Ti è mai capitato di addolcire una tua opinione o di non esprimerla affatto per non offendere qualcuno? Oppure di modificare l’espressione di una tua idea per non deludere l’interlocutore? O anche di renderti oltremodo simpatico per ottenere qualche beneficio? Ti capita di mostrarti d’accordo anche se in cuor tuo non lo sei?
Come ti senti quando qualcuno non è d’accordo con te? È diverso se quel qualcuno è il tuo partner, il tuo capo, un tuo genitore, tuo figlio o un tuo amico?
Cosa pensi quando gli altri ti fanno richieste che tu ritieni inappropriate?
Come ti senti quando vorresti dire di no a qualcuno e invece acconsenti?
Cosa provi quando non riesci a far valere un tuo diritto solo perché temi di dispiacere l’altra persona?
Quante volte al giorno chiedi scusa?
Da adulti, il bisogno di approvazione è una droga tra le più nocive.
I bambini ricercano l’approvazione dei genitori: il loro bisogno è di essere “visti” perché attraverso lo sguardo amorevole del genitore sentono di esistere e di essere importanti; hanno bisogno di essere “riconosciuti” nella loro individualità e originalità, “considerati e rispettati” nei lori bisogni, “apprezzati” per le loro abilità. Attraverso l’approvazione si sentono curati e protetti, amati e stimati.
Gli adulti anche ricercano l’approvazione nei vari ambiti di vita: vogliono essere riconosciuti come abili lavoratori, partner appassionati, genitori affettuosi, amici fidati, pieni di talenti e qualità per cui essere apprezzati.
A tutti piace essere apprezzati, valorizzati, stimati e amati.
Il problema può nascere quando il desiderio legittimo e sano di approvazione si trasforma in un imperioso bisogno di approvazione, nella necessità assoluta, avvertita interiormente, senza la quale la persona entra in ansia e depressione, sperimentando angoscia profonda, senso di colpa, vergogna o rabbia distruttiva.
Che succede dentro di te se ricevi una critica? E se non ricevi un elogio che ti aspettavi o che ritenevi giusto o meritato?
Se la ricerca di approvazione diventa un bisogno (di cui non puoi fare a meno per sentirti bene) invece che una preferenza (qualcosa di piacevole per cui impegnarti) allora l’altro diventa più importante di te per il tuo sostegno, riconoscimento e valore. Diventi dipendente dall’altro, da quanto l’altro ti fornisce lodi e carezze.
Il bisogno di complimenti e stima dall’esterno è destinato a lasciare, comunque, una dose di frustrazione; pretendi di essere apprezzato per ogni cosa che fai? Pretendi di essere apprezzato da tutti? Alla lunga può diventare insostenibile emotivamente contribuendo ad alimentare i tuoi vissuti di inadeguatezza e bassa autostima.
Non è possibile vivere senza una certa quota di disapprovazione: non possiamo “piacere a tutti per tutto” quello che facciamo. Il rischio è la compiacenza e la negazione di sé, vivere una vita appiattita sui desideri e le preferenze altrui piuttosto che sulle scelte, i desideri e i bisogni personali. Chi ha un bisogno impellente di approvazione rischia la frammentazione (sentire di andare in pezzi, crollare, mancare) ogni volta che non la riceve. In questo modo la personalità si modella in base alle richieste altrui e nasce un sentimento di “falso sé” accettato che nasconde un “vero sé” sentito come non amabile.
La persona che attribuisce maggiore importanza alle opinioni altrui, piuttosto che alle proprie, teme la critica e la disapprovazione come minacce all’integrità di sé, come giudizi sulla propria adeguatezza e dignità e ha paura di esprimersi (emergere con la propria personalità) per il timore di essere rifiutato come persona (paura di una sorta di “ritorsione”). Questa persona colloca all’esterno di sé la regolazione del proprio pensare e agire e non si sente padrone a casa propria.
La ricerca di approvazione è compagna dell’insicurezza, della compiacenza e della dipendenza perché si cerca sempre l’altro per un confronto e un giudizio sul proprio comportamento, l’altro che dice cosa si deve fare e non si deve fare: è più sicuro corrispondere alle attese altrui e sacrificare se stessi piuttosto che esprimersi e rischiare il rifiuto o la disapprovazione.
Concedere o rifiutare l’approvazione è uno strumento manipolativo che da piccoli abbiamo dovuto “subire” nel processo educativo e che, fatta salva la buona fede dei nostri genitori, si è radicato in noi come necessità di corrispondere al volere altrui per essere riconosciuti, accettati e amati. Tale bisogno origina precocemente dai messaggi ricevuti nell’infanzia e interiorizzati che invitavano a non fidarsi di se stessi e a fare riferimento a qualche figura autorevole e adulta. Quando non si riceve l’approvazione altrui ci si sente allora feriti e svuotati, indegni e non amabili, in colpa o in difetto, inadeguati e rifiutati.
Essere indipendenti dai giudizi degli altri significa, invece, sfuggire al loro controllo e riappropriarsi della propria vita e ciò viene attaccato e tacciato di egoismo con lo scopo di mantenere la dipendenza e perpetuare il controllo.
Da bambini è normale e sano far riferimento agli adulti per comprendere il mondo, per sapere cosa è buono e cosa è cattivo, cosa è sicuro e cosa pericoloso. Portata all’eccesso questa sana dipendenza diventa bisogno di approvazione insano fino al punto che gli adulti decidono per il bambino: se gli piace o meno un certo cibo, se vuole o non vogliamo vestirsi in un certo modo, quando, come e con chi deve giocare, ecc.. I genitori scelgono per il figlio anche i desideri e ciò alla lunga instilla una scarsa fiducia in se stessi e nella capacità di affrontare il mondo in maniera autonoma, di pensare con la propria testa e sentire col proprio corpo. L’atteggiamento possessivo iperprotettivo, attraverso cui i genitori controllano il figlio per controllare la propria ansia, pianta i semi dell’insicurezza e della bassa autostima, impedendo al piccolo di sperimentarsi nella vita, di acquisire fiducia in se stesso e un repertorio di abilità per la soluzione dei problemi.
Visto che i genitori decidono tutto in nome dell’approvazione elargita (di cui il bambino ha bisogno per crescere), fare o non fare la “cacca” diventa l’unico strumento di potere del bambino; probabilmente è la prima forma di protesta e affermazione di autonomia: “sono io che scelgo quando e dove farla…”.
Alcuni dei messaggi interiorizzati ed esplicitamente o implicitamente ricevuti (famiglia, scuola, altre fonti formative) o vissuti come tali sono veri e propri divieti all’autonomia: “non contare su te stesso per risolvere i tuoi problemi”; “non prendere decisioni autonome”; “non fidarti del tuo giudizio”; “non contare sulle tue forze”; “non essere indipendente”; “non disubbidire”; “conformati”; “non discutere le opinioni dei grandi…”; “non fare da solo”; “non decidere da solo…”; “non pensare con la tua testa”; “quando sarai grande potrai capire…”; “chiedi il permesso per tutto”. Il risultato del seguire questi messaggi è una maggiore sicurezza e prevedibilità, ma anche scarsa fiducia in sé e scarsa autonomia.
Come sei stato da bambino? Molto adattato, compiacente, “soprammobile”? Oppure ribelle, combattivo, anche capace di rischiare il “rifiuto”?
La persona adulta che ha un bisogno spasmodico di approvazione paga il prezzo elevatissimo della rinuncia a se stesso e delega il potere agli altri di determinare i propri stati d’animo. È incapace di un pensiero critico e autonomo verso le opinioni altrui, lasciandosi condizionare e sovrastare rispetto ai propri desideri autentici. Ha difficoltà a prendere decisioni e soprattutto a mantenerle quando gli altri manifestano una posizione contraria. Da adulto chiede l’autorizzazione come fosse un bambino, chiede il permesso ad un’autorità esterna a sé anche quando non richiesto dalla situazione o dal tipo di relazione. Si spalma e si modella sulle aspettative altrui di come dover essere, pensare, sentire e agire. Ha difficoltà a valorizzare le proprie emozioni e bisogni come guida del proprio agire. “Ingerisce senza digerire” quello che proviene dall’esterno: pensieri e valori altrui vengono fatti propri senza alcuna valutazione critica personale.
Dove sta la giusta misura tra tenere conto dell’opinione altrui (consiglio, indicazione, suggerimento) e seguire la propria strada (inclinazione istintiva, valutazione soggettiva, bisogno personale)?
Cosa fare? Cosa ci insegna la cacca? Che è dura!!! Nel senso di impegnativa!!! Quando si esprime una propria posizione (pensiero, idea, valutazione) si sta sempre all’interno di un contesto o una relazione da cui si può ricevere approvazione (bravo, complimenti) e anche rifiuto e non consenso. Cosa succede dentro te (pensieri, stati d’animo) quando ricevi lodi? Cosa succede quando non le ricevi o addirittura il tuo operato è fortemente criticato? Come sempre molto dipende dalla storia personale, da come nel tempo hai imparato a fare i conti con la disapprovazione, da quanto riesci a differenziare il rifiuto di un’opinione dal rifiuto che senti verso te come persona nel complesso. In terapia, questa esplorazione va a toccare il nucleo più profondo del nostro stare al mondo, l’architettura psichica di base… quando imparammo a stare al mondo.
Di cosa hai paura quando scegli di essere approvato invece che scegliere di essere autentico?
4 pensieri riguardo “L’insegnamento della cacca”