Di fronte allo stress e alla dose quotidiana di frustrazione e delusione esistono tre tipi di lamentela in cui ciascuno di noi può incappare. Che ciascuno di noi può scegliere.
Possiamo cominciare a buttare giù il calendario e imprecare, in maniera manifesta o anche solo interiormente, contro il traffico, contro il capo tiranno, contro il collaboratore incompetente o menefreghista, contro “la gente strana”, contro il partner distratto, contro la gomma bucata, contro la pioggia o l’afa, contro il governo ladro. Contro, contro, contro, a volte ci serve proprio per sfogarci, per sputare fuori un bel po’ di tensione, prendendocela contro qualcuno o qualcosa, reale o astratto, che pure rappresenta per noi in quel momento un canale di espressione della nostra frustrazione, rabbia, impotenza, ecc. Ok nell’immediato, ma a lungo andare… probabilmente lo sfogo è buono quando dura poco. Dopo un po’ la stessa modalità di riduzione della tensione, che fino ad un attimo prima permetteva di alleggerire il carico frustrante, rischia di diventare un modo per accumulare ancora più tossine psicologiche. Va bene andare in palestra per scaricare lo stress, ma dopo un po’ bisogna lavorare sulla fonte dello stress…
È importante, quindi, ad un certo punto, transitare nel secondo tipo di lamentela, più fertile e produttiva, quella che ci permette di trasformare il problema in soluzione, la mancanza in obiettivo. Dopo aver passato in rassegna il calendario e anche gli stati d’animo che ci attraversano, è importante chiedersi, come sempre: di che ho bisogno? Che posso fare? A volte troviamo una soluzione immediata e soddisfacente, altre volte un po’ meno soddisfacente e non sempre immediatamente, altre volte la soluzione è molto lontana dall’essere perfetta, anzi è un compromesso traballante tra desiderio e realtà… ma questo è!!! Posso continuare a cercare soluzioni e strategie, per tentativi ed errori, per progressivi avvicinamenti alla meta, ma una quota di impotenza la devo mettere in conto e accettarla … con serenità. Ovvero elaborando il senso del limite: non tutto si può, non tutto posso, né tutto né subito. Questa, in definitiva, è la lamentela più “adulta”, quella che molto presto porta ad attivarsi per “modificare il modificabile”. Mi fermo a cambiare la gomma, ascolto la radio con piacere mentre aspetto nel traffico, magari facendo qualche telefonata di lavoro o anche di piacere; cerco di chiarire col capo o col collaboratore; osservo con ironia la “gente strana” ricordando che comunque le persone non stanno al mondo per essere come io le voglio; faccio richieste specifiche al partner, magari usando la comunicazione efficace e non violenta; canto e ballo sotto la pioggia in attesa del sereno.
Altrimenti entriamo nella terza perniciosa modalità lamentosa: “me misero me tapino” diceva Zio Paperone. “A me m’ha rovinato ‘a malattia” diceva Albertone. Siamo nel lamento del “bambino ferito”: “sono proprio sfortunato”, “il mondo ce l’ha con me”, “tutti mi remano contro”, “… e ti pareva!”, “ho la nuvoletta come Fantozzi”. E simili espressioni che manifestano una lettura della realtà improntata al vittimismo sterile, ed esprimono, nell’adulto, il pianto del bambino ferito, ancora alla ricerca di un originario accudimento mancato, quasi un bisogno irrisarcibile di qualcosa mai avuto e che mai arriverà, almeno è così nel vissuto più profondo della persona …
Su questo tipo specifico di dolore solitamente si lavora in terapia. Accogliendo e legittimando il dolore della ferita, prendendosi cura delle emozioni veicolate dal lamento, rassicurando e confortando rispetto alla paura e al dolore antichi, attivando risorse e azioni utili ora.
15 pensieri riguardo “3 tipi di lamentela”