Molta parte della nostra sofferenza emotiva ha a che fare col giudizio, con la paura di essere giudicati, col sentirsi costantemente giudicati, col non sentirsi “mai a posto”. Hai la sensazione di rincorrere sempre qualcuno o qualcosa, cercando di… Ma non riuscendo mai a… Cercando di dimostrare di essere adeguato, capace, all’altezza… Ma sentendoti sempre “non abbastanza”.
Tutto questo, se una volta è stato uno scenario esterno, ripetuto in più episodi e scambi con persone importanti della propria crescita, ben presto è diventato un teatro interiore, sempre in scena, in ogni momento, in ogni movimento, in ogni gesto, in ogni pensiero. Per poi ridiventare esterno, proiezione del proprio autogiudizio severo sullo sguardo degli altri, percepiti continuamente minacciosi, pericolosi perché percepiti potenti in quanto in grado di affossare il proprio senso di autostima e veicolare la sensazione e l’idea di essere una persona “sbagliata”.
Nel tempo il giudice si è incarnato. È diventato corpo, sensazioni somatiche di tensione, dolore, pesantezza, malessere somatico generalizzato. E ha anche preso la forma di fantasie e pensieri persecutori, ad esempio sentirsi costantemente sotto tiro degli altri che “pensano di me” che sono “sbagliato”, “cattivo”, “strano”, “diverso”, ecc..
Il corpo malato esprime la psiche addolorata ed insieme urlano rabbia e dolore, paura e desiderio di riscatto.
Ognuno porta appresso questo fardello come meglio riesce, ognuno di noi cerca di conviverci se non riesce a liberarsene completamente. E fare un lavoro su se stessi di emancipazione e liberazione dalla paura del giudizio è un’impresa che dura tutta la vita…
La psicoterapia è uno strumento, tra gli altri, che consente di conoscere ed esplorare questa paura per imparare a venirci a patti…
E ogni persona che lavora su di sé per ridurre il dolore, può farlo: imparando a sentire il corpo come canale di accesso primario e privilegiato alla consapevolezza di sé e alla cura di sé; imparando a riconoscere e governare i pensieri, trasformando il dialogo interiore auto-persecutorio in una serie di pensieri più ‘comprensivi’, utili e realistici; imparando a riconoscere e regolare le emozioni più dolorose; imparando ad adottare comportamenti più sani e utili rispetto ai propri bisogni più vitali; imparando a governare le relazioni interpersonali (a casa, al lavoro, ecc.) in modo da vivere relazioni più soddisfacenti; imparando a fare scelte sempre più orientate dai propri valori consapevoli (cosa è importante per me, che vita vorrei e come devo impegnarmi per cercare di avvicinare la mia vita reale alla mia vita desiderata); imparando ad accettare quella quota di inevitabile frustrazione che è parte integrante del vivere.
Il corpo malato esprime la psiche addolorata
