Sarà capitato anche a te di ritrovarti pieno di delusioni, lamentele e critiche.
Se tutti o tanti o troppi ti hanno deluso…
Se le tue lamentele iniziano il primo e finiscono l’ultimo giorno dell’anno, per poi ricominciare…
Se per ogni persona della tua vita hai diverse critiche e rimproveri da fare…
Probabilmente è l’ora di diventare consapevole di:
– cosa vorresti dagli altri…
– cosa chiedi agli altri…
– cosa ti aspetti dagli altri…
– cosa pretendi dagli altri…
– quali bisogni frustrati vivi con gli altri…
– quali obiettivi non riesci a raggiungere nei rapporti con gli altri…
– quali convinzioni guidano i tuoi rapporti con gli altri…
Non è una consapevolezza facile da raggiungere, anche perché probabilmente associata a emozioni di dolore, rabbia, tristezza e altre ancora; né sono facili da accettare certe scoperte o ‘verità’, anch’esse accompagnate da emozioni spiacevoli. Tuttavia, fare chiarezza su questi aspetti e comprendere alcune tue modalità di relazione con le persone è già un cambiamento importante nella direzione di una vita di maggiore qualità, serenità e benessere.
Quando questa consapevolezza interpersonale è difficile da ottenere o ardua da accettare, magari vivendo un malessere consistente con sintomi di sofferenza emotiva, potrebbe essere utile chiedere un aiuto alla psicoterapia.
La psicoterapia è un’esperienza in cui, senza essere giudicato né colpevolizzato, puoi trovare il senso di tante frustrazioni e delusioni, per imparare a ridurle sperabilmente, a governarle quando possibile, ad accettarle quando necessario, imparando comunque a mantenere l’impegno determinato verso la creazione della tua qualità di vita nonostante ciò che non è perfetto e ciò che va in un certo modo anche se vorresti andasse in un altro.
In ‘Alice nel paese delle miserie’, il mio libro che puoi ordinare direttamente in libreria oppure on line, la protagonista, ciascuno di noi, impara a navigare tra frustrazioni e delusioni, mantenendo la rotta verso la destinazione che ha per sé valore.
Categoria: cicli interpersonali
La ferita e la pretesa
Molte persone si portano dentro una ferita affettiva che origina nell’infanzia. Una ferita emotiva e anche propriamente fisica, un ‘dolore da deprivazione’ sentito proprio a livello somatico. A volte diventa un sintomo fisico e/o psichico, altre volte sviluppiamo strategie diverse per non sentire quel dolore, ma quelle strategie diventano esse stesse un problema. Ad esempio, per non sentire quel dolore cerchiamo stordimenti vari (alcol, droghe, internet, social, gioco d’azzardo, sesso compulsivo non relazionale, shopping compulsivo, ricerca ossessiva del controllo) o sviluppiamo relazioni di dipendenza da altre persone o diventiamo eccessivamente compiacenti, sottomessi e tendenti all’autosacrificio. Oppure siamo molto aggressivi con gli altri, a volte con comportamenti violenti e ostili, altre volte con comportamenti passivi.
Una modalità diffusa di espressione della ferita antica è quella della ‘pretesa’. Se da bambini non abbiamo ricevuto adeguata attenzione, amore e interesse per i nostri bisogni, abbiamo imparato a fare con noi stessi quello che hanno fatto gli altri. Abbiamo messo a tacere i nostri bisogni. Ma questi non possono vivere nel silenzio e nell’oscurità, non possono non essere visti, riconosciuti e ascoltati. Restano ‘questioni irrisolte’ dentro di noi che tenderanno sempre a riemergere e ‘chiedere cura’.
Crescendo, diventiamo incapaci, molto spesso, di esprimere in modo sano questi bisogni, le altre persone non hanno possibilità di vederli e riconoscerli, noi ci sentiamo ancora frustrati, ora come allora e sentiamo dolore e rabbia. Per la frustrazione antica che si rinnova nelle relazioni attuali. Non riusciamo ad esprimere in modo sano questi bisogni di amore e cura ed entriamo nella ‘pretesa’. Il diritto e la legittimità profonda che sentiamo di avere per i nostri bisogni mai ascoltati si trasformano in modalità ‘aggressive’ di richiesta d’amore. In modo più o meno consapevole, pretendiamo dagli altri. Sentiamo che ci è dovuto. Obblighiamo implicitamente gli altri a darci oggi ciò che in origine non abbiamo ricevuto. E oggi l’altro, almeno fino a quando resta incastrato nella relazione, finisce per scontare il debito originario di chi non si è preso cura di noi. L’altro ‘deve’ darci ciò di cui abbiamo bisogno. La richiesta diventa ‘obbligo’, quasi ordine perentorio. La frustrazione, il dolore, la rabbia, la delusione diventano reciproche.
Probabilmente ciascuno di noi ha una ferita affettiva. Più o meno estesa, profonda, dolorosa, consapevole. Probabilmente ciascuno di noi, in specifiche circostanze, entra nella ‘modalità pretesa’ e ciò crea un problema nella relazione con l’altro, sia esso il partner, il genitore, un collega, un amico, addirittura un figlio.
Diventa fondamentale, per ciascuno di noi, ‘intercettare la pretesa’ e i bisogni sani e legittimi che esprime in modo disfunzionale. Per imparare, per la prima volta, nuove sane modalità di esprimere e chiedere per i nostri bisogni di amore e cura.
Togliersi dal centro
Hai presente quei quadri in cui il soggetto sembra sempre guardare te anche se ti sposti? E che succede se un’altra persona sta guardando contemporaneamente quello stesso quadro?
La nostra mente è naturalmente egocentrica. Fin da bambini abbiamo il bisogno e la propensione ad essere al centro dell’attenzione. Ciascuno di noi è al centro del proprio mondo. L’egocentrismo è psicologicamente “normale”.
I problemi, soggettivi e interpersonali, nascono quando non riusciamo a riconoscere “l’egocentrismo dell’altro” cioè il fatto che l’altro è un’altra persona, con il suo modo di percepire le cose, guardare il mondo, con i suoi valori, i suoi scopi, le sue credenze, il suo modo di considerare le cose. La sua prospettiva unica sul mondo. Come unica è la nostra.
Ti sarà certamente capitato di pensare: ma come fa quella persona a pensare quello che pensa e ad agire come agisce? Implicitamente significa: ma come fa ad essere così diversa da me?
La capacità di riconoscere e comprendere la mente dell’altro come un punto di vista unico e quindi, in misura maggiore o minore, diverso dal nostro è la capacità di “decentramento”. Togliersi dal centro del mondo.
I problemi nascono quando non riusciamo a decentrarci e proviamo sofferenza personale (tristezza, rabbia, dolore, paura, frustrazione, delusione, senso di colpa, vergogna, umiliazione, senso di inadeguatezza, ecc.) nel contesto di problemi interpersonali, di incomprensioni, di rifiuto, di distanza, di derisione, di giudizio negativo, ecc.
Quanto ti ritrovi in questo quadro?
Vorrei, ma… Dolorose profezie…
Vorresti essere amato, ma senti di non meritarlo. Allora non chiedi l’affetto che vorresti per timore di non riceverlo… E finisce che non lo ricevi…
Vorresti coccole, ma credi che non ci siano persone disponibili per te… Tanto vale stare soli… E le coccole non arrivano…
Vorresti essere apprezzato, ma sotto sotto non ci credi nemmeno tu; per questo ti stai impegnando al massimo, ma non sei mai soddisfatto di te per cui rinvii il lavoro, la presentazione del tuo lavoro, la condivisione dei tuoi sforzi e quindi non ti arriva l’apprezzamento tanto desiderato…
Vorresti essere stimato, ma credi di non valere; ogni segno di stima, che pure ti arriva dall’esterno, dagli altri, dai buoni risultati effettivi che raggiungi, non attecchisce, boicottato dall’immagine negativa di te che ti porti dentro…
Vorresti cimentarti in un’impresa, ma temi di non essere supportato e per questo rinunci e resti al palo…
Vorresti andare a vivere da solo, ma ti senti in colpa immaginando le reazioni dei tuoi genitori (li lasci soli? Li abbandoni? Li preoccupi?) e quindi resti a casa raccontandoti una qualunque storia di auto-sabotaggio…
Vorresti invitare quella persona ad uscire, ma credi di non essere alla sua altezza, sono mesi che vorresti chiederle un appuntamento e… intanto quella persona esce con altre persone…
Vorresti farti valere sul lavoro, ma temi di essere giudicato per la tua timidezza o criticato perché non parli bene in pubblico; cerchi allora di non farti notare ed effettivamente per gli altri risulti invisibile, ti ignorano e non notano le tue qualità…
Vorresti far parte del gruppo dell’ufficio che va a mensa insieme, tutti i giorni, ma ti immagini incapace di stabilire una buona comunicazione con loro, e continui così a mangiare in solitudine…
Vorresti andare in palestra, ma ti senti goffo, impacciato e temi di essere deriso… Non ci vai e resti solo… E non in forma…
Vorresti far parte di un gruppo, ma ti senti diverso e hai paura di essere giudicato ed escluso per le tue stranezze… Rinunci… Nessuno ti può conoscere perché eviti ogni possibile contatto con i membri di questo gruppo… Resti solo…
Hai altri esempi che riguardano la tua vita e le tue relazioni? Ti sei mai trovato in quelle situazioni dove, purtroppo, la profezia dolorosa si avvera? Cosa deve succedere per bloccare questi cicli interpersonali dolorosi?
In psicoterapia si lavora anche su questo: per valorizzare i tuoi legittimi desideri di relazioni sane e nutrienti; per intercettare le credenze auto-sabotanti, a cominciare dalle convinzioni negative che hai su te stesso; per trovare strategie funzionali ad affrontare la frustrazione e la delusione che incontri; per comprendere meglio la tua esperienza interna (desideri, bisogni, sensazioni somatiche, emozioni, pensieri); per comprendere le interpretazioni distorte che ti portano a vivere esperienze dolorose nelle relazioni interpersonali; per iniziare quindi ad agire in modo diverso ed ottenere risultati soddisfacenti nei tuoi rapporti con le persone. Per ridurre la sofferenza e aumentare il benessere.
Due caratteri
Immagina questo dialogo… Potrebbe avvenire tra partner o amici o in ambito lavorativo o in altre relazioni…
“Ciao… Io sono così di carattere… Se ti sta bene… bene… altrimenti addio. Oppure no… Se vuoi avere a che fare con me… dovresti cambiare… Io sono fatto così… Non posso farci niente…”
E l’altro:
“Ciao… Io sono così di carattere… Se ti sta bene… bene… altrimenti addio. Oppure no… Se vuoi avere a che fare con me… dovresti cambiare… Io sono fatto così… Non posso farci niente…”
Potrebbe essere un dialogo reale, proprio con queste parole o simili. O potrebbe essere sottinteso nell’incontro tra due persone.
Cosa ti fa pensare? Ti ritrovi in qualcosa del genere? Molta parte della sofferenza individuale e dei problemi interpersonali è legata all’incapacità di uno o entrambi gli individui di uscire dai “limiti” di questo dialogo. Di uscire dalla pretesa che sia l’altro a dover cambiare per migliorare la relazione. E quindi?
“Se vuoi avere ragione devi essere disposto ad avere torto” diceva qualcuno. Se vuoi costruire e migliorare una relazione devi prima di tutto riconoscere come funzioni tu in quella relazione (cosa provi, cosa pensi, cosa vuoi, cosa fai, cosa ti fa arrabbiare, cosa ti spaventa, cosa ti piacerebbe, come ti comporti solitamente), devi riconoscere il tuo contributo a ciò che succede nella relazione, devi essere disposto a metterti in discussione e devi essere disposto a fare qualcosa di diverso da quello che hai sempre fatto. E poi quasi tutto sarà possibile…