I bambini, si sa, hanno bisogno di attenzioni. Hanno bisogno di essere accuditi, protetti, curati, stimolati, incoraggiati, sostenuti, apprezzati. Hanno bisogno di genitori con uno “sguardo attento”, capaci di rispondere in modo sollecito e adeguato ai bisogni dei figli e anche di fornire una giusta dose di frustrazione dei bisogni, in modo che il bambino crescendo sappia anche vivere l’esperienza che non tutto è ottenibile, né subito, né sempre facilmente. E ciò lo fortifica e lo prepara alla vita.
Purtroppo a volte succede che i genitori (per una serie svariata di motivi) non abbiamo quella giusta capacità di dare ai figli le giuste e sane attenzioni… E allora i figli devono imparare un modo per ottenere la soddisfazione dei loro bisogni di amore, vicinanza, conforto, sostegno e via dicendo. Questo modo, quando funziona, viene ripetuto, fino a consolidarsi e diventare il proprio modo di stare al mondo e di stare nelle relazioni interpersonali per ottenere la gratificazione dei bisogni. Da bambino come da adulto. E questo modo può essere più o meno sano oltre che più o meno consapevole. Allora abbiamo il perfezionista schizzato, il narcisista borioso, il controllante esaurito, l’istrionico disperato, l’evitante distaccato, il rabbioso cronico, il passivo ritirato, l’ossessivo ossessionato, l’eccentrico sulla luna, il dipendente sanguisuga, il ragioniere delle relazioni, l’ingegnere dell’intimità, e via dicendo. Tanto per usare “etichette semplificanti” che aiutino a capire come ciascuno di noi può essere un tipo di questi e ciascuno di noi può essere circondato da questa “strana gente”.
Spesso le persone arrivano a chiedere aiuto per la loro sofferenza emotiva e nei rapporti con gli altri perché quel modo, anticamente trovato e ripetuto, oggi è diventato così rigido e inflessibile da creare molti più problemi di quanti bisogni riesce a soddisfare.
La persona, in terapia o con altri strumenti, deve lavorare sulle sue “maschere”, sui suoi “ruoli sclerotizzati”, sulle sue “ferite ancora sanguinanti”, sulle sue “modalità ripetitive di manipolare” gli altri. Per sviluppare una maggiore flessibilità per chiedere, in modo sano, consapevole, adulto, responsabile, ciò di cui ha bisogno, per re-imparare a governare la frustrazione e la delusione che si incontrano nelle relazioni, per fare scelte felici ed efficaci diverse da quelle del passato, anche se mai perfette.
Io mi trovo da anni a lavorare su questa cosa e la mia domanda… si riesce ad uscirne e a colmare queste mancanze di attenzioni subite da bambini? Sono molto scettica
"Mi piace""Mi piace"
Valentina, il lavoro sulla ‘ferita’ può essere molto faticoso, lungo, doloroso. In realtà, tutta la vita avremo a che fare con le nostre ferite primarie. L’idea guida di un lavoro su di sé è quello di ‘passare’ da una ferita traumatica e schiacciante ad una ferita dolorosa, ma sostenibile emotivamente e governabile, fino al punto che diventi progressivamente meno invalidante rispetto alle scelte quotidiane e ai progetti di vita, pratici e affettivi.
È importante comprendere bene la propria specificità, il proprio personale caso ovvero i propri bisogni frustrati e le strategie che abbiamo trovato e continuiamo ad adottare per ‘cavarcela’. Quindi le nostre risorse oltre alle nostre ‘rigidità’ di pensiero e azione.
Molto dipende anche dalle aspettative personali e dalla capacità di ‘integrare’ e accettare nella propria vita delusioni, perdite, fallimenti, disillusioni, imperfezioni.
Grazie dell’interesse.
"Mi piace""Mi piace"