Non basta il pensiero per cambiare

Basta il pensiero?! Non basta il pensiero. Il cambiamento reale riguarda sempre l’esperienza emotiva e corporea. Ogni approccio psicoterapeutico, anche se attraverso le più disparate strategie, porta il paziente a vivere un cambiamento a livello delle emozioni e delle sensazioni corporee. È importante fare chiarezza su pensieri distorti e convinzioni disfunzionali che guidano i nostri comportamenti problematici e generano la nostra sofferenza emotiva, ma, nel profondo, il cambiamento efficace e duraturo, realmente trasformativo, è quello che riguarda l’esperienza emotiva e corporea.

Rifletti e agisci, agisci e rifletti è un principio ispiratore del mio modo di fare psicoterapia e anche lo spirito che impronta tanti post di questo blog. Al tempo stesso, rifletti, agisci e vedi l’effetto che fa… L’effetto nelle reazioni degli altri e nelle tue reazioni, per come ti tocca il cuore, il corpo e l’anima, per come ti mette a confronto con la tua paura e il tuo dolore, per come ti permette di scovare ed esprimere le tue emozioni represse, per come ti permette di curare il tuo corpo malato di tanta angoscia e dolore.

E questo perché le origini di tanta parte della nostra sofferenza, la più importante, la nostra ferita antica, risalgono a quando ancora non avevamo pensieri sviluppati, a quando non parlavamo o lo facevamo in maniera rudimentale e la nostra esperienza emotiva è stata trattenuta nel corpo sotto forma di “memoria non elaborata” che tende a ripetersi. Semplicemente oggi non abbiamo parole per descrivere esperienze avvenute quando non sapevamo parlare, non sapevamo pensare attraverso le parole e non capivamo tante cose che ci accadevano. Quello che è rimasto impresso e resta indelebile fino a ripresentarsi è il dolore emotivo, corporeo, le sensazioni vissute allora di paura, dolore, angoscia, vuoto, solitudine. Oggi di quelle esperienze non abbiamo pensieri o ricordi nitidi, abbiamo sensazioni, note emotive, tracce corporee spesso associate a grande frustrazione, sentimenti di non essere visti, compresi, accolti, amati, ascoltati, rispettati, considerati. Queste sensazioni sono comunemente manifestate con espressioni quali “mi sento vuoto” o “profondamente solo” o “profondamente sbagliato” o “come se mi mancasse sempre qualcosa”. Hanno a che fare con un’originaria “carenza di sintonizzazione affettiva”, incapacità dei genitori di riconoscere ciò di cui avevamo bisogno o di sapercelo dare (amore, calore, abbracci, vicinanza, ascolto, comprensione, consolazione, rassicurazione, guida, orientamento). Col passare del tempo, a queste sensazioni originarie di mancata sintonizzazione e deprivazione vitale, la persona ha associato, in modo inconsapevole, convinzioni e credenze su sé, sugli altri e sul mondo che oggi sono il canale di accesso a quel doloroso vuoto primario.

Ogni percorso terapeutico che voglia lavorare sulla ferita profonda deve andare a visitare quei luoghi della memoria, continuamente resi presenti nella sofferenza attuale e nelle relazioni disturbate odierne. Tutte le forme di terapia, anche quelle in senso lato come possono essere la meditazione e la preghiera, per essere veramente trasformative devono andare a trovare quel bambino e prendersene cura attraverso il corpo, le sensazioni, le emozioni. La stessa espressione artistica, qualunque forma essa abbia, può essere “terapeutica” se sorge dal bambino ferito nel corpo che trova una forma di manifestazione del suo dolore e cerca, attraverso l’espressione e la condivisione, di curarlo, lenirlo, trasformarlo.

Il bambino deprivato, trascurato, abbandonato, solo, vuoto porta dentro l’adulto una profonda dolorosa sensazione, mai troppo nitida, quasi di “irrisarcibilità”. Un vuoto che è un buco nero. Anzi, un secchio bucato. Ogni percorso di cura è un viaggio in quei luoghi del dolore, un tentativo di fornire una qualche forma di “risarcimento emotivo”, la possibilità finalmente di ri-prendere un cammino interrotto o forse mai iniziato…

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