Quando è piccolo il bambino ha bisogno di genitori che si prendano cura di lui, che soddisfino i suoi bisogni, che lo aiutino a diventare progressivamente più sicuro e autonomo, a sentirsi amato e valorizzato, a sviluppare un adeguato rapporto con la realtà (tra possibilità e limiti), a diventare capace di vivere e gioire, di stare da solo e di stare con gli altri, a diventare capace di controllare i suoi impulsi, regolare in modo sano l’espressione delle sue emozioni e dei suoi pensieri, a diventare capace di agire per realizzare i propri desideri e soddisfare i propri bisogni, sempre in rapporto adeguato con la realtà, nel rispetto dell’ambiente, di sé e degli altri. In tal modo, il bambino crescendo impara a scoprire se stesso, a inventare se stesso, a costruirsi un’identità solida, stabile, sufficientemente sicura, fondata sugli insegnamenti familiari e sulle personali potenzialità e talenti unici e irripetibili. In tal modo diventa anche capace di creare una propria felicità fatta di momenti ed esperienze in solitudine e di momenti ed esperienze in relazione con gli altri.
Se le cose vanno male ovvero se il bambino ha la sfortuna di essere capitato con due genitori incapaci di svolgere in modo sano e adeguato la loro funzione genitoriale (adulta, consapevole, responsabile) allora gli esiti di tale processo possono essere alquanto distorti rispetto allo scenario positivo succitato in cui il bambino ha imparato a prendersi cura di sé in modo autonomo.
In particolare, uno dei compiti fondamentali dei genitori è quello di insegnare gradualmente al bambino ad integrare la frustrazione ovvero ad imparare che non sempre è possibile avere tutto ciò che si desidera o di cui si ha bisogno, non sempre, non tutto, non subito, a volte dovendo anche rinunciare alla soddisfazione di certi bisogni o desideri. Così è la vita. E questo ciascuno di noi dovrebbe averlo imparato in modo sano e progressivo fino al punto che, divenuti adulti, sappiamo cercare soddisfazione e realizzazione e sappiamo anche “stare” nella rinuncia, nella frustrazione, nella delusione e nella perdita rispetto a ciò che avevamo o avremmo voluto avere. “Stare” ovvero vivere le emozioni connesse di dolore, tristezza, rabbia, ecc. sapendo comunque trovare loro un senso evolutivo e non distruttivo. Così, il bambino crescendo sviluppa le sue strategie personali per governare livelli tollerabili di tale frustrazione.
Quando questo processo di integrare la frustrazione ovvero prendere dimestichezza con essa è avvenuto in modo aberrante, distorto, eccessivo, perché i genitori sono stati o eccessivamente o scarsamente qualche cosa (troppo severi o troppo indulgenti, troppo protettivi o troppo poco protettivi, troppo amorevoli o assolutamente freddi e anaffettivi, sempre presenti o mai di riferimento, ecc..) il bambino inizia ad avere seri problemi nel cavarsela nel mondo, finisce per sviluppare alcune strategie di pensiero e d’azione che lo aiutano ad adattarsi al mondo per come gli è capitato, ma molto probabilmente comincerà a sviluppare anche varie forme di malessere e una serie di comportamenti problematici. L’adulto che arriva a chiedere una psicoterapia porta dentro di sé quel bambino sofferente. L’aiuto terapeutico prevede sembra la cura di quella sofferenza antica.