Quanti sensi di colpa?!

Esistono alcuni sensi di colpa con cui possiamo confrontarci in maniera aperta e consapevole, come quando ci sentiamo in colpa perché per soddisfare un nostro bisogno o desiderio abbiamo trascurato una persona cara, ad esempio, mi sento un po’ in colpa perché all’ultimo momento ho dato buca a Luca con cui dovevo andare al cinema e ho preferito uscire con Adele. Altri sensi di colpa, invece, si annidano nell’inconscio, sono più difficili da identificare e ci procurano uno stato di sofferenza che spesso non riusciamo ad individuare ed elaborare se non come sentimenti di colpevolezza e angoscia, un sentirsi “cattivi” e “sbagliati” senza sapere di preciso perché. Ad esempio, proviamo uno stato di inquietudine mal definita, ci sentiamo in difetto o “sentiamo” di aver fatto qualcosa di male, ma non sappiamo cosa, non sappiamo legarlo in modo specifico a qualche evento o pensiero o relazione, semplicemente ci sentiamo colpevoli, sbagliati, cattivi, quasi perseguitati dall’idea (nostra) di dover essere diversi da quello che siamo o agire diversamente rispetto a come ci comportiamo.

Nel senso di colpa consapevole io so di aver trasgredito una “norma di buona condotta”, norma di una morale esterna e condivisa anche dagli altri o anche solo di una mia morale personale. Ad esempio, “non si dà buca ad un amico all’ultimo momento!” Nel senso di colpa inconsapevole, invece, mi sento colpevole ma non so legarlo ad alcuna trasgressione o riferirlo a qualche codice di condotta giusta o sbagliata: sento di aver sbagliato o fatto qualcosa di male, ma non so di preciso cosa e perché. Nel primo caso diventa possibile “riparare” alla colpa commessa, ad esempio, scusandomi con Luca, fornendogli delle spiegazioni plausibili, cercando di restituirgli qualcosa in cambio, ecc. o comunque è possibile farci i conti in modo consapevole, ad esempio, affrontare la delusione e la rabbia del mio amico. Nel secondo caso non so cosa e come riparare perché non so cosa ho danneggiato, cosa ho sbagliato, come e perché. E resto con angoscia, irrequietezza, inquietudine, sentimenti di auto-svalutazione.

Come spesso accade, l’infanzia e il mondo interiore che ne deriva offrono delle possibili letture. Ad esempio, Maurizio, un secondogenito, da sempre molto brillante a scuola e nei rapporti interpersonali, da adulto non riesce a trovare la sua strada: non ha un partner stabile e non ha avuto storie significative, cambia un lavoro dietro l’altro, non riesce ad essere indipendente economicamente per andare a vivere da solo, anzi porta quei pochi soldi a casa ai genitori che non versano in buone condizioni economiche e di salute. Apparentemente, questo individuo ha tutte le carte in regola per ottenere soddisfazione e realizzazione in campo affettivo e professionale, ma sembra quasi che operi in lui una sorta di auto-sabotaggio, per cui finisce per vivere solo esperienze frustranti e deludenti che lo tengono legato al palo. Quando sta per realizzare qualcosa, in campo lavorativo e sentimentale, succede qualcos’altro che lo frena (un sintomo ansioso, un incidente, “un colpo di sfortuna”, un’ingiustizia subita, ecc.). Il fratello maggiore, Carlo, da sempre meno brillante del secondo, vive e lavora all’estero, ha una relazione stabile e appagante, aspetta un bambino e vede genitori e fratello a Natale e qualche giorno in estate. Maurizio arriva in terapia pieno di sintomi ansiosi e psicosomatici. Esplorando le condizioni attuali di vita e le relazioni primarie gradualmente emerge una credenza disfunzionale di Maurizio che lo obbliga a riparare al senso di colpa che prova per aver procurato, “con la sua nascita”, la “rovina” della sua famiglia, delle condizioni economiche e di salute dei genitori che col secondo figlio hanno dovuto stravolgere i loro equilibri e “non hanno avuto più la stessa felicità di prima”. Nonostante i genitori non abbiano mai fatto pesare questa cosa a Maurizio (sembra ovvio, ma non scontato), anzi per loro non esiste affatto questa connessione tra nascita del secondogenito e crisi familiare, Maurizio si è inconsciamente fatto carico di dover restituire ai genitori quello che crede inconsciamente di aver tolto loro (leggerezza e benessere…) e la sua “difficoltà” ad “uscire di casa” sembra avere il senso di una scelta inconscia di riparare al presunto danno e alla colpa. Quando Maurizio comincia a riflettere su queste ipotesi qualcosa sembra modificarsi nel suo approccio al successo lavorativo e sentimentale, sentendosi alleggerito dal dover “restare” a prendersi cura dei genitori…

In un’altra situazione, Raffaella è stata sempre criticata apertamente dai genitori perché non si sarebbe presa sufficientemente cura del fratellino minore di lei di 5 anni, “come avrebbe dovuto in quanto sorella maggiore”. Fin da piccola Raffaella “ha dovuto occuparsi del fratellino”, con due genitori francamente disturbati sia nella loro incapacità genitoriale verso entrambi i figli sia nel “caricare indebitamente” la primogenita di compiti di accudimento del fratellino. Raffaella ha sviluppato enormi capacità di accudimento, per rispondere alle aspettative dei genitori, per sentirsi da loro amata e apprezzata; oggi fa l’infermiera e la volontaria in un’associazione cittadina che si occupa di ambiente e natura, prova forti sensi di colpa quando tenta di fare qualcosa per sé (come uno sviluppo di carriera o l’idea di un percorso di crescita personale come diventare insegnante yoga) se questo significa per lei e per chi gli sta intorno (oggi solo la madre e il fratello mai cresciuto, immaturo e viziato) “tradire” la sua missione di occuparsi degli altri. Raffaella è ben consapevole di questi meccanismi interni e interpersonali, ma non riesce a tirarsi fuori da queste dinamiche che la appesantiscono (è in evidente sovrappeso) e la deprimono (conosce molte persone, ma ha pochi amici intimi e una storia tormentata di pochi alti e molti bassi). La terapia sta aiutando Raffaella a “rivisitare” il suo senso di colpa conscio che la porta a “doversi far carico della felicità altrui” e sta elaborando la rabbia verso i genitori, verso il fratello e verso se stessa per le scelte che da bambina “è stata indotta a fare” e da adulta continua a non riuscire a modificare …

La credenza patogena inconsapevole che regola molti sensi di colpa è qualcosa del tipo: “se affermo una mia posizione autonoma e sana (un mio pensiero, un mio bisogno, un mio desiderio, un mio obiettivo, ecc.) allora avverrà qualcosa di pericoloso, nella forma di rottura di una relazione vitale, perdita di amore e approvazione, danneggiamento dell’altro o di sé, ferire gli altri, tradire una missione antica, abbandonare le persone care, …”.

In terapia, la persona impara a riconoscere ed elaborare i suoi sensi di colpa, consci e inconsci, per ampliare il repertorio di scelte a sua disposizione, oltre quello che ha sempre dovuto fare o scelto di fare per rispondere ad essi.

 

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