro valore semplicemente in quanto parti di noi che rivelano i nostri bisogni, pensieri ed emozioni e in base a questa legittimazione prendere una DECISIONE. La scelta tra parti da cui farsi guidare nel comportamento, in questo momento. Magari in un altro momento, in altre condizioni, avremmo fatto o faremo un’altra scelta ovvero sceglieremo di far prevalere altre parti. Ad esempio, l’altra volta sono andato al mare, oggi resto a casa, forse la prossima volta farò un’altra scelta ancora. Stavolta ho scelto di stare in silenzio rispetto all’altra volta in cui ho detto per filo e per segno cosa pensavo e chissà in un’altra occasione farò un’altra scelta ancora. Trova i tuoi esempi in cui prevale una certa parte ad orientare la tua azione…
La decisione che prendiamo, più o meno consapevolmente e con un maggior o minor grado di riflessione o impulsività, ci richiede, comunque, di FARCI CARICO della RESPONSABILITÀ delle CONSEGUENZE che la nostra SCELTA comporta. Conseguenze emotive (COSA PROVIAMO), comportamentali (COME REAGISCONO GLI ALTRI) e interpersonali (quale circolo di AZIONI e REAZIONI si attiva nello scambio con l’altro, quando un’altra persona è coinvolta nella nostra scelta).
Almeno questo fa l’adulto, a questo è chiamato l’adulto. Ma a volte l’essere adulti è solo una questione anagrafica, mentre da un punto di vista psicologico e affettivo siamo ‘bambini’, BAMBINI FERITI, bambini addolorati, angosciati, impauriti, arrabbiati, tristi, soli che sentono profondamente FRUSTRATI ALCUNI BISOGNI PRIMARI di base: amore, protezione, sicurezza, connessione emotiva, validazione e legittimazione dei bisogni e delle emozioni, regolazione emotiva, appartenenza, esplorazione, stima, incoraggiamento, sostegno, regolazione dei limiti, autonomia, riconoscimento, inclusione sociale, ecc.; non solo oggi, ma da tempo immemore, appunto da quell’età infantile in cui la ferita ha cominciato a formarsi per essere successivamente consolidata da altre esperienze di frustrazione che hanno ripetuto ciò che avvenne in origine.
La FERITA è una GRANDE CALAMITA e oggi l’adulto è attratto da essa, quando oggi vive esperienze che ‘emotivamente’ lo riportano da qui e ora a lì e allora. Da quello che sta succedendo oggi che rievoca, in modo non sempre chiaro e consapevole, ciò che successe allora.
Per questo, nonostante sappiamo razionalmente di ripetere gli stessi errori, non riusciamo a non ricascarci.
Per questo, abbiamo compreso i motivi del nostro comportamento, sappiamo che dovremmo fare qualcosa di diverso, ma non riusciamo a cambiare.
Per questo, non basta leggere libri e post per curarsi.
Per questo, l’esperienza terapeutica, oltre che sulla comprensione razionale di motivi, del senso e del valore delle scelte antiche e di quelle attuali, è fondata in maniera fondamentale sulla ricerca di una NUOVA ESPERIENZA EMOTIVA che sia REALMENTE TRASFORMATIVA DELLA FERITA e DELLA TENDENZA a RIPETERE i COMPORTAMENTI CHE LA CONFERMANO e la fanno RIVIVERE alla persona con tutto il carico di dolore e frustrazione.
Categoria: copione
La corazza e la cassetta degli attrezzi
La CORAZZA è il vestito della nostra vita. È il vestito della nostra ferita emotiva. È l’insieme delle nostre caratteristiche, fisiche e psicologiche, che definiscono il nostro MODO DI ESSERE. Qualcuno lo chiama carattere. In piccola parte innato, in grandissima parte appreso.
Lo abbiamo appreso attraverso le nostre esperienze di vita, soprattutto inconsapevoli. È il modo in cui ci siamo adattati al mondo materiale, affettivo e interpersonale che abbiamo incontrato. Abbiamo avuto a che fare con i comportamenti delle persone che ci sono capitate, i genitori ad esempio, e che abbiamo incontrato, tutti gli adulti che hanno avuto un ruolo importante per la crescita della nostra personalità. Tanto più eravamo piccoli tanto più eravamo dipendenti da cosa i grandi ci facevano vivere e credere come verità. Crescendo abbiamo acquisito maggiore autonomia di pensiero e azione, abbiamo cominciato ad influenzarci reciprocamente con i coetanei dai gruppi sociali in generale, compresa la società nel suo insieme, coi suoi valori culturali e i suoi messaggi conseguenti.
Comunque, i semi sono stati piantati agli albori della nostra vita. Quei semi sono le fondamenta su cui nella vita costruiremo il resto. Le fondamenta che sono i fili di ferro intrecciati con cui è costruita la corazza.
La corazza è l’insieme degli automatismi inconsapevoli del nostro modo di stare al mondo.
La corazza è FISICA: il nostro atteggiamento corporeo, la nostra postura, la nostra gestualità, la forma del corpo, l’espressione del corpo, il modo in cui si muove, il modo in cui resta bloccato, ecc.
La corazza è EMOTIVA: il nostro modo tipico di percepire, riconoscere, esprimere e vivere le emozioni, il modo in cui diamo loro significato in relazione alle esperienze che facciamo. O il modo di ignorarle e bloccarle nel corpo.
La corazza è RELAZIONALE: i nostri schemi interpersonali, il modo tipico di approcciarci alle persone, di avvicinarle e di farci avvicinare, di comunicare, ecc.
La corazza è anche il nostro modo tipico di PENSARE: credenze, convinzioni, distorsioni del pensiero, ecc.
La corazza è l’insieme delle nostre ABITUDINI: le nostre azioni solite, i nostri automatismi, a volte funzionali, altre volte disfunzionali.
La corazza è servita a ‘DIFENDERCI’ da quelle che abbiamo sentito come ‘MINACCE’ alla nostra vita. Abbiamo sviluppato questa corazza come risposta adattativa alle esperienze vissute in generale, ai traumi piccoli o grandi che possiamo aver vissuto, in particolare, a come ci hanno trattato le persone, ecc.
La corazza ci ha permesso di ‘SOPRAVVIVERE PSICOLOGICAMENTE’, a volte nei casi traumatici anche fisicamente; ci ha permesso di fare il meglio che abbiamo trovato per CAVARCELA negli eventi della vita. Ovvero per sentirci persone sostanzialmente degne di AMORE e con intrinseco VALORE personale, amabili e stimabili.
Usando un’altra metafora, la corazza è una vera e propria ‘CASSETTA DEGLI ATTREZZI’.
Ciò che ci è servito è diventato un attrezzo (strumento, strategia, modalità) che abbiamo scoperto, costruito, appreso e fatto nostro, quasi sempre in modo inconsapevole.
Cosa ci è servito nella vita per adattarci, sopravvivere, vivere, crescere, sentirci degni d’amore e di stima?
Ci è servito NON PIANGERE, lo abbiamo imparato e fatto nostro come abitudine emotiva e fisica. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ci è servito CHIUDERCI, il nostro corpo e la nostra mente hanno imparato a chiudersi o a nascondersi o a non mostrarsi o a risultare invisibili. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ci è servito MOSTRARCI, il nostro corpo si mostra, si espande, è propenso ad avvicinare gli altri; siamo espressivi, istrionici, a volte invadenti, ecc. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ci è servito CONGELARCI EMOTIVAMENTE, il nostro corpo e la nostra mente raccontano la storia di una vita in cui abbiamo imparato a bloccarci, a non esporci, a non disturbare, a non esprimersi. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Gli esempi sono sostanzialmente infiniti. Trova i tuoi attrezzi…
Ogni individuo attraverso la sua corazza psicocorporea esprime tutti gli attrezzi che nella vita ha dovuto fare suoi (ha scelto) per affrontare le esperienze e risolvere i problemi che ha incontrato: eventi, persone, situazioni, dolori, traumi, ecc. Perché abbiamo appreso che era meglio così!
Ecco perché la corazza è anche sempre il guscio della ferita.
Conosci la tua corazza?
Conosci la tua cassetta degli attrezzi?
Conosci la tua ferita?
Quando i sintomi fisici e psicologici si fanno importanti, la nostra sofferenza ci invita a conoscerle, la corazza e la cassetta. A cercare di comprendere cosa sta succedendo nella nostra vita.
Chi riesce a riconoscere di stare male e si legittima il suo bisogno di aiuto, può arrivare a chiedere aiuto. La psicoterapia è una possibilità d’essere aiutati ad affrontare i problemi che ci procurano frustrazioni e dolore.
In psicoterapia, si lavora per comprendere in che modo la sofferenza è connessa non solo a difficoltà attuali, ma anche alla propria storia di vita quindi alla corazza, alla propria cassetta degli attrezzi.
In psicoterapia, la persona cerca di rendere più FLESSIBILI i MECCANISMI della CORAZZA, mantenendo quelli che servono ancora a proteggersi e cercando di lasciar andare quelli che oggi creano solo sofferenza.
In psicoterapia, la persona cerca di AMPLIARE la sua CASSETTA degli ATTREZZI, non per sostituire i vecchi, quelli potranno essere sempre utili al bisogno, ma per integrare nuove possibilità per trovare soluzioni alternative ai problemi, alle frustrazioni, alle relazioni interpersonali dolorose, ecc.
Quando finalmente ce la fai…
Quando finalmente ce la fai … A darti quel permesso!!!
Da una vita abbiamo imparato un modo per stare al mondo. Uno schema che ripetiamo. Un copione che recitiamo da quando eravamo piccoli, seguendo le indicazioni, dirette e indirette, di chi, gli adulti, ci ha detto, trasmesso e insegnato che le cose funzionano in un certo modo e devono funzionare in un certo modo. Queste indicazioni le abbiamo fatte nostre come ‘regole rigide’: ciò che dobbiamo e ciò che non dobbiamo. Esempi. Non devi piangere… Non devi chiedere… Devi essere il migliore, sempre… Devi essere impassibile… Non devi essere ambizioso… Devi assolutamente ottenere il successo… Gli esempi evidenziano che imperativi e divieti possono essere anche molto diversi tra loro, addirittura opposti, ognuno ha interiorizzato i propri nella propria storia di vita. Trova i tuoi…
Le regole possono essere anche direttive interiori che fin da bambini abbiamo creduto fossero la migliore guida per cavarcela nel mondo, per stare bene (o almeno ridurre al minimo la sofferenza), per vivere le relazioni, per fare scelte, per avere a che fare con gli adulti che ci sono capitati, a cominciare dai genitori. Esempi. È meglio che non esprimo la rabbia… Devo essere sempre razionale… Devo controllare ogni mia possibile reazione… Devo evitare ogni manifestazione spontanea… Non devo deludere mai nessuno… Trova i tuoi…
Ma cosa sono questi permessi?
Il permesso è quella scelta che fai e che è diversa dalle solite scelte che ripeti da una vita. Esempi. Posso mostrarmi in difficoltà… Mi permetto di dire no… Scelgo di riposarmi… Oppure:
Solitamente tieni duro… Ti permetti di mollare!
Solitamente fai da solo… Ti permetti di chiedere aiuto!
Solitamente trattieni le tue emozioni… Ti permetti di esprimerle!
Solitamente reagisci d’impulso… Ti permetti di riflettere un po’ meglio prima di agire!
Solitamente non esprimi il tuo pensiero per paura del giudizio… Ti permetti di dire la tua!
Solitamente accondiscendi alle richieste altrui anche quando sono eccessive… Ti permetti di dire no e sì in base ad una tua valutazione specifica della situazione!
TROVA IL TUO SOLITO … E DATTI IL TUO PERMESSO!
“Finalmente ce la fai…” perché è veramente la fatica di una vita quella di cambiare ciò che da una vita siamo abituati a fare!!!
Trova l’abitudine di una vita… E prova il permesso per iniziare oggi una nuova vita!
Provando a cambiare ciò che hai sempre fatto, avrai modo di capire perché per te è difficile, perché tendi a ripetere gli stessi schemi da una vita, perché hai paura di cambiare, perché è fondamentale iniziare a fare qualcosa di diverso al fine di migliorare la qualità della tua vita, delle tue scelte, delle tue relazioni.
È proprio necessario cambiare? È proprio necessario darsi questi permessi? Certo che no. È sempre una scelta… Del resto, alcuni modi di essere, pensare e agire che ci portiamo da una vita ancora oggi orientano in modo utile le scelte che facciamo. Quando, allora, è l’ora di nuovi permessi? Quando arriva la sofferenza, quando la vita ci chiede flessibilità, quando le circostanze esterne cambiano in modo significativo, quando stiamo trascurando i nostri bisogni, quando cominciamo ad avere problemi interpersonali importanti, quando siamo confusi, quando arrivano sintomi e malesseri fisici e psicologici ad invitarci a rivisitare il rapporto tra “ciò che devo”, “ciò che non devo”, “ciò che posso”. Se non ce la facciamo da soli, la psicoterapia può essere d’aiuto.
Riparare il riparabile
Traumi, dolori, ferite, angosce tendono a tornare e forse lo faranno per sempre. Noi possiamo imparare a governarli al meglio ovvero riconoscerli e disinnescare la sofferenza che generano. La sofferenza che noi generiamo col ‘mantenerli in vita’ oltre la loro tendenza a ripresentarsi.
Quello che si può fare in terapia è:
1. Riconoscere la sofferenza attuale: ansia, depressione, sintomi vari, problemi di relazione, ecc.
2. Comprendere cosa genera e mantiene questa sofferenza: le situazioni che viviamo, le emozioni che proviamo, i pensieri che facciamo, come ci comportiamo
3. Rivedere la nostra storia dolorosa connessa alla sofferenza attuale
4. Mettere in discussione se stessi e gli altri. Errori e colpe sono punti di partenza per modificare il modificabile
5. Attribuire nuovi significati a ciò che abbiamo vissuto
6. Trarre ora sollievo emotivo e riduzione del dolore da questa rivisitazione
7. Individuare ora nuove azioni e nuovi modi di reagire ed agire di fronte al passato doloroso che ritorna al presente
Il tutto sempre in contatto con le emozioni che proviamo: riconoscere, legittimare, ascoltare, prendersi cura delle emozioni che viviamo mentre guardiamo e riguardiamo la nostra storia. Cogliere i bisogni che emergono da quelle emozioni, perché ogni emozione dolorosa conduce ad un bisogno frustrato. Fare qualcosa di utile, sano e adattivo con quel bisogno. Per imparare a ridurre la frustrazione e/o a gestirla meglio che in precedenza.
Un esempio per illustrare.
1. Sono sempre impulsivo, reattivo, scatto con rabbia per ogni minima cosa, ciò mi fa stare sempre in tensione e spesso sentire in colpa.
2. Mio padre mi ha detto ‘ironicamente’ che ancora non ha capito cosa voglio fare nella vita… Mi sono sentito criticato, svalutato, non ascoltato, non compreso. Ho provato rabbia, ho pensato di non meritare battute del genere perché prima di tutto per me è difficile questa situazione di incertezza a 30 anni. Gli ho dato una rispostaccia aggressiva (…), credo di averlo offeso.
3. Mio padre è sempre stato così. So che mi vuole bene e vuole il mio bene, ma davanti a questo suo modo di fare ho sempre reagito stizzito e rabbioso.
4. Credo sarà utile comprendere meglio questa mia sensibilità e reattività e al tempo stesso iniziare a comunicare con mio padre in modo diverso, voglio imparare a dire cosa penso e cosa provo quando lui si comporta il quel modo. Voglio cercare di farmi ascoltare e comprendere rispetto alle situazioni che mi fanno soffrire.
5. Probabilmente se inizio a parlare io diversamente a mio padre, le sue risposte e reazioni mi aiuteranno a capire meglio il suo punto di vista e il nostro rapporto. Ciò mi permetterà, spero, di vivere certi scambi con lui in modo più sereno, anche accettando i suoi eventuali limiti nel comprendermi e i miei limiti nel governare queste situazioni in cui mi arrabbio e scatto…
6. Spero di stare meglio inquadrando il tutto in modo nuovo. Forse alcune frustrazioni andranno via, altre riuscirò a capirle e gestirle meglio.
7. Potrò continuare così a lavorare sulla mia ferita dolorosa, sul modo in cui ho imparato a reagire in questo modo e come posso imparare a trovare modi più utili, sani e adattivi per fare i conti col dolore antico che tende a tornare.
Attori interiori
Per comprendere il nostro comportamento possiamo usare la metafora teatrale.
Dentro di noi esistono tanti attori, attori interiori, ciascuno recita la sua parte. Ogni parte richiama l’opposto. Il forte richiama il debole, il santo evoca il peccatore, il ribelle sfida l’adattato, il controllore fa pensare al disregolato e via così.
La malattia nasce dallo sbilanciamento, quando alcune parti di sé dominano e altre sono negate, rinnegate o addirittura non riconosciute, mai portate alla consapevolezza e alla guida del proprio agire.
La salute, il benessere emotivo, la realizzazione di sé e una soddisfacente vita interpersonale affettiva emergono quando le parti sono in equilibrio, integrate nella propria personalità e nel guidare le nostre scelte e le nostre azioni.
Ma chi sono questi attori? Quelli che riesci ad osservare nel tuo comportamento… Quelli a cui trovi un nome, magari facendoti aiutare dalla tua fantasia o da ‘personaggi noti’ per esprimere che tipo sono… Ecco qualche esempio tra i potenzialmente infiniti attori della tua vita: Paperino, Strega, Guerriero, Esploratore, Perfettino, Brontolone, Rintanato, Spaventevole, Rocky, Tempestina, Santo, Giullare, Tristarello, Principessa, Protettore, Godereccio, Bisognoso, Compiacello, Fra Testardo, Gattone, Cavallo pazzo, Severona, Stravagante, Rigidona, Senza famiglia, Don burrasca, Fantozzi, Mastrodanni, Ingenuotto, Carnevale, Cicalone, Mandrake, Finto forte, Saggio, Sua maestà, L’amicone, Er bacchetta, Mantide, Er fiodena, Camionista, Criticone, l’Accentratrice, Mi sacrifico dunque sono, Vanitoso, Pasticcione, Controllore… Come vedi non c’è limite dentro di te. Potenzialmente puoi essere una molteplicità. Realmente, alcuni attori sono sempre a recitare, altri non lavorano da tempo. Inoltre, apparentemente alcuni esprimono qualità positive, altri sembrano sfigati; in realtà, ogni aspetto di sé, portato all’eccesso, se predomina sempre sugli altri, diventa disfunzionale.
E tu come descriveresti alcuni tuoi modi tipici di comportarti ovvero i tuoi attori interiori? Può essere un gioco simpatico, magari fatto con altri, quello di creare un tuo ritratto composto da tutte le sfaccettature di te che riesci ad individuare… Osservando con attenzione gli altri puoi scoprire in loro ciò che tu solitamente tieni all’oscuro della tua consapevolezza e del tuo comportamento…
Il limite è solo quello della tua creatività, ma è fondamentale che tu sappia individuare questi attori interiori per come si manifestano nel comportamento reale, nelle cose che fai, nel modo in cui interagisci con gli altri, nelle tue attività quotidiane, nelle tue esperienze concrete… Insomma la fantasia che parte dalla realtà del tuo modo di stare al mondo, di essere, pensare e agire…
Il percorso di crescita personale come il percorso di cura del proprio malessere non richiede di eliminare alcune parti di noi, sarebbe un assassinio doloroso perché ogni parte ha una sua storia, un senso e un valore. Ogni percorso si basa sull’accettazione di ogni parte di sé e su un uso più consapevole di ogni parte considerata una risorsa. Ogni percorso richiede l’appropriazione di sé equilibrata ovvero riconoscere queste parti di te e trovare un’integrazione tra loro che si manifesti in comportamenti concreti utili a realizzare i tuoi scopi di vita e renderti soddisfatto con te stesso e con gli altri…
Allora inizia a conoscere il tuo teatro interiore per metterlo a disposizione della tua felicità.
Individua i tuoi attori… Comincia a farli esprimere, a muovere, a parlare…
Per ciascuno di essi chiediti: con quali comportamenti si manifesta? Qual è il suo scopo? Quali risultati ottiene? Quanto mi è utile a soddisfare i miei bisogni? Rispondere a queste poche domande, per ciascuno dei tuoi attori o almeno per quelli che senti più attivi dentro di te, apre il sipario verso tue scelte più consapevoli e responsabili in direzione della vita che vuoi…
La voce critica interiore
La ‘voce critica interiore’ è una realtà psicologica. Esiste nella nostra mente e ci dà indicazioni perentorie su come ‘dovremmo’ essere, pensare e agire. Come ‘dobbiamo’ essere…
A causa dell’educazione ricevuta, siamo abituati da una vita a CERCARE DI ACCONTENTARLA, di seguire le sue indicazioni. A volte questo è utile perché l’autocritica ci aiuta a migliorare, a crescere, a risolvere problemi e raggiungere obiettivi. Ma molto spesso, purtroppo, la guida del ‘critico interiore’ diventa fonte di critica eccessiva, richieste spropositate, colpevolizzazione, svalutazione, attacco continuo e inflessibile al nostro modo di comportarci. I nostri ‘tentativi’ di seguire i suoi dettami risultano sempre insoddisfacenti rispetto alle sue ‘pretese impossibili’. Anche quando crediamo di esserci comportati ‘a dovere’, o siamo illusi o, pure fosse così, dura poco.
Il ‘giudice interiore’ è diventato il nostro persecutore che non si accontenta mai…
L’autocritica è così severa e spietata che finiamo per sentirci sempre ‘in difetto’…
Tutto ciò ci procura un’enormità di stress e sofferenza emotiva. In questi casi, piuttosto che ‘continuare a provare’ a seguire i suoi imperativi categorici, è utile IMPARARE AD IGNORARLI. Per iniziare a farsi guidare dai propri valori consapevolmente ‘scelti’ e ‘non imposti’ dalla storia che ci portiamo dentro.
Questa sostanzialmente è la traccia di un percorso di consapevolezza di sé, di emancipazione da vecchie, rigide e ormai disfunzionali, regole interne di comportamento, verso lo sviluppo di un modo di pensare, sentire e agire nuovo e più in linea con la persona che siamo oggi, oltre la nostra storia.
L’unico sfigato in un mondo di fortunati
Se ti guardi intorno o magari allo specchio, potrai notare che ogni persona si racconta, in modo più o meno consapevole, qualcosa di tipico che la riguarda. In genere suona così: l’unico… In un mondo di…
L’unico sfigato in un mondo di fortunati…
L’unico giusto in un mondo di ingiusti…
L’unico corretto in un mondo di immorali…
L’unico intelligente in un mondo di stupidi…
L’unico affidabile in un mondo di traditori…
L’unico forte in un mondo di deboli…
L’unico debole in un mondo di forti…
L’unica vittima in un mondo di furbi…
L’unico impeccabile in un mondo di imperfetti…
L’unico sensibile in un mondo di menefreghisti…
L’unico onesto in un mondo di ladri…
Come suona per te?
Cosa sei abituato a raccontarti?
Guardando i tuoi comportamenti e alcune situazioni tipiche che vivi, potresti dire: sono l’unico… In un mondo di…
Conosci qualcuno che si racconta un altro tipo di storia?
Questa narrazione di sé nel mondo e con gli altri ha alcune caratteristiche tipiche.
Origina nella propria storia di vita.
È una storia che la persona ha cominciato a raccontarsi per dare senso a ciò che le è accaduto.
È un modo che la persona ha trovato per far fronte al senso di vulnerabilità e all’angoscia personali.
Può essere un modo rigido di pensare e agire che, se un tempo ha avuto un senso, un valore e una funzione, oggi rischia di essere un modo disfunzionale per affrontare la vita, gli altri, i problemi e le frustrazioni.
Può essere il punto di partenza della cura di sé: cominciare a conoscere in modo approfondito questo modo di raccontare se stessi nel mondo aiuta a legittimare il proprio dolore e a trovare modi più sani e utili per affrontarlo e vivere una vita in direzione di obiettivi e valori per sé significativi.
Prova a indovinare la storia che si racconta ‘Alice nel paese delle miserie’, nel mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line…
Momenti e momenti
In un certo momento della nostra vita abbiamo vissuto certe esperienze che ci hanno indotto ad utilizzare certe strategie per adattarci a quelle condizioni. Ad esempio, se tuo padre ti picchiava quando urlavi, di gioia o di entusiasmo o anche di rabbia e paura, è possibile che tu abbia imparato a non urlare come strategia di sopravvivenza fisica ed emotiva cioè per ottenere il massimo possibile, date quelle condizioni, di vicinanza, calore, protezione, amore, approvazione, stima, sostegno, incoraggiamento. Se, invece, quando esprimevi la tua vitalità, tua madre si mostrava ansiosa, dopo qualche volta hai probabilmente scelto di spegnere la tua energia vitale. Sempre per ottenere amore, approvazione, supporto.
Sia in condizioni palesemente traumatizzanti che in altre meno estreme, abbiamo imparato tutti a comportarci e pensare e intrattenere relazioni che nel tempo sono diventate automatismi, tendenze a ripetere lo stesso schema precocemente trovato, inventato, appreso. Questa ripetizione schematica è diventata nel tempo il nostro marchio di fabbrica, ‘il nostro carattere o personalità o modo di essere tipico ‘, in cui ci riconosciamo e siamo abituati ad essere riconosciuti…
I problemi sorgono quando, prima o poi, ciò che è stato adattivo allora non è più funzionale oggi. Quando oggi, per adattarci e per risolvere problemi e per vivere buone relazioni, sarebbe utile pensare ed agire in modi che però allora scegliemmo di ‘seppellire’ perché non erano approvati da chi si è preso cura di noi. Li avremmo delusi. Temevamo di deluderli. Quindi imparammo a utilizzare certe strategie ma non altre, decidemmo di reprimere ciò che oggi ci sarebbe invece d’aiuto.
Questo stato delle cose oggi porta, prima o poi, a stare male, a sviluppare sintomi, ad avere problemi nelle relazioni, a farci rifugiare in comportamenti di dipendenza. E potrebbe essere necessario chiedere un aiuto terapeutico.
In psicoterapia, nella diversità evidentemente di ogni situazione di vita personale, si cercherà prima di tutto di diventare consapevoli dei meccanismi ripetitivi fonte di sofferenza. Non necessariamente, ma quasi certamente si cercherà di inquadrare questi schemi all’interno della propria storia evolutiva, entro la quale possono acquisire un senso. E si cercherà di liberare ciò che è rimasto bloccato, per imparare a praticare modi più utili per vivere la vita oggi.
DOP
Quante volte hai sentito dire: “ma come ti permetti?” Quante volte lo hai detto? Quante volte lo hai detto a te stesso? Ti propongo questa esplorazione.
Prendi un quadernino. In questo quadernino, inizia a scrivere, da ora e potenzialmente per sempre, tre tipi di contenuti: Divieti, Obblighi e Permessi.
I DIVIETI sono espressi da pensieri che girano nella tua testa e iniziano con NON DEVI o parole simili. Esistono a dire il vero divieti che non sono presenti alla consapevolezza sottoforma di pensieri coscienti, ma sono regole che esistono dentro di sé a guidare il proprio agire, regole che puoi rintracciare a partire dal notare alcune cose che vorresti fare (desideri), ma sei frenato da qualche paura.
Gli OBBLIGHI sono espressi da pensieri che iniziano con DEVI. Anche gli obblighi sono in alcuni casi nascosti alla nostra consapevolezza immediata. Anche in questo caso, inizia a notare quanto e quando il tuo comportamento segue certi ‘obblighi’, soprattutto quando vorresti agire diversamente da ciò che ti impone quell’obbligo.
I PERMESSI sono quei pensieri e soprattutto quelle azioni attraverso cui ti liberi dalle costrizioni di divieti ed obblighi. PUOI…
Segui questa traccia:
Di fronte a questo divieto… Io mi do il permesso di…
Di fronte a questo obbligo… Io mi do il permesso di…
Non ti sto dicendo di passare col rosso o smettere di prenderti le tue responsabilità quotidiane. Mi riferisco a quelle situazioni e relazioni in cui vorresti, ma… Potresti, ma… Ad esempio: non devi esprimere le tue idee… Non devi arrabbiarti… Non devi rinunciare… Non devi essere troppo ambizioso… Non devi dire no… Non devi deludere… Non devi decidere con la tua testa… Oppure: devi stare in silenzio… Devi eseguire senza chiedere… Devi essere sempre il primo… Devi fare le cose alla perfezione, sempre… Devi controllare ogni minimo dettaglio… Trova i tuoi esempi…
Lo puoi chiamare il quadernino DOP o dei miei comandamenti. O puoi dargli un nome che secondo te rispecchia meglio il suo contenuto. E cominciare a scrivere tanti:
IO POSSO…
IO POSSO ANCHE…
IO MI DO IL PERMESSO DI…
Di fronte alla lista di divieti e obblighi, prendine uno, uno alla volta e chiediti: cosa succederebbe se mi permettessi di…? Di non rispettare quel divieto? Di disattendere quell’obbligo? Di fare ciò che non ho mai fatto? Di tirare fuori potenzialità che un tempo scelsi di soffocare? Quale paura mi troverei a fronteggiare?
Trovato il permesso… Trovata la paura… Non ti resta che agire… Provarci almeno e verificare fin dove arrivi… Cambiare per stare meglio richiede sempre il confronto con una paura…
Magari arrivi almeno ad ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line.
Per tutta la vita
Il problema non è quello che fai in una certa situazione né quello che hai fatto una volta in una specifica situazione, ma quello che continui a fare in tutte le situazioni.
Se sei impaurito e scappi, è comprensibile…
Se sei triste e ti ritiri a leccarti le ferite, è sensato…
Se sei arrabbiato e lo esprimi con veemenza, ci può stare…
Il problema è l’eccesso. Quando tutto ti spaventa e scappi sempre… Quando sei continuamente invaso dalla tristezza e ti isoli da tutto e tutti… Quando tutto ti fa arrabbiare e sei perennemente sul piede di guerra…
Spesso, inoltre, il rimuginare non ti aiuta: pensi, ripensi e ci ripensi, in modo incessante, trasformando una frustrazione iniziale in una catastrofe che ti annienta di paura, in un’angoscia di desolante solitudine, in una rabbia cronica che ti avvelena.
Conosci qualcuna di queste situazioni?
Il problema è come tratti quello che ti succede. Come, tentando una soluzione, amplifichi il problema.
Probabilmente hai imparato a comportarti così fin da piccolo. Certamente continui a comportarti così oggi, anche se non ti è utile.
Per uscire fuori da questi meccanismi ripetitivi devi:
Riconoscerli in azione, nel modo in cui affronti i problemi quotidiani e nelle tue relazioni.
Cercarne il senso nella tua vita attuale: come cerchi di soddisfare certi bisogni, ma finisci per aumentare la frustrazione.
Cercarne il senso nella tua storia: come sono nati e a cosa ti sono serviti.
Provare a introdurre dei cambiamenti: nuovi pensieri, nuovi comportamenti, ridurre il rimuginare.
Verificare cosa funziona di questi cambiamenti, per consolidarlo.
Cercare di capire cosa non funziona e apportare correttivi: sviluppare nuovi pensieri e nuove azioni cercando di trovare soluzioni utili invece che ripetere i soliti modi disfunzionali di affrontare stress e frustrazione.