La carriola

Qualche volta in terapia mi è utile raccontare questa storiella.

Un uomo lavorava in un cantiere. Ogni sera, per uscire dal cantiere, doveva superare il controllo di una guardia. Ogni sera usciva con la carriola da lavoro ricoperta di paglia e veniva ispezionato. La guardia lo osservava con attenzione, ispezionava scrupolosamente l’uomo, la carriola e la paglia, perché sospettava che l’uomo rubasse qualcosa. Ma non trovando niente lo lasciava andare. Ogni sera si ripeteva la stessa scena. L’uomo passava con la carriola, la guardia lo fermava, ispezionava scrupolosamente l’uomo, la carriola e la paglia, ma non trovando niente, lo lasciava andare. Esasperato, una sera la guardia guardò l’uomo negli occhi e gli disse: “Ti ho visto uscire da qui ogni sera con la carriola ricoperta di paglia. Non sono riuscito a trovare niente né sotto i tuoi vestiti né sotto la paglia, ma sono certo che tu abbia rubato. Te lo prometto, non dirò niente al capo, ma dimmi che cosa rubi e come fai a fregarmi sempre. Sto diventando pazzo!” L’uomo si limitò a sorridere e gentilmente gli rispose: “D’accordo, te lo dirò. Io sto rubando carriole!”.

Mi è utile raccontare questa storiella della tradizione zen soprattutto con quelle persone che sono rigidamente ancorate ad un’unica visione della realtà, quelle che hanno un solo modo di percepire i propri problemi, la storia personale e il senso degli eventi di vita.

Spesso mi è utile con persone che utilizzano solamente la razionalità per tentare di comprendere come funzionano le cose, magari anche la loro sofferenza, e restano incagliate in un circolo vizioso di spiegazioni che non arrivano a niente di utile per ridurre effettivamente il livello di malessere.

Spesso serve a “superare l’inganno del sintomo” ovvero a rendere “esplicito” il “messaggio” che il malessere vuole inviare alla persona, a capire in che modo la persona deve mettere in discussione il suo assetto personale rigido fatto dei soliti modi di pensare e agire.

Se è vero che l’essenziale è invisibile agli occhi. Spesso almeno. Ed è visibile al cuore… è visibile anche alla mente se funziona in modo flessibile oltre le immediate apparenze.

Una parte fondamentale del lavoro di comprensione e soluzione dei problemi in psicoterapia è proprio quello di aiutare il paziente a capire l’implicito del suo funzionamento, quello che c’è ma non si vede, se non lo si sa vedere, ciò che non esiste fino a quando non lo scopriamo. Un po’ come “c’insegna Michelangelo” è un lavoro a “togliere il superfluo per arrivare all’essenza”, al significato delle immagini interne e del comportamento esterno di una persona, a capire come cerchi di soddisfare bisogni e desideri, magari utilizzando strategie inefficaci e deleterie.

E a te cosa suggerisce questa storiella?

2 pensieri riguardo “La carriola”

    1. Ad alcuni pazienti, in certi momenti della terapia, mi ritrovo a raccontare una storia, presa dal libro Le sette regole per avere successo, di Stephen Covey, dove l’autore riferisce una sua esperienza vissuta. Egli la utilizza per spiegare “il salto di paradigma” ovvero quando cominciamo a vedere le cose da una prospettiva differente. Con integrazioni appropriate, è una storia piena di spunti di riflessione su come funziona la mente umana e su cosa deve avvenire per realizzarsi un cambiamento, su quali sono le cose importanti e quelle meno importanti per ciascuno di noi.

      In metropolitana, una tranquilla domenica mattina, senza gli affanni delle corse infrasettimanali; ogni passeggero assorto per i fatti suoi: chi legge il giornale, chi smanetta col telefono, chi dormicchia, chi si guarda intorno tra il curioso e l’inebetito. Ad un certo punto entra nello scompartimento un uomo coi suoi quattro figli, dai 3 ai 12 anni circa. L’atmosfera cambia completamente: la tranquilla serenità lascia il posto al caos, smuovendo gli animi dei vari passeggeri. Questi bambini iniziano a fare chiasso nelle più svariate forme che i bambini possono inventare, tra l’educato e il maleducato, tra il divertente e l’irritante. Il padre si siede apparentemente tranquillo mentre la metro va avanti…

      Ciascun passeggero comincia a fare i suoi pensieri: “che maleducati!”, “padre irresponsabile!”, “padre incapace di contenerli”, “è una cosa intollerabile!”, “non posso stare tranquillo nemmeno la domenica mattina a leggere il giornale!”. Ma anche: “che simpatici sti marmocchi!” “chissà dove vanno?”, “ce li avessi io ancora a casa i miei figli!”. “Il biondino mi ricorda come facevo io quando avevo sette anni…”. O anche: “se continuano così chiamo la polizia!”, “quasi quasi mi metto a giocare con loro…”. E via pensando…

      In base a ciò che pensiamo e al contesto in cui ci troviamo, in base alle nostre credenze e convinzioni, in base ai nostri valori e principi, proveremmo certe emozioni (rabbia, sconcerto, indifferenza, curiosità, divertimento, preoccupazione, ecc.) e il nostro comportamento sarebbe conseguente a tale vissuto …

      Possiamo comunque dire che, probabilmente, la reazione più frequente e forse più aderente ad un certo “senso comune della realtà” è quella espressa dal pensiero del tipo: “ma come è possibile che questo padre non si renda conto che i suoi figli stanno disturbando trenta persone che stanno per gli affari loro godendosi un momento di tranquillità?”.

      E tu che pensiero ti sei fatto? Sarebbe probabilmente difficile per chiunque mantenere la calma o restare indifferenti … mentre tra l’altro il padre continua a stare seduto senza fare niente…

      Alla fine l’autore riferisce di essersi avvicinato a questo padre dei “quattro indemoniati” (è solo una delle possibili definizioni della realtà) per chiedergli di intervenire in qualche modo, visto che il disturbo da essi arrecato alle persone in treno era evidente. L’uomo si destò, quasi che solo in quel momento si rendesse conto del putiferio, e rispose in tono dimesso (riporto il passaggio del libro): “oh, lei ha ragione. Ho idea che dovrei intervenire in qualche modo. Stiamo tornando dall’ospedale dove la loro madre è morta un’ora fa. Io non so come reagire, e credo che anche per loro non sia semplice”.

      Che cosa stai provando ora che hai appena letto questa storia? Cosa hai provato nel dispiegarsi del racconto? Quali riflessioni?

      Ciascuno di noi, leggendo questa storia, come in realtà ascoltando una qualunque storia (di vita reale o di fantasia, un film o la storia dell’umanità, gli eventi che ci raccontano come i fatti di cronaca, ecc.) attiva il suo personale filtro percettivo e interpretativo (per lo più in modo inconsapevole) che discende dalla sua storia personale, dai suoi valori, ma anche dal momento di vita che sta vivendo o da come sta andando la giornata in corso, da quanto riesce a identificarsi con uno o più dei vari personaggi, ecc..

      Ai fini di un’assunzione di responsabilità rispetto alla nostra felicità (e quindi anche rispetto alla nostra infelicità) è fondamentale diventare consapevoli che noi viviamo la quotidianità, le relazioni, il tempo, attraverso le nostre rappresentazioni della realtà (quasi completamente inconsce fino a quando non le riconosciamo) ovvero abbiamo filtri personali che ci fanno “leggere e interpretare” a nostro modo. E quindi agire di conseguenza …

      Dopo lo scambio con quel padre, sarebbe cambiato qualcosa per te o avresti continuato a vivere nella stessa visione delle cose? Che cosa avresti fatto, prima e dopo?

      Su cosa ti fa riflettere questa storia? In che modo ti può essere utile nella vita quotidiana?

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