Vittima di te stesso

Tra i vari obiettivi di un lavoro psicoterapeutico, uno di quelli trasversali, sempre presenti, esplicitato o implicito, è quello di aiutare il paziente a divenire consapevole di essere responsabile di quello che gli accade.
È vero che esistono dei fattori accidentali, ad esempio catastrofi naturali o malattie che arrivano casualmente (forse casualmente); è vero che esistono eventi esterni incontrollabili, ad esempio qualcuno che mi viene sopra con l’automobile; è vero che esistono gli altri che fanno quello che vogliono fare e rispetto ai quali noi non abbiamo controllo, ad esempio, posso chiedere ma l’altro può dirmi no. Ma … detto questo … è anche vero che in molte delle situazioni in cui ci sentiamo vittime dell’esterno, degli eventi e degli altri, in realtà siamo noi che “permettiamo” in qualche modo che le cose vadano così, siamo noi che lasciamo che la realtà esterna ci capiti, siamo noi a farci trattare in un certo modo dagli altri.
Ogni comportamento è finalizzato, ha uno scopo. Uno scopo è, anche solo inconsapevolmente, sempre presente, anche se la persona non percepisce un senso di direzione della sua azione o percepisce di essere incastrata, vittima, intrappolata, costretta, passiva, ecc… Mentre lo scopo è ovunque, i valori non lo sono. Lo scopo può essere anche solo implicito, il valore deve diventare oggetto di scelta consapevole. Il valore consapevole orienta la mia azione nella direzione di realizzare ciò che per me è importante e dà “valore” alla mia vita.
Una persona può agire senza sapere con esattezza lo scopo del suo comportamento. Può agire in modo automatico senza rendersi conto di quale bisogno al momento è attivo in lei. Il suo comportamento la porterà a soddisfare qualche bisogno, ad ottenere qualche effetto, più o meno chiaro e consapevole. Il comportamento ha sempre un fine anche quando non lo conosciamo, altrimenti la nostra vita sarebbe una sequenza casuale di eventi ed azioni con effetti casuali, più o meno vicini a quanto desideriamo.
Malgrado ci possiamo sentire vittima degli eventi, incastrati in situazioni fuori controllo, guidati dal volere altrui, in realtà, “se noi volessimo” potremmo comunque orientare il nostro comportamento con una scelta definita e consapevole. Noi scegliamo i nostri valori guida, noi scegliamo quali bisogni soddisfare, anche se molte volte queste scelte possono essere inconsapevoli. E “potremmo” in ogni momento scegliere una direzione differente del nostro agire. Quindi se gli altri ci comandano è perché noi ci lasciamo comandare, se mi sento vittima degli umori e delle esigenze altrui è perché lascio che gli altri impongano la loro volontà sui miei bisogni. Di fatto “è impossibile non scegliere”, è solo un’illusione quella di credere di essere manovrati da altri, a cui purtroppo molti di noi sono abituati a credere sentendosi “mossi” da qualcuno o qualcosa di esterno a sé, più o meno malevolo, comunque percepito fuori dal proprio controllo. Anche quando l’altro, più o meno intenzionalmente, vuole manipolarci, siamo noi che lasciamo che questo accada, siamo noi che ci lasciamo manipolare, siamo noi che, anche scoperta la manipolazione, non facciamo niente o facciamo poco per “uscire dalla trappola”.
La terapia conduce il paziente a rendersi conto del proprio potere di scelta, di direzione e di azione. Questo può richiedere un lavoro a diversi livelli di profondità.
Ad un primo livello, la persona viene aiutata ad esplorare cosa succede negli scambi quotidiani in cui finisce per sentirsi vittima degli altri. Cosa ha fatto l’altro? E cosa hai fatto tu? Cosa hai pensato? Come ti sei sentito? Quale emozione hai provato? Come hai reagito? Di cosa avevi bisogno? A questo livello la persona può essere aiutata a individuare nuove modalità di azione e comunicazione per verificare quanto può “modificare” il suo modo di agire e interagire con le persone. Ad esempio, la persona viene aiutata a fare qualcosa che non ha mai fatto: a dire no, a chiedere, ad esprimere più chiaramente i propri pensieri, le proprie emozioni e i propri bisogni. Quando queste nuove modalità comportamentali hanno “successo”, la persona sperimenta effettivamente e consapevolmente il proprio potere di modificare quello che fino a qualche tempo prima riteneva qualcosa di rigidamente disfunzionale in cui si sentiva in trappola.
Quando questo tipo di cambiamento non sortisce gli effetti desiderati e la persona si trova a vivere più o meno le stesse identiche situazioni in cui si sente vittima impotente di altri menefreghisti, approfittatori, egoisti, è importante imparare la lezione: capire cosa sta succedendo effettivamente in quelle relazioni e verificare in che modo sono sollecitati livelli più profondi del funzionamento personale ovvero vissuti sviluppati a partire dalle proprie origini, quando in quasi totale inconsapevolezza:
abbiamo imparato a sentirci vittima degli altri perché (scopo) gli altri erano più “grandi” e “potenti” di noi
abbiamo scelto di compiacere gli altri perché temevamo di perderli
abbiamo imparato ad avere paura di dire no perché temevamo di essere giudicati e rifiutati
abbiamo cominciato a credere che non si può chiedere per i propri bisogni perché “se chiedi sei un egoista”
abbiamo imparato a mettere a tacere i nostri pensieri perché qualcuno ci ha insegnato a credere di non valere
ci siamo spaventati nel momento in cui abbiamo provato ad esprimere le nostre emozioni perché altrimenti “mamma si rattrista, papà si arrabbia, nonna si preoccupa, zia si vergogna… e poi la gente…”.

In terapia, la persona entra in contatto con quel tempo in cui ha “imparato a essere vittima”, ha “scelto” paradossalmente di essere vittima in base ad una credenza patogena per cui “certe possibilità non erano consentite” altrimenti le reazioni degli adulti sarebbero state di rabbia, rifiuto, abbandono, violenza, ecc.. E, sappiamo, che queste reazioni un bambino non può permettersele… non può sostenerle…
In terapia, la persona impara in questo modo che, invece, esistono scopi rintracciabili in base agli effetti delle proprie azioni, anche se percepite come azioni determinate dagli altri. Ad esempio, se taccio la situazione si tranquillizza (scopo) … anche se la repressione dei miei pensieri, delle mie parole, delle mie emozioni, dei miei bisogni, delle azioni che autenticamente metterei in atto mi porta ad ammalarmi (prezzo da pagare). Di solito le persone non sono consapevoli del fatto che scelgono con uno scopo, credono che l’effetto che ottengono sia solo il prezzo che pagano, mentre invece il prezzo da pagare è la conseguenza della scelta che fanno per soddisfare certi bisogni. Allora la domanda diventa: se potessi scegliere uno scopo, quale sceglierei? E qui lo scopo coincide col valore…

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