Le maschere del disagio quotidiano sono tutte quelle forme attraverso cui manifestiamo il nostro mal-essere. I vari sintomi e disagi che affliggono le persone sono spesso leggibili come segnali che qualcosa nel proprio modo di condurre la vita va rivisto e regolato in modo più sano ovvero il sintomo chiama la persona a gettare la maschera, perlomeno a prenderne coscienza, verso la ricerca di un modo di essere, di pensare, di sentire di comportarsi che sia più autentico rispetto ai propri bisogni e ai propri desideri.
Le maschere che esprimono il disagio psichico sono le più svariate e hanno a che fare con l’impossibilità avvertita soggettivamente di uscire fuori da ruoli rigidi, di svincolarsi da copioni antichi, di emanciparsi da relazioni dannose.
L’ansia, da cui tutti, chi più chi meno, prima o poi, siamo assaliti, è una forma di auto-tortura, il segnale di un blocco profondo che ingabbia la nostra esistenza. L’ansia, nelle sue varie forme, è un segnale che richiama l’attenzione sul modo in cui stiamo conducendo la nostra vita. L’ansia segnala che stiamo fuggendo da noi stessi. L’ansia segnala che la persona ha incanalato la sua energia vitale in percorsi obbligati legati al “dover essere” e lontani da un reale contatto coi propri bisogni.
L’ansia è un segnale che invita ad andare oltre le proprie maschere per mettersi in contatto con la propria autenticità ovvero chiama la persona a confrontarsi con le sue scelte, con le sue ripetitività fonte di sofferenza, con la sua emotività compressa che chiede di essere ascoltata.
L’ansia è un invito all’ascolto di sé, a prendere confidenza con i propri stati d’animo e con le proprie emozioni come richiami ai bisogni, ai desideri, alla vitalità inespressa, al piacere, alla spontaneità.
L’ansia lascia intravedere la possibilità di un altro sé, tutto da costruire. L’ansia è un invito a cambiare, a rinnovarsi, a distaccarsi da vecchie abitudini e modalità.
L’ansia esprime la paura di vivere “pericolosamente” ed è un invito a rischiare; ad esplorare territori sconosciuti, a liberarsi da modelli ingabbianti; a tradire, a ribellarsi, ad emanciparsi da vincoli rigidi. A re-inventarsi. A creare una nuova forma di sé e una nuova norma per sé (riscrivere i propri “comandamenti”). A creare uno spazio personale di espressione e creatività in cui costruire continuamente la propria identità in trasformazione ed evoluzione.
Il processo di costruzione di sé, che dura tutta la vita, può essere concepito come un processo di continue identificazioni e disidentificazioni rispetto a ruoli, modelli e maschere che vengono gradualmente assimilate e interiorizzate.
Questo processo può svilupparsi attraverso un’adesione passiva, acritica, totale e totalizzante a una “maschera” (ideologie, ruoli sociali, modelli di comportamento, stili di vita) o invece come possibilità di costruzione attiva di una propria unicità e singolarità all’interno di quella “maschera”: un processo di costruzione attiva del proprio modo unico di essere al mondo.
Da un punto di vista sociale, le maschere servono alla persona per assumere ruoli e per avere un riconoscimento, mentre su un versante intrapsichico chiamano la persona ad una continua spola tra aspetti di sé autentici e aspetti di sé più di “facciata”. Il Falso sé espresso dalle maschere si struttura a partire dall’infanzia come risposta “adattiva” alle richieste dell’ambiente non sintonizzato sui bisogni del bambino, ambiente incapace di rispettarne l’unicità e di offrire un contesto favorevole allo sviluppo delle sue potenzialità innate (esperienze di non riconoscimento).
Ogni persona ha uno spazio interiore autentico, potenzialmente infinito, che nel tempo ha imparato a nascondere dietro maschere sociali, consapevoli o inconsapevoli, culturalmente condivise e avvertite come necessarie, pena il rifiuto e la disapprovazione. Oltre questa facciata c’è la propria profondità vitale che può essere ricercata affrontando la paura della solitudine e dell’incomprensione.
Il problema non è indossare una maschera, ma confondersi totalmente con essa fino a smarrire la propria identità genuina.
Le maschere nascono da come siamo abituati a vederci e a farci vedere, a essere trattati, ad essere visti in un certo modo che crea una maschera ingabbiante (lo scapestrato, il preciso, la mantide, il salvatore, il timido, la crocerossina, il malvagio, la bambola, ecc. ) che oggi ci sta stretta ma che non riusciamo o non vogliamo buttare.
Le maschere possono essere abitudini in cui ci si identifica (abiti), che danno sicurezza e orientamento, un senso di continuità e identità, ma racchiudono anche la persona in una ripetitività sempre uguale a se stessa. Un ruolo abitualmente giocato offre prevedibilità, ma limita la possibilità di accedere alla propria originale unicità. Diventiamo così schiavi di “abitudini padrone” che ci svuotano della nostra autenticità.
Le maschere, del resto, possono essere recitate consapevolmente o adottate inconsciamente. “Recitare” maschere significa anche poter accedere a diverse parti di sé, ogni maschera esprimendo un qualche aspetto di sé di cui ci si può “appropriare” in maniera più consapevole. Un gioco tra il sé che “dobbiamo essere”, il sé che “vorremmo essere” e il sé che nella realtà di fatto esprimiamo… Questo sono io, io sono la mia maschera… Questo è il mio carattere… io sono fatto così… io sono sempre stato uno che… io sono sempre io… tra maschere a cui ci sentiamo “costretti” e difficoltà a prendere contatto, conoscere e integrare diverse parti di sé che possono piacere o non piacere.
Nel percorso di crescita personale, questo io rigido e fissato su abitudini e mascheramenti vari, sempre uguale a se stesso, che offre prevedibilità e sicurezza, ma mette le catene in una sorta di auto-ingabbiamento, può gradualmente lasciare il posto ad un io multidimensionale, libero e creativo, capace di esporsi nella propria spontanea verità e rischiare giudizio e disapprovazione, rifiuto e scherno, in nome di un ampliamento delle possibilità di espressione e realizzazione di sé.
Indossare le maschere per scelta consapevole e con lo sguardo attento a come si va in giro per il mondo, con la propria maschera, può essere una strada per accedere alle diverse possibilità di espressione di sé, del proprio essere, per dare vita agli infiniti personaggi che abbiamo dentro. E questo non significa nascondersi dietro la maschera, ma “svelare” sé. Per conoscersi e farsi conoscere. Non avere paura di sé, essere presenti a se stessi con la propria nuda essenza, con la propria interiorità profonda.