Il kintsugi è una pratica giapponese che consiste nell’utilizzo di oro liquido o argento o platino o resina laccata con polvere d’oro per riparare oggetti di ceramica rotti. È un’arte che richiede cura e pazienza. Un’arte che non segue i tempi moderni dell’efficienza e della competitività, ma ha bisogno del “tempo che serve” per riportare a nuova vita l’oggetto rotto. Il nuovo oggetto così creato è prezioso, prima che dal punto di vista economico, da quello artistico: ogni oggetto riparato diventa un oggetto unico e irripetibile. Dai frammenti spezzati nasce qualcosa di veramente speciale, originale. Dietro questa forma di creatività artistica c’è l’idea che dalla “rottura” possa nascere qualcosa di “prezioso”, in precedenza inesistente.
Il Kintsugi diventa quindi anche un’ottima metafora della crescita personale:
• la ferita genera dolore e anche valore
• accogliere dolore, perdita, rottura, delusione, fallimento come passaggi inevitabili dell’esperienza umana, come momenti preziosi su cui impiantare la propria unicità e la propria felicità
• dal dolore si può uscire rinnovati se ci si prende cura del vuoto, della mancanza, della lacerazione
• ciò che nasce come problema o frattura può diventare una soluzione, un’opportunità
• quando viviamo un momento critico è importante lo sguardo che rivogliamo ad esso e le scelte che facciamo di fronte alla difficoltà: qualcosa di “rotto” può essere semplicemente buttato o anche diventare l’origine di qualcosa di straordinario, di una nuova forma vitale
• il cambiamento è inevitabile: la vita ci presenta continui passaggi, rotture, perdite, separazioni; la trasformazione è tutta da creare, da inventare, da valorizzare
• è vero che qualcosa di rotto non sarà mai più come prima, è anche vero che potrà essere molto meglio di prima, comunque diverso, una diversità da valorizzare, diversamente preziosa
• qualcosa di spezzato può essere qualcosa da nascondere, di cui vergognarsi, ma anche qualcosa che può essere messo in risalto come momento di crescita e passaggio evolutivo
• alcune aree della nostra vita sono integre, perfette; altre aree sono rotte, ma non per questo hanno minor valore delle prime
• nei diversi ruoli della nostra vita compiamo errori, siamo meno che perfetti, falliamo rispetto a ciò che ci aspettavamo o che gli altri si aspettavano da noi. Da questi “crepacci” può nascere qualcosa di valore se impariamo la lezione e ripariamo con “cura” ciò che si è rotto
• il dolore non è qualcosa di cui vergognarsi, esprime piuttosto la nostra sensibilità, la nostra storia personale di ricchezza e fragilità emotive
• la sofferenza spesso è il canale di accesso all’evoluzione interiore, al salto di qualità di vita
• la ferita è il segno del valore della nostra unicità e ognuno è perfetto nella propria imperfezione
• la cura della ferita segue “il tempo personale” non quello dettato dall’esterno, da come si dovrebbe tornare a funzionare per essere efficaci ed efficienti
• la ferita, la malattia, il disagio, la non perfezione non sono una colpa ma un segno da valorizzare della propria originale traiettoria esistenziale
• in campo relazionale oltre al valore “moderno” della separazione esiste anche il valore “antico” della riparazione, del darsi la possibilità di un punto e a capo, in cui entrambi i partner si impegnano con responsabilità a fare la propria parte per rimettere a posto i cocci…
• ciascuno può usare il “proprio metallo prezioso” e la “propria personalissima arte e cura” per riparare ciò che è rotto: ogni percorso terapeutico è unico, fondato sulle caratteristiche specifiche della persona, sulle sue risorse e i suoi limiti, sul suo modo unico di essere e di trasformarsi, con la capacità di guardare indietro e avanti al tempo stesso
Crepe d’oro
