La nostra esperienza quotidiana è tracciata da eventi, emozioni, bisogni, pensieri e comportamenti. Tutti elementi dell’esperienza soggettiva che si intrecciano a creare la nostra felicità o la nostra infelicità. Succedono delle cose, viviamo emozioni, interpretiamo i fatti e diamo significati agli eventi e alle emozioni, agiamo nei nostri contesti di vita e nelle relazioni e così via… un susseguirsi di stati d’animo ed esperienze di diversa natura e tonalità emotiva. In particolare, le emozioni sono stati mentali che ci danno indicazioni su come vanno le cose, su quanto abbiamo raggiunto i nostri obiettivi, o restano frustrati i nostri bisogni, o realizzati i nostri scopi di vita. Le emozioni ci segnalano insomma quanto viviamo in linea coi nostri valori con quanto per noi è importante e deve essere presente nella nostra vita perché questa sia di qualità e valga la pena di essere vissuta.
La funzione positiva delle emozioni è proprio quella di comunicarci come stanno le cose: siamo tristi se abbiamo perso qualcosa o siamo lontani da persone che amiamo; siamo gioiosi quando i nostri desideri si realizzano; siamo arrabbiati quando veniamo trattati ingiustamente o subiamo dei dei torti o dei danni; ci spaventiamo se ci sentiamo minacciati o in pericolo. Grazie dunque alle emozioni… che ci segnalano quello che sta accadendo rispetto ai nostri scopi e come dobbiamo muoverci per realizzarli.
Purtroppo a volte succede che invece di utilizzare l’informazione fornita dall’emozione tendiamo a soffocare questa emozione, a cercare di capirla oltre quello che è già chiaro oppure per capirla finiamo per renderla oscura nella sua funzione. Finiamo per chiederci perché provo quello che provo, ma la risposta non è illuminante e ci allontana dalla comprensione. Invece di cogliere il significato e il senso dell’emozione che ci vuole segnalare cosa sta andando storto, facciamo uno zoom su quella emozione, la ingigantiamo, ma non la utilizzano nella sua funzione vitale. Questo è uno dei modi più diffusi attraverso cui ingigantiamo la sofferenza invece di ridurla, la spegniamo con i farmaci invece di ascoltarla, la reprimiamo e diventa sintomo invece di lasciarla esprimere. È come se la nostra mente dicesse non devo provare quello che provo… devo scacciare via quello che sento.
Non ci concediamo di provare quello che proviamo. Non ci diamo il permesso di sentire quello che sentiamo. Ci trattiamo come ci hanno trattato i nostri educatori (genitori in primis) quando ci hanno “insegnato” che le emozioni sono pericolose, che le emozioni sono “da deboli”, che esprimere i propri stati d’animo rende vulnerabili e attaccabili, che esternare i propri sentimenti è sconveniente, che non si deve far vedere quello che si prova, che una maschera e una corazza allontanano i problemi. O semplicemente continuiamo a non parlare il linguaggio delle emozioni perché nessuno ce lo ha insegnato.
Continuiamo a credere insomma a tutta una serie di idee instillate da bambini e che continuiamo a ritenere vere senza metterle mai in discussione. L’esito è che invece di lasciare che le emozioni svolgano il loro corso e portino il loro utile messaggio, tendiamo a non concedercele, a non legittimarle, accompagnate da pensieri che le distorcono e affossano: non dovrei sentirmi triste (tutto sommato non è successo niente… non mi manca niente)… non dovrei sentirmi arrabbiato (che vuoi che sia)… non dovrei spaventarmi (non è pericoloso)… financo non dovrei sprizzare di gioia (prima o poi la pacchia finisce).
Questo approccio al mondo interno e alle emozioni in particolare è la via d’accesso all’ansia e alla depressione. L’ansia per l’accumulo di emozioni represse. La depressione per la perdita di contatto vitale con se stessi.
La “cura” prevede di favorire l’incontro con le proprie emozioni: riconoscerle, sentirle appieno, esplorarle, comprenderle, esprimerle. Da qui parte il cambiamento. Nuove azioni e nuove possibilità di creare la vita che vogliamo.