Il perfezionismo è quella modalità di funzionamento mentale e comportamentale in base alla quale la persona chiede a se stessa (e spesso pretende dagli altri!!!) una prestazione estremamente elevata rispetto a quanto richiesto dalla situazione. Quasi sempre riguarda il lavoro, ma può essere presente anche in altri ambiti: cura della forma fisica e dell’alimentazione, relazioni interpersonali, coppia e vita sessuale, gestione della casa e dell’ordine, ecc..
Il perfezionismo è una modalità di funzionamento che fino ad un certo punto può essere utile. Perfezionismo vs eccellenza
Se portato all’eccesso crea enormi problemi, fino allo sviluppo di malesseri e sintomi, fisici e psicologici: sintomi d’ansia e dis-regolazione dell’umore; insonnia e stanchezza; irrigidimento muscolare e sintomi neurovegetativi; abbassamento del rendimento lavorativo, spesso paradossale visto che l’ambito lavorativo quasi sempre è quello in cui la persona è maggiormente perfezionista; aumento dell’autocritica che diventa eccessivamente severa e affonda l’autostima; isolamento sociale con restringimento degli interessi e delle attività piacevoli; una generale qualità di vita scadente.
Quali sono i punti critici del perfezionista?
Il perfezionista “eccessivo” o francamente “patologico” si pone standard di prestazione estremamente elevati, in diverse aree di vita, oltre le sue possibilità e al di là di quanto richiesto oggettivamente dalla situazione. Sottopone le sue prestazioni a verifiche continue e controlli interminabili, che spesso lo lasciano comunque con la sensazione che si poteva fare meglio. Ad esempio, ritarda la consegna di un lavoro perché non arriva mai alla sensazione che sia finito e fatto come deve essere fatto …
Si sente “a posto” solo quando riesce a raggiungere gli standard personali esigenti e autoimposti. Ad esempio, usa una disciplina “estrema” nell’attività fisica.
Il tempo enorme che impiega nei controlli pregiudica di fatto la sua produttività e la possibilità di dedicare quel tempo (risorse ed energie) ad altre attività della sua vita, lavorativa e non solo
Spesso rimanda o evita la prestazione… perché non perfetta. Crede che esista una soluzione perfetta ad ogni problema… e allora deve essere cercata! Ogni cosa deve essere fatta senza errori e lacune: non è una possibilità, è una necessità avvertita interiormente.
Nonostante il suo impegno estremo, spesso non riesce a raggiungere i suoi standard, con le naturali conseguenze negative sulla sua autostima, sul senso di inadeguatezza: scarto tra essere e dover essere Sentirsi in colpa e non sentirsi all’altezza. La libertà dal dover essere
A discapito dei riscontri positivi da parte degli altri, il “giudice interno” sta sempre lì a sentenziare che la persona non vale se non è perfetta, vale se e solo se … egli fosse certo di avere fatto tutto ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare in un determinato ambito. Questa certezza non viene mai raggiunta perché, in qualunque ambito di attività, è sempre possibile pensare che si sarebbe potuto o dovuto fare di più; i confini del dover essere sono sfumati, indefiniti, per cui ciò che manca cancella ciò che c’è.
Il perfezionista è vittima di se stesso, dei suoi “devo” tirannici, figli di modelli sociali e familiari interiorizzati di una cultura estrema della produttività, dell’efficienza e anche della santità (dover essere “morale”). Spesso i perfezionisti hanno criteri di moralità eccessivamente rigidi e severi, sia con se stessi sia con gli altri.
Il perfezionista ha bisogno estremo di approvazione e di non deludere gli altri, solo che i suoi parametri di eccellenza sono fuori dalla realtà, per cui non si sente mai veramente approvato e cerca sempre di dare di più.
Il perfezionista si mette ininterrottamente a dura prova per raggiungere i suoi obiettivi impossibili. Rimugina continuamente su obiettivi, errori e prestazioni, eccessivamente preoccupato degli errori, assediato da dubbi sulla qualità della sua prestazione, quella fatta e quella che farà.
Implicitamente, chiede a se stesso di essere onnipotente: di fatto non conosce, non riconosce, non rispetta né accetta i limiti umani legati alle attività in cui si cimenta.
Non è capace di autoregolazione, non ha regole adeguate di riferimento e guida, se non l’unica regola ferrea impossibile del “tutto o niente”. La sua visione del mondo è dicotomica, irrealistica, tipica del bambino: tutto o niente, puri o impuri, vincenti o perdenti, onorevole o disprezzabile, degno o indegno, virtuoso o miserabile, santo o peccatore, giusto o ingiusto.
Il perfezionista misura il suo valore in termini di produttività. Ma nemmeno riesce a godersi i risultati raggiunti vissuti come “mai abbastanza” o semplicemente e sempre come tappe intermedie verso altri obiettivi “ancora da raggiungere”. Invece, attribuisce i buoni risultati raggiunti al caso, alla fortuna, al merito di altri. E anche quando i suoi buoni risultati sono sanciti dagli apprezzamenti degli altri, di fatto non contribuiscono ad aumentare il senso di sicurezza in sé (il suo giudice interno è spietato)
La prossima prova sarà quella che può sancire il senso del proprio valore … sempre la prossima, mai quella superata, ma la prossima … non arriva mai!
Il perfezionista lega pesantemente la sua autostima a pochi specifici risultati che se non vengono realizzati lo lasciano nella disperazione e nell’angoscia. Rispetto ad uno o più ambiti di vita, il perfezionista pretende da se stesso di funzionare sempre al top, non riesce ad accettare la possibilità di momenti up e down che fanno parte della vita. Tutto deve essere perfetto, completo, assoluto e perenne… altrimenti si sente di non valere niente!!!
Il perfezionista che raggiunge l’impossibile … alza sempre il suo standard, non è mai pienamente soddisfatto, la soddisfazione dura un secondo, pronto per un nuovo limite, oltre ogni limite umano, oltre ogni ragionevole ricerca dell’eccellenza. NON È MAI ABBASTANZA. Vado al massimo … ma è sempre possibile di più!!!
Il perfezionista è assediato da imperativi interni (COME DEVE ESSERE) che lo costringono su binari limitati di comportamento: Deve Essere Per Forza Così!!!
Ad ogni imperativo è associata una paura; ad esempio, “devo essere forte” richiama la paura della debolezza, vissuta profondamente come un’angoscia insostenibile in quanto inconsciamente il sentirsi “deboli” riporta alle angosce antiche del bambino che temeva di perdere l’amore e la stima dei genitori, temeva di essere abbandonato se si fosse permesso di mostrare la propria debolezza, fragilità.
Ecco alcuni degli IMPERATIVI del perfezionista:
- sii perfetto e i suoi derivati (paura dell’errore)
- lavora duro (paura di essere un nulla facente)
- sforzati (paura di essere un pappamolla)
- sforzati di sforzarti (paura di non dare il massimo)
- supera il tuo estremo (paura di aver lasciato qualcosa di intentato)
- sbrigati (paura di perdere tempo e di non fare quanto si dovrebbe fare)
- non perdere tempo (paura di non essere efficace ed efficiente nel raggiungere gli obiettivi prefissati)
- sii forte (paura debolezza o essere sopraffatto)
- segui ciò che ti dico io (paura di deludere).
In genere, il perfezionista sceglie domini ed obiettivi che oltre che richiedere standard elevati in termini di risultati da conseguire, richiedono anche standard elevati in termini di sforzo, impegno richiesto, fatica, privazione, rinuncia, ecc.. Sforzati di sforzarti!!!
In terapia, il perfezionista può essere aiutato a passare dalla ricerca “dell’assoluta certezza, assoluta e perfetta” verso il diversamente possibile…
Per arrivare ad una stima di sé più realistica e umana che passa attraverso:
• riconoscere i propri limiti e difetti senza per questo farne una tragedia, anzi imparando a ridere di sé;
• riconoscere che controllare tutto è impossibile, che si è “fallibili”, che nessuno è “ineccepibile” su questa terra;
• coltivare un’autostima meno dipendente dall’inseguimento e dal raggiungimento di standard elevati autoimposti
- imparare a porsi traguardi ambiziosi ma realistici, raggiungibili con disciplina ma senza lasciarci la pelle o la salute mentale
- elaborare il lutto di “non essere perfetti”.
Per arrivare a comprendere che una vita “perfetta” non è sinonimo di una vita felice: primo, perché l’aspirazione perfezionistica è per definizione destinata a fallire, secondo, perché nel tentare di essere perfetti si è perso o si rischia di perdere il contatto con la realtà, con la vita, in cui altri importanti bisogni sono trascurati, spesso le relazioni ne risentono e la solitudine è all’ordine del giorno. Anche perché spesso le persone che fanno parte della vita del perfezionista sono sottoposte a stress da dover essere altrettanto perfetti o anche dover continuamente stare alle regole che il perfezionista tende ad imporre.
Per arrivare dunque a comprendere che anche una vita non perfetta può essere soddisfacente, che nessuno sta al mondo per essere perfetto e che tutti possiamo imparare da tutti senza per questo doverci giudicare o svalutare. Imparando a vivere in contatto coi propri bisogni e desideri autentici e non con le aspettative degli altri su come dover essere. Imparando a distinguere il desiderio legittimo di essere apprezzati dal bisogno patologico di approvazione assoluta.
Che succede se non sei perfetto?
[…] superare il concetto stesso di superamento mi fa stare bene (Caparezza)
3 pensieri riguardo “Si può dare di più ”