La competizione ci ha preso la mano

La motivazione agonistica è parte fondamentale dei rapporti umani e della sopravvivenza della specie. Stabilire la gerarchia di rango è utile per accedere a risorse limitate. Ce lo abbiamo scritto dentro, è nella nostra natura: dobbiamo competere per cavarcela… Conosci qualcosa che fai e che non misuri col più e col meno? Quello è più… quello è meno… superiore… inferiore… migliore… peggiore…
Ma… Ci siamo fatti prendere la mano dalla competizione… Forse è una generalizzazione eccessiva, forse no: siamo tutti, chi più chi meno, appunto, iperattivati per raggiungere ciò che dobbiamo raggiungere. Tu hai la tua, io la mia, noi tutti ne abbiamo una, almeno una. Chissà cosa poi, chi lo sa veramente COSA DOBBIAMO RAGGIUNGERE.
Fatto sta che questo stato di attivazione, dopo un po’, non lo reggiamo. È semplicemente troppo. Richiede di essere regolato. Dovremmo darci una regolata. Cosa abbiamo trovato (certo non da ieri)? Le dipendenze!!!
Quante forme di dipendenza conosci? E quante ne pratichi? Tabacco, alcol, sostanze varie, cibo compreso. Gioco d’azzardo, shopping compulsivo, sesso compulsivo, spesso coadiuvato da pornografia. Dipendenze affettive (da persone, dai soldi, dal potere), dipendenza da lavoro, iperattivismo, perfino dipendenza dall’attività fisica e sportiva. Dipendenza da internet e da tutto il mondo dei social media. Hai visto ‘the social dilemma’? Insomma, un po’ tutto, fatto troppo, fino a farci male…
Allora…
Prova a non fare quello da cui sei dipendente… Ti accorgerai di quanto è difficile, magari ci riesci per un po’, ma ti costa fatica e una serie di sensazioni connesse alla ‘mancanza’. Sensazioni disagevoli, fastidiose, irritazione, malessere, nervoso, senso di esaurimento. Uso volutamente espressioni generiche di sofferenza perché effettivamente a questo livello c’è uno stato generalizzato di malessere che riguarda in modo diffuso tutto il corpo. Uno stato di ‘strana’ percezione dell’organismo che può oscillare dal sentirti teso e attivato al sentirti intorpidito e confuso.
Ti stai privando di un abituale regolatore dell’umore e non è un bel regalo quello che ti stai facendo.
Cosa c’è? C’è da andare a scoprire…
Fermarsi e ascoltarsi come non siamo abituati a fare.
Può ‘bastare’ (già ti immagino dire quanto non è per niente facile)? Può bastare prendersi del tempo per sé (in modo sistematico e non occasionale) e dedicarsi con attenzione a restare consapevoli del respiro (non ti dico cosa immagino tu stia pensando…). Basta davvero. Serve qualcosa di diverso per esplorare e capire cosa ci gira dentro per cui siamo diventati tutti dipendenti da qualcosa, che prima o poi, tanto o poco, ci porterà problemi.
Essere presenti al proprio respiro è la forma più basilare di ancoraggio a se stessi. Di consapevolezza di sé. Di attenzione a sé. Diventiamo allora dipendenti dal ‘tempo di cura per noi stessi’. E se lo facciamo tutti impariamo anche a stare meglio con gli altri.
Regaliamoci ‘tempo per stare’ senza dover fare, produrre, arrivare prima, arrivare primi…
Non occasionali consumatori, ma costantemente impegnati a prenderci cura di noi stessi, in modo sano, come solitamente non facciamo. Stare col proprio respiro in modo consapevole è solo uno strumento, può essere il tuo inizio, una possibilità da integrare con ogni altra strategia tu possa trovare per ‘essere’ più che ‘dover essere’…

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