Vita “stressante”, ritmi quotidiani frenetici, tempo che non basta mai, insoddisfazione in una o più relazioni personali e lavorative; crisi economica e criminalità, terrorismo internazionale e violenza domestica, varie forme di dipendenza e un senso di inadeguatezza dilagante (in diversi ambiti e ruoli della propria vita, ciascuno ha il proprio). “Mascheramenti” vari come modo per affrontare le proprie fragilità non riconosciute, perdita del senso di sicurezza, smarrimento di vecchi riferimenti valoriali non sostituiti da altri parimenti validi. Vite racchiuse in un selfie o in un like o in attesa del prossimo aperitivo. Chi più ne ha più ne metta… e dilagano ansia e depressione, ormai diffuse come il raffreddore.
Ansia e depressione sono diventate due “categorie sintomatiche” massicciamente usate soprattutto dai medici di base, dai medici non specialisti della salute mentale e, più in generale, dai non addetti ai lavori, dalla gente comune che contribuisce a diffondere sempre più, nell’immaginario collettivo, l’idea di un mondo di depressi e ansiosi.
E si arriva nello studio dello psicoterapeuta.
Arriva la persona con disturbi gastrici e ipocondria, quella con difficoltà di memoria e concentrazione, chi non riesce più a stare sul posto di lavoro o chi è rimasto senza amici e senza partner. Arriva la coppia che vuole recuperare il rapporto, la ragazza con problemi di sovrappeso, la donna con gli attacchi di panico, l’uomo (di solito spinto da qualcun altro) con problemi di alcol, di gioco d’azzardo o che abusa di sostanze. Arriva la persona con problemi di autostima e insicurezza, quello con vissuti di impotenza e fallimento, chi si vergogna e chi si sente in colpa. Arrivano persone che soffrono di un malessere generalizzato indefinito e chiedono di “stare meglio”, di capire ciò che sta succedendo nella propria vita e magari di apprendere abilità e strategie “per essere felici” o perlomeno per non soffrire troppo. Esistono, insomma, mille e una depressione, una o centomila ansie.
Con l’aiuto del terapeuta, le questioni critiche sono inquadrate in modo più specifico e articolato, al fine di andare oltre l’etichetta di malato ansioso e depresso, per rintracciare, in maniera chiara, il tipo di situazione presente e individuare il modo più efficace per affrontarla e superarla. Sempre più, inoltre, negli ultimi anni si presentano in terapia anche persone che chiedono di fare un “percorso di crescita personale”, chiedono di essere accompagnati in un viaggio di “sviluppo personale ed esistenziale”, chiedono di migliorare la comprensione di sé per migliorare la propria qualità della vita.
Ogni forma di malessere o disagio o richiesta “nasconde” e “rivela”, al tempo stesso, un “messaggio per la persona”, un messaggio che, decodificato, può fornire indicazioni fondamentali per affrontare e superare il momento critico o evolutivo che ha portato alla richiesta d’aiuto.
Preso atto della sofferenza specifica e di come si annida nelle relazioni della persona, nel suo modo di pensare di agire, si tratta di cogliere il senso del messaggio contenuto nel disagio per “tracciare e riprendere le linee evolutive dello sviluppo bloccato”, impedito, represso, che i sintomi stanno a segnalare.
Rintracciare ed esplorare i “nodi emotivi” che la persona presenta (dolore, rabbia, paura, tristezza, vergogna, preoccupazione, frustrazione, delusione, vuoto, smarrimento, ecc.) è un modo per togliere ai sintomi la fonte del loro (ri-)presentarsi.
Il malessere sintomatico è il modo in cui la persona comunica a se stessa e al mondo che c’è qualcosa nella sua vita che non va, che alcuni bisogni e parti vitali di sé stanno soffrendo eccessivamente, quindi è un richiamo a mettere in discussione il suo attuale assetto di abitudini di comportamento e di pensiero, il modo in cui la persona porta avanti la sua vita, le sue relazioni, i suoi affetti.
Capire il senso del sintomo vuol dire togliergli il motivo del suo esistere.
La terapia aiuta la persona a trovare il senso del sintomo per riprendere il senso e la direzione della sua vita…