Oggi fotografiamo tutto e spesso non viviamo niente. Chissà cosa ci resta “dell’esperienza vissuta rispetto a quella fotografata?” Anche perché le foto possono essere molto potenti… Sarà capitato anche a te di vedere vecchie foto e avere un’illuminazione. Se non è così ti invito a riprendere qualche vecchio album. Quelli con le foto stampate su carta, tanto tanto tanto tempo fa, che forse hai visto innumerevoli volte e che proprio ora riesci a vedere come non avevi mai visto.
Le foto sono, contengono, esprimono la tua biografia.
Spesso al paziente chiedo di portare vecchie foto in seduta… Per poterci lavorare… Infatti, la persona in psicoterapia, in qualche modo, racconta la sua autobiografia. Chi in modo ordinato e sequenziale, chi in modo sparso e confuso, ogni persona racconta la storia della sua vita, attuale, recente o anche molto antica. Per certi versi, la sofferenza psicologica e somatica che ha portato la persona a chiedere aiuto è solo il pretesto per cercare, attraverso un percorso di esplorazione e comprensione di se stesso, un senso alla propria vita, un valore alla propria storia, una forma alla propria identità.
“Chi sono?” è la domanda latente. “Come sono arrivato fin qui?” è un’altra domanda, anch’essa più o meno consapevole, che porta l’individuo ad inserire se stesso all’interno di una cornice più ampia in cui i rapporti interpersonali significativi sono la matrice da dove è emersa la personalità del soggetto con tutte le sue modalità di stare al mondo, i suoi modi di pensare e agire, le sue strategie per “cavarsela”.
Ciascuno di noi, nel bene e nel male, nelle risorse e nei limiti, è quello che è per come lo è diventato a partire dalle sue caratteristiche temperamentali, dalle esperienze precoci di formazione affettiva, dagli incontri successivi e dal modo in cui ha ingoiato, digerito, metabolizzato, fatto proprio tutto questo bagaglio esperienziale. Le foto possono essere un canale di accesso privilegiato a questa trama del mondo interno sviluppato nel tempo e nelle relazioni.
In particolare, immersa nelle immagini fotografiche e, soprattutto, nelle sue immagini interiori, la persona arriva gradualmente ad attraversare una foresta di emozioni (rabbia, paura, dolore, meraviglia, entusiasmo, ecc.) da cui emerge con una comprensione più luminosa e illuminata del senso e del valore della sua personalità intesa come una strategia che anticamente ha trovato e progressivamente ha affinato per adattarsi alle circostanze di vita che le sono capitate.
Inoltre, capisce come, da un certo momento in poi, in modo sempre più attivo, essa stessa abbia contribuito a creare le condizioni materiali ed affettive all’interno delle quali è cresciuta, per arrivare, quindi, a realizzare che quello che vive oggi, nella sofferenza e nella gioia, è in una certa misura scelto, “attivamente” scelto, anche se non sempre nella piena consapevolezza.
Quello che ha “scelto” è quello che le ha permesso di sopravvivere. Quello che sceglie oggi, in fondo in fondo in fondo, è proprio quello che vuole. Per sopravvivere, per cavarsela, per trovare il suo posto nel mondo. Per rendere reale il suo potenziale, per realizzare la persona che è…
Per molte persone, sopratutto all’inizio del percorso terapeutico, questo pensiero non è di facile assimilazione, soprattutto perché “appropriarsi della volontà della scelta” toglie alla persona alcuni alibi, scuse, giustificazioni, colpevolizzazioni e vittimismi che in qualche misura la alleggerirebbero dal farsi carico con consapevolezza e responsabilità di come “cavarsela” da adesso in poi. Quando la persona ha veramente fatto propria questa visione della sua storia di vita, ieri e da oggi in poi, allora riesce ad ampliare il senso di possibilità a sua disposizione per avvicinarsi il più possibile alla vita che desidera e alla persona che vuole essere. Alla migliore approssimazione possibile alla felicità.