Dopo quasi due anni di terapia della “sua” depressione, con risultati soddisfacenti in termini di ampliamento dei suoi spazi vitali (sta uscendo con un ragazzo, ha ripreso a comprarsi dei vestiti “colorati”, sta prendendo informazioni per un nuovo corso che le dovrebbe consentire di acquisire competenze per il lavoro), Nadia porta un sogno. “Dopo aver gettato la spazzatura mi ritrovo a rincorrere il camioncino che l’ha appena ritirata… ho bisogno di riprenderla per vedere se ho gettato anche qualcosa che non dovevo… un sasso trovato da bambina che da sempre è stato per me un talismano scaccia mostri…”. L’elaborazione successiva ci permette di rintracciare significati che Nadia sente particolarmente rilevanti per lei e che le suscitano emozioni contrastanti. Di dolore e paura. Di stupore e serenità. Il sogno racconta il paradosso del rifugio sicuro, tipico dell’esperienza depressiva.
La depressione, il crogiolarsi in sentimenti depressivi, la difficoltà a starci e anche a lasciarli, esprimono l’ambivalenza di un rifugio sicuro di cui si ha bisogno e che si teme al tempo stesso. Se ne ha bisogno per “fermarsi e stare”, per accedere al nucleo più autentico, profondo di sé, quello “paradossalmente” connesso alle istanze più vitali. Si teme perché porta stagnazione, sprofondamento continuo (vorrei uscire ma è l’unico posto sicuro che conosco). Il depresso è attaccato in modo ambivalente alla sua malattia di cui si lamenta e al tempo stesso teme di lasciar andare, per i vantaggi secondari più o meno grandi che comporta e per la difficoltà ad abbandonare una sorta di zona di sicurezza. Il noto e prevedibile, fonte di dolore e anche di riconoscimento di sé, una sorta di casa sicura sempre difficile da lasciare, una barriera difensiva tra sé e il mondo. Il posto dove si sente veramente se stesso. Libero, naturale. Fino al punto di pensare che non sia possibile vivere in altro modo.
Come rispondere con strade alternative ai bisogni che sembra soddisfare il rifugio nei sentimenti depressivi? Questa è la domanda che guida l’esplorazione terapeutica quando il paziente porta questi contenuti, attraverso i sogni o per altre vie, vissuti contemporaneamente di desiderio e paura di “lasciar andare” la propria depressione.